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Attualità
ottobre, 2020

Quando Casaleggio voleva esportare Rousseau in India e Brasile. Ma ora rischia di “fallire”

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Il piano naufragato del figlio del fondatore dei Cinque Stelle dietro ai guai di oggi che fanno presagire una scissione

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Che finale scontato. Per il potere - il solito e ancora più bieco potere - viene giù la coppia posticcia Cinque Stelle e Davide Casaleggio, l’erede di Gianroberto, il papà fondatore. Potere, e vil pecunia: protagonisti già identificati della disputa. Eppure c’è stato un tempo in cui, tra la fine del 2017 e l’estate del 2019, la contestata Associazione Rousseau di Davide - depositaria del denaro e delle politiche dei Cinque Stelle - pianificava la conquista del mondo con l’omonima piattaforma internet Rousseau. Per comandare una sorta di Internazionale della democrazia diretta. Anzi del “click”. Fu il momento più alto prima del crollo.

Oggi i parlamentari dei Cinque Stelle si rifiutano di versare l’obolo mensile di 300 euro all’Associazione presieduta da Davide e soprattutto di sottostare alla regola del limite del terzo mandato che delega al medesimo Davide il controllo tecnico dei candidati a qualsiasi livello. La mitologica Associazione, saldamente legata al Movimento dallo statuto firmato da Davide Casaleggio e da Luigi Di Maio, gestisce il partito che ha stravinto le ultime elezioni nazionali attraverso la piattaforma Rousseau su cui - con votazioni certificate solo da un notaio rivolte a circa 170.000 iscritti - si fanno e si disfano governi, si impastano e si troncano riforme, si salva Matteo Salvini dai processi, si entra alleati gialloverdi con la Lega e si esce compagni giallorossi col Pd. Se i parlamentari si scindono, si ribellano e non pagano, Rousseau scompare. E il canale ufficiale, il “Blog delle stelle”, si spegne. Dal nulla nacque la classe dirigente dei Cinque Stelle, nel nulla può cadere l’Associazione Rousseau. Non erano mica “I Buddenbrook” di Thomas Mann.

Quanta nostalgia per le imprese fallite. Per fortuna c’è il ricordo a mitigare lo sconforto. «Dopo le elezioni europee (maggio 2019, ndr) creeremo un’infrastruttura per milioni di persone. In tutto il mondo ci chiedono di replicare il nostro modello», predicava ovunque sui media Enrica Sabatini, pupilla di Davide, attivista abruzzese, già consigliera comunale di Pescara, oggi terza socia di Rousseau assieme a Pietro Dettori e al capo Casaleggio.

Allora c’era fermento nella sede in affitto a 100.000 euro annui di via Gerolamo Morone di Milano, che fu anche base della Casaleggio Associati, l’azienda di famiglia, sempre guidata da Davide. Da mesi si tentava di plasmare un prodotto esportabile, una piattaforma non fallata - come quella multata dal Garante per la Privacy - da vendere o cedere a organizzazioni gemelle in Europa e anche in Sudamerica, addirittura in India. Tant’è che l’Associazione fu convertita in ente commerciale senza scopo di lucro e furono investite centinaia di migliaia di euro. Il 7 dicembre 2017 al centro studi Sesc di San Paolo, in Brasile, Sabatini era in missione con Casaleggio per illustrare le meraviglie della piattaforma Rousseau. Il sociologo Massimo Di Felice, docente di Teoria delle reti all’università paulista, era interessato a una struttura digitale di resistenza per le popolazioni indigene.

Di Felice è un contatto che Davide ha ricevuto in dote dal mucchio di relazioni estere di papà Gianroberto. Per il tramite di Di Felice, spesso ospite a eventi dei Cinque Stelle in Italia, Davide stringeva relazioni anche in Bolivia. E Sabatini smistava le richieste di informazioni che giungevano copiose da Giappone, Finlandia, Olanda, Estonia. La piattaforma, però, era scadente, piena di buchi, spesso lenta, assai farraginosa e per niente sicura. Il voto del 4 marzo 2018 ha portato 338 seggi ai Cinque Stelle, cioè 300 euro al mese per 338 eletti che vuol dire più di 1,2 milioni di euro di risorse all’anno per riparare Rousseau. Col piglio di chi è ormai padrone, Sabatini reclutò, a titolo gratuito, due conterranei, per l’esattezza di Teramo, due ingegneri informatici che si sono conosciuti a San Francisco: Emanuel Mazzilli che ha lavorato per Twitter e Facebook e che con i 5S corse invano per un posto alla Camera nella circoscrizione Nord America; Vincenzo Di Nicola, che ha fondato Conio, un’applicazione per scambiare criptovalute, il denaro digitale. Mazzilli ha contributo a sviluppare l’odierna piattaforma Rousseau e poi è rientrato in California; Di Nicola ha studiato un progetto per un innovativo sistema di voto. Il ruolo operativo per Rousseau, invece, fu affidato alla società milanese Mikamai.

