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L’Espresso ha girato queste domande a diversi professori universitari e ricercatori indipendenti, senza coloriture politiche né incarichi ministeriali o regionali. Tutti rispondono che esistono vari sistemi oggettivi di valutazione, utilizzati a livello internazionale per misurare l’impatto degli studi di un certo scienziato. Il più accreditato e diffuso oggi è l’indice di Hirsch (in gergo, H index), dal nome dello studioso californiano che l’ha elaborato nel 2005. È un numero che riassume, per ogni scienziato, quante pubblicazioni ha firmato sulle riviste più accreditate a livello mondiale e, al tempo stesso, quante volte sono state citate da altri studiosi. Se l’indice è 10, significa che ha pubblicato almeno 10 studi, ciascuno dei quali è stato utilizzato e ripreso almeno dieci volte da altri ricercatori. Un dato accessibile a tutti si ricava con Google Scholar, un motore di ricerca gratuito, che però largheggia nei risultati e andrebbe verificato per ogni pubblicazione.
Per evitare errori giornalistici, questo articolo riporta le cifre fornite dai professori indipendenti, che hanno potuto accedere a banche dati più rigorose, riservate agli studiosi accreditati nelle università, come Scopus e Web of Science (Wos). Da notare che le loro email di risposta sono comunque piene di avvertenze, per possibili omonimie, errori, limiti della ricerca per anni o per settori. L’indice infatti varia nel tempo, anche da un mese all’altro, e i risultati dipendono dai criteri di selezione. Anche la materia conta molto: uno studioso dei tumori, dove i centri di ricerca si contano a migliaia, ha maggiori probabilità di pubblicare e ottenere citazioni rispetto a esperti di altri rami della medicina: anche le malattie infettive, prima della pandemia, erano un settore negletto, perché colpivano soprattutto i Paesi poveri. Con tutte queste premesse e relativi margini di errore, i punteggi calcolati per il nostro comitato anti-covid sono interessanti e in qualche caso sorprendenti.
Il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss), Silvio Brusaferro, medico igienista e professore dell’università di Udine nominato nel gennaio 2019 dall’allora ministra Giulia Grillo, ha un indice di 29 secondo Scholar, che scende a 23 con Scopus e a 18 con Wos: la metà dei punti attribuiti al meno affermato dei ricercatori selezionati dall’Espresso. Agostino Miozzo, il coordinatore del Cts, è un tecnico della Protezione civile che ha firmato pochi studi scientifici: il più popolare ha ottenuto 61 citazioni su Scholar dal 2002 ad oggi, il secondo 4, gli altri solo 2, quindi il suo indice è fermo a 2. Uno scienziato di fama internazionale, con una preziosa competenza per le malattie infettive, è invece il direttore dell’Iss, Giovanni Rezza, che ha indici superiori a 60 in tutte le classifiche, con molti studi con diverse centinaia di citazioni. L’unico altro componente del comitato con un curriculum da super esperto di pandemie da virus è Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani di Roma: Scopus gli assegna 72 punti, Wos 61, Scholar 82. Utilissima in tempi di Covid, però, è anche la specializzazione di Luca Richeldi, presidente della società italiana di pneumologia, che ha un indice di 57 per Scopus, 53 per Wos, 65 per Scholar, dopo anni di studi specifici sulle malattie respiratorie.
Molto alti, sopra quota 100, anche i punteggi attribuiti a Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, che ha la modestia di pubblicare su Internet solo un vecchio curriculum con un indice di 82. Indiscutibili anche i meriti accademici di Roberto Bernabei, direttore del dipartimento di scienze dell’invecchiamento del Policlinico Gemelli (99 secondo Scopus), e Massimo Antonelli, responsabile della medicina d’emergenza nello stesso ospedale universitario di Roma (87). Tre scienziati autorevoli, che però si occupano di pandemia solo da pochi mesi: Locatelli è un ematologo e oncologo pediatrico, Bernabei un geriatra esperto di malattie neurologiche, Antonelli di anestesia e rianimazione.
Tra i tecnici del ministero spicca Andrea Urbani, direttore generale della programmazione sanitaria, che ha indici notevoli (45 per Scopus, 44 per Wos, 54 per Scholar) grazie ai suoi studi di biologia molecolare. Nicola Magrini, il direttore dell’Aifa, ha tra 21 e 27 punti, ottenuti con ricerche nel suo settore (antibiotici e altri farmaci). Agli altri esperti del comitato vengono assegnati punteggi molto più bassi. I professori consultati dall’Espresso avvertono però che, in un comitato chiamato a impostare tutta la strategia anti-covid, è sensato inserire anche tecnici o burocrati senza titoli scientifici, dall’ingegnere della protezione civile al manager della pianificazione sanitaria. E fanno l’esempio di Ranieri Guerra, che è entrato nell’Organizzazione mondiale della sanità non come scienziato, ma come specialista di medicina d’emergenza e ospedali da campo in Paesi ad alto rischio.
Per confronto, L’Espresso ha chiesto di calcolare gli indici di altri due esperti, i primi intervistati dal nostro settimanale all’inizio della pandemia, che non fanno parte del comitato.
Andrea Crisanti, professore di microbiologia arrivato a Padova dall’Imperial College di Londra, ha indici compresi tra 60 e 79. Rino Rappuoli, capo degli scienziati della GlaxoSmithKline, con un passato di ricercatore statale in Italia, ha punteggi ancora più stellari: 115 per Scopus, 111 per Wos, 138 per Scholar. Ed entrambi si occupano da sempre proprio di virus e pandemie.