Siamo andati nella città toscana, capitale italiana della produzione di dispositivi di protezione con ben 20 ditte che hanno avuto l'ok dell'Istituto superiore di sanità. Ma la realtà è ben diversa: tra operazioni della Guardia di Finanza contro schiavismo e contraffazione e sedi desolate

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Il business della mascherina è diventato un'occasione d'oro per imprenditori senza scrupoli. Che possono approfittare del sistema delle autorizzazioni in deroga a e su un sistema di controlli con ampi varchi a disposizione di chi tenta di aggirare le regole e massimizzare i profitti.

Lo dimostra una recente indagine del Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Prato. In pieno lockdown, era il 2 maggio scorso, gli investigatori si sono accorti di un insolito movimento attorno al capannone di un’azienda a proprietà cinese, la stessa già sottoposta a controlli e a un’inchiesta giudiziaria nei mesi precedenti. Si decide quindi di riattivare le telecamere nascoste, quelle piazzate nell’hangar durante la prima indagine. Grande è la sorpresa quando gli schermi rimandano le immagini di decine di operai impegnati a lavorare intorno ai tavoli per produrre mascherine. A giugno l’operazione delle Fiamme Gialle si è conclusa con arresti e provvedimenti contro 28 ditte individuali e tre aziende di Prato che erano riuscite a prendere appalti anche dalla Protezione Civile e dalla Regione Toscana (subito bloccati) per produrre protezioni a basso costo. Su 300 lavoratori, di cui la gran parte in nero, 92 erano arrivati in Italia senza permesso. Lavoravano 13 ore al giorno con tre pause da dieci minuti per mangiare in piedi fra le macchine, importate clandestinamente anche quelle, e truccate per tagliare 200 mascherine al minuto contro le 70 previste dagli ingegneri. Schiavi come Simin, una ragazza di 22 anni, e Chen, un ragazzo di 23.

Inchiesta
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Prato, che ospita la più grande comunità cinese in Italia, si è trasformata nella capitale nazionale delle mascherine. In base ai dell’Istituto superiore di sanità, sono addirittura 20 le autorizzazioni per la produzione di dispositivi monouso rilasciate ad aziende pratesi. Una sola in meno rispetto a quelle registrate nelle ben più popolose province di Milano e Torino. Tra le ditte autorizzate c’è per esempio la APC collection, con sede in un capannone tra i tanti che si susseguono tra le vie la periferia di Prato. In un giorno feriale di ottobre, però, nessuno apre il cancello ai cronisti dell’Espresso che si presentano per un’intervista. Nel cortile dietro la cancellata ci sono solo sacchi di spazzatura ammassati. Eppure poche settimane fa, il 27 luglio, la APC Collection ha ricevuto l’ok del ministero per produrre mascherine monouso. Le carte della Camera di commercio attestano che l’azienda, una ditta individuale intestata a tale Xiang Zhiui, era stata costituita un mese prima, a giugno. «I vicini? Se ne sono andati una settimana fa. Cercateli al telefono», consiglia una ragazza affacciata al balcone dell’edificio di fianco.

Per rintracciare la sede della Protect e della Summer Fashion, altre due piccole società a capitale cinese, bisogna invece spostarsi in un palazzone della prima periferia della città. Entrambe sono state costituite in marzo con un capitale di 10 mila euro, e a luglio hanno ricevuto il nulla osta per la produzione di mascherine. Adesso però, all’indirizzo segnalato nelle carte aziendali, non c’è nulla che rimandi alle due ditte, neppure una targhetta tra le tante allineate all’ingresso del condominio.
Capannone di Prato con 300 operai cinesi (92 clandestini) che producevano mascherine a basso costo

Tutto chiuso anche alla Preven di Montemurlo, nell’hinterland pratese. Nel cortile del capannone, solo sacchi neri e bancali vuoti. Eppure, dal 9 luglio l’azienda a capitale cinese ha le carte in regola per iniziare la produzione, come certificato dai documenti dell’Iss. L’autorizzazione è arrivata a tempo di record. L’iscrizione alla Camera di commercio risale a meno di un mese prima, il 17 giugno. Tempo qualche giorno e un certificato rilasciato dal laboratorio pratese Marconcini attesta che le mascherine prodotte dalla ditta di Montemurlo hanno superato i test di efficienza per la filtrazione batterica. È il 26 giugno. Due settimane dopo arriva il via libera dell’Istituto superiore di sanità. Ma in ottobre, chi bussa all’ingresso della sede sociale non trova traccia della Preven, a parte un cartellino scolorito sulla cassetta della posta.