Il 2018 si chiuse con una visita a Casaleggio, a Milano, di alcuni emissari del partito Congresso nazionale indiano di Rahul Gandhi. Il rampollo Gandhi, che sfidava il presidente uscente Narendra Modi alle elezioni di aprile e maggio 2019, tirò fuori dal cilindro un reddito minimo garantito per il venti per cento delle famiglie indiane e pensò di avvalersi degli strumenti dell’Associazione per rinfocolare la propaganda una volta al governo. Qualche settimana più tardi, per perorare la causa Rousseau, il movimentista Alessandro Di Battista e lo ieratico Luigi Di Maio andarono a omaggiare i Gilet Gialli che infiammavano la Francia per invitarli ad adottare la stessa piattaforma: «Non mollate! Avete lo spirito dei Cinque Stelle, vi offriamo Rousseau», arringò Luigi. Il vicepremier Di Maio, futuro ministro degli Esteri dalla camicia e dalla diplomazia ben inamidate, all’epoca era in piena fase populista e sovranista e per assecondare le ambizioni dell’Associazione formò un’alleanza europea di periferia con i croati di Zivi Zid, che in italiano significa “barriera umana” e si opponevano agli sfratti; i polacchi di Kukiz 15, i finlandesi di Liike Nyt; i greci di Akkel. Tutti potenziali clienti di una Internazionale della democrazia diretta con la regia di Casaleggio. Il 10 marzo 2019, a due mesi dalle elezioni europee, al Villaggio Rousseau di Milano, nel retropalco, l’ingegnere Di Nicola domandò ai 67 partecipanti di scegliere il tipo di pranzo da consumare: pizza, mele, pasta, arance, caramelle.

Non fu alzata di mano o animata discussione, si utilizzò un’applicazione sul telefonino per una votazione anonima e protetta con una vigilanza diffusa grazie alla tecnologia “blockchain” (catena di blocchi, in senso letterale). Nessuno poteva conoscere l’andamento dei risultati durante l’ora di urne aperte. Vinse la pizza, facile previsione di una perfetta esecuzione, ma Casaleggio non ha adottato questo modello per la sua piattaforma. Il sistema chiamato Terminus, però, è stato presentato alla conferenza scientifica Euro-Par 2020. Spiega Di Nicola: «Ogni progetto di avanguardia ha bisogno di investimenti. Purtroppo l’informatica in Italia è percepita ancora come qualcosa di irrilevante, da smanettoni di pagine su internet. La realtà è diversa: un discreto ingegnere a Google prende 300.000 dollari l’anno. Un progetto di voto digitale, con le sue grandi sfide di ricerca crittografica, sviluppo, test e infine rilascio, richiederebbe milioni di euro e tanti mesi di pazienza». Casaleggio virò sull’attuale sistema, più comodo e ordinario. Poi il precipizio. Gli alleati europei dei Cinque Stelle hanno raccolto un misero seggio. Modi ha sconfitto Gandhi. Il moderato Conte ha pensionato il Conte avvocato del popolo. Di Maio adora fare il ministro e non può rinunciare al terzo giro in Parlamento.

A Casaleggio è rimasta la solita piattaforma con tanti difetti e molti sospetti su cui si scaglia il nervosismo dei parlamentari di un Movimento che sprofonda verso percentuali simboliche. Qualcuno solleva principi democratici, altri agitano il conflitto di interessi: la Casaleggio Associati è una società privata che fa consulenze per le strategie su internet, ma l’ascesa dei Cinque Stelle e il doppio ruolo di Davide, dicono i maligni, hanno attirato nuovi affari come quelli con Philip Morris e il gruppo Moby, tant’è che il fatturato dell’azienda è cresciuto fino ai 2,2 milioni di euro nel 2019. Di sicuro i parlamentari sono tenuti a distanza da Rousseau.

Il presidente e tesoriere Casaleggio, lo scorso maggio, con i soci Dettori e Sabatini in collegamento, ha approvato il bilancio 2019 dell’Associazione con un utile di esercizio di 31.000 euro. I ricavi erano di 1,377 milioni di euro, in aumento di 250.000 rispetto al 2018, e provenivano in gran parte dagli eletti. Le “erogazioni liberali” dei sostenitori si sono fermate a 100.000 euro. I costi per il personale, fra collaboratori e sette dipendenti, hanno superato 320.000 euro. Per far funzionare l’Associazione sono stati spesi circa 600.000 euro, oltre la metà è stata utilizzata per comunicazione, servizi amministrativi e telematici. Ormai Rousseau ha una dimensione così definita che impedisce la tolleranza dei “morosi”, non sopravvive senza l’apporto finanziario dei parlamentari, ragion per cui Casaleggio ha disdetto l’affitto e ne ha ridotto la funzione. A molti parlamentari non dispiace. Non hanno capito come si bruciano i 3.600 euro annui a testa. E s’infuriano quando per i Villaggi Rousseau, semplici incontri sul territorio, sono invitati a versare 1.000 euro ciascuno. Il finale è scontato. Il pubblico è già in fila all’uscita.

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