Nuove ipotesi di reato dalla rogatoria svizzera che pubblichiamo in esclusiva. Perno della rete che gestiva le operazioni all’ombra della Segreteria di Stato dell’ex cardinale Becciu, Enrico Crasso, il finanziere che in trent’anni ha fatto così tanti soldi al punto che, scrivono: «Non è stato possibile ricostruire le commissioni totalmente incassate»

Spunta anche l’ipotesi dell’«associazione a delinquere ai danni della Santa Sede», nell’inchiesta vaticana sulle operazioni all’ombra della segreteria di Stato: «Un’ipotesi che non si può escludere», scrivono gli inquirenti nella rogatoria che siamo in grado di pubblicare in esclusiva.

Dopo un mese dalle dimissioni del cardinale Angelo Becciu,in seguito all’inchiesta dell’Espresso, le indagini procedono e i promotori di giustizia attendono i riscontri sulle rogatorie internazionali, trasmesse in Svizzera ormai quasi un anno fa, che ricostruiscono il sistema di potere che l’ex porporato di Pattada aveva creato per gestire le finanze della Segreteria di Stato: una rete composta da finanzieri, broker, faccendieri, dipendenti della segreteria di Stato, avvocati e consulenti in genere, i cui nomi abbiamo incontrato in queste settimane, da Enrico Crasso a Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi, Fabrizio Tirabassi, Luciano Capaldo e Nicola Squillace.

Tutti soggetti per cui gli inquirenti vaticani ipotizzano non soltanto i reati di abuso di autorità, peculato, corruzione e riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di proventi di attività criminose. La complessità e vastità dell’intreccio fa formulare agli inquirenti una ipotesi in più. Scrivono infatti: «Posto che i legami tra i vari personaggi interni ed esterni alla Segreteria di Stato si sono svolti lungo un arco temporale consistente, attraverso la predisposizione di articolati strumenti giuridici con sedi in diversi Paesi, anche di “black list”, e con la realizzazione di molteplici attività delittuose, viene inoltre configurato il reato di associazione a delinquere ai danni della Santa Sede».

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Il perno di questo sistema, che politicamente faceva capo al suo responsabile, l’ex cardinale Becciu, appare sempre di più, nonostante le sue continue smentite, Enrico Crasso, figura apicale della gestione delle finanze della cassa della Segreteria di Stato. Romano, classe 1948, una vita in Credit Suisse, dal 1990 gestore unico e incontrastato dei soldi della seconda istituzione vaticana, mentore di operazioni senza etica, in perenne conflitto di interesse.

Un uomo potente che ha messo la sua base operativa in Svizzera, di cui è cittadino, e dove vive barricato dentro la sua villa che affaccia sul lago di Lugano, dalla quale in questi giorni ha raccontato ai giornali molteplici versioni della sua estraneità ai fatti, preferendo interloquire con la carta stampata che con gli inquirenti. Un professionista quasi infallibile lo dipingono, uno che unisce l’arguzia del ragazzo cresciuto per strada alla competenza degli studi alla Luiss: appassionato di golf, raccontano che arrivasse a Roma con un jet privato e, una volta sbrigate le faccende vaticane, se ne rivolasse via per calcare il green a Montecarlo.

Crasso è l’evoluzione contemporanea del “generone romano”, un uomo collocato nella parte alta della società capitolina, che non tradisce nel passo, nelle movenze e nella stratificazione culturale un certo modo di essere arrogante, furbo e spregiudicato.

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Un uomo che registra tutto, ogni telefonata, ogni riunione e che ha strategicamente scaricato responsabilità a goccia, prima dando agli inquirenti la prova regina delle responsabilità di Gianluigi Torzi, il broker molisano incaricato di chiudere l’affare del palazzo di Sloane Avenue a Londra, una registrazione in cui Torzi spiega con meticolosità il piano di estorsione ai danni della segreteria di Stato. In queste settimane ha poi cercato di caricare ogni responsabilità del disastro finanziario del palazzo di Londra sul faccendiere Raffaele Mincione: ma dalle carte degli inquirenti si evince come i tre agissero in pieno accordo, cercando univocamente di distrarre fondi in modo predatorio dall’Obolo di San Pietro e dagli altri fondi. Secondo gli investigatori della Santa Sede, Crasso avrebbe più volte «contribuito ad utilizzare fondi diversi da quelli istituzionali e per investimenti speculativi non redditizi».

Una montagna di soldi che il finanziere romano gestiva con disinvoltura e, per gli inquirenti, «con un evidente conflitto di interessi e un possibile rischio di frode a danno della Segreteria di Stato». Una modalità figlia di una trentennale esperienza che è fruttata a Crasso, tra fee e consulenze, una cifra di difficile individuazione anche per i promotori di giustizia: «Non è stato possibile ricostruire le commissioni totalmente incassate dallo stesso per la sua attività svolta», scrivono infatti. Un tesoro che Enrico Crasso, avrebbe, secondo indiscrezioni, fatto transitare su alcuni conti correnti svizzeri a Santo Domingo, attraverso un fondo controllato tramite la Banca Zarattini che, nel corso dei decenni, sarebbe stato usato come salvadanaio. Soldi provenienti non solo dalle sue consulenze, ma anche distratti con giri di cassa perfettamente contabilizzati anche negli ultimi mesi, che farebbero presagire, come riporta anche la rogatoria svizzera, ulteriori sviluppi: «Nonostante la Segreteria di Stato sia stata allertata ha continuato a dargli fiducia e non togliergli la delega ad operare sui propri conti correnti. Merita - scrivono gli investigatori - un approfondimento il legame stesso che lo stesso ha con i dipendenti della Segreteria di Stato».

Da notare come il finanziere romano nel corso dei giorni scorsi abbia lasciato varie cariche come quella di consigliere di amministrazione di “Italia Independent”, società che fa capo a Lapo Elkann, la Cristallina Holding, società del settore delle acque oligominerali, e si appresti a dimettersi anche dal board di New Deal srl, la società gestisce “Giochi Preziosi”, tutte società che ricordiamo essere al centro di investimenti della segreteria di Stato.

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In queste ore concitate Crasso sta giocando una partita a scacchi, fatta di omissioni, dichiarazioni di innocenza a mezzo stampa e volontà solo teorica di collaborare con gli inquirenti. Chissà se l’asso della finanza, romano con cittadinanza svizzera, riuscirà ancora a mescolare le carte o per una volta sarà costretto a spiegare trent’anni di finanze vaticane, trucchi, raggiri contabili e investimenti in paradisi fiscali fatti all’ombra del Cupolone, sotto pontefici differenti. Neanche lui avrà tenuto conto del “fattore Bergoglio” che ha cambiato il .suo terreno di gioco: da campo da golf a terreno minato.

Il contenuto di questo articolo stato contestato dal sig. Raffaele Mincione in un procedimento per diffamazione avviato presso la High Court of Justice di Londra, attualmente in corso.

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