Buoni spesa e aiuti per la didattica? Il centrodestra esclude la solidarietà

Gli stranieri tagliati fuori dagli aiuti alimentari e bonus per la connessione internet per la dad. Lo slogan sovranista "Prima gli italiani" si ripete nei fatti anche con la pandemia. Ma questa volta paradossalmente a farne le spese sono proprio gli italiani, non residenti e senzatetto

“Prima gli italiani” non è solo uno slogan politico, buono per qualche tweet. È un programma attuato che nei mesi della pandemia ha colpito chiunque, i senza fissa dimora costretti a chiedere l’elemosina e a vagare per le città in cerca di cibo. Il personale sanitario che porta sollievo agli allettati. Gli studenti privati di pc o connessione internet e quindi esclusi dalla didattica a distanza. E il Leitmotiv è sempre lo stesso: lo si può capire ascoltando le proteste dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione (Asgi), sfogliando i pareri legali che l’UNAR (l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) in questi mesi ha scritto ad Anci, Regioni, Ministri.
 
"Prima gli italiani" è un principio applicato dentro l’emergenza da Coronavirus con strepitoso successo. Da destra e sinistra. A venire colpiti però sono stati anche “i nostri”. Gli italiani, appunto. 
 
Buoni spesa “prima agli italiani”, purché non siano senzatetto
Lasciare ai margini chi non ha niente, è stata la scelta politica comune a molte amministrazioni trainate dal centro-destra. Ma senza distinguere tra italiani e stranieri. È andata così: il 29 marzo viene pubblicata un’ordinanza della Protezione Civile che assegna ai Comuni un contributo pari a 400 milioni di euro per interventi di solidarietà alimentare. Ogni Comune può erogare i soldi in formato di buoni spesa per l’acquisto di generi alimentari o direttamente in prodotti di prima necessità. L’ordinanza prevede però che siano i Comuni stessi a individuare i beneficiari. Una discrezionalità ampia che finisce, paradossalmente, per discriminare anche gli stessi italiani che alcuni comuni, a maggioranza di centro-destra, vorrebbero “prima” degli altri: il criterio della residenza, scrive l’Unar nell’ennesimo parere legale, discrimina gli italiani oltre che stranieri privi di fissa dimora. 

A Ferrara, governata dal sindaco Alan Fabbri della Lega, sono esclusi dai buoni spesa gli stranieri extracomunitari con un permesso di soggiorno ordinario, i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale. Sono invece ammessi quelli con permesso di soggiorno per lungo-soggiornanti. Identica distinzione anche a Voghiera, governata dal sindaco Paolo Lupini, lista civica Progetto Comune, in provincia di Ferrara. A Ventimiglia, dove il sindaco è Gaetano Scullino, Forza Italia, la delibera di giunta non accenna a distinzioni tra italiani, comunitari e stranieri extracomunitari, ma poi leggendo il modulo predisposto per fare domanda si scopre che possono presentarla solo chi è iscritto alle liste elettorali (ossia italiani e comunitari).

Anche i comuni di Asti, Perugia e Alessandria (trainati dal centrodestra) avevano escluso stranieri con permessi di soggiorno ordinario, per poi fare marcia indietro, cambiando anche la modulistica, e ora i buoni spesa sono per qualunque residente in difficoltà che non sia già beneficiario di altre forme di sostegno.

A Ferrara l'esclusione degli stranieri dal buono è finita in Tribunale. Un cittadino ghanese, sostenuto dall'Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi), ha deciso infatti di presentare un ricorso per discriminazione contro il Comune. Ha un permesso di soggiorno per motivi di studio: finora ha vissuto con la borsa di studio e con lavori occasionali, in particolare come steward allo stadio. Poi per lui, come per tutti, è arrivata la crisi. Emblematico è il caso dell’Aquila governata dal sindaco Pierluigi Biondi (Fratelli d’Italia), anche qui buoni alimentari solo per i residenti. “Prima gli aquilani”, dunque. Una politica che ha escluso una famiglia residente in Puglia, ma domiciliata all'Aquila da tempo. Un membro, inoltre, era stato impiegato nella ricostruzione post-sisma fino all'inizio dello scorso febbraio, rimanendo poi disoccupato. Dopo il ricorso del Tar, il sindaco Biondi decide di sospendere i bonus sulla falsariga di “o solo gli aquilani o nessuno”. Costretto poi a ripristinarli dopo un’ulteriore pressione del Tribunale Amministrativo Regionale dell’Abruzzo.
 
 
Didattica a distanza ma tricolore
Anche dentro l’emergenza scolastica che oscilla tra didattica in presenza e digitale integrata, alcune amministrazioni hanno distinto tra studenti di serie A e B. È il caso più recente quello della Regione Basilicata. Le famiglie che non risultano iscritte all’anagrafe, seppur in possesso del requisito ISEE previsto dalla delibera regionale, non potranno ricevere per i propri figli un aiuto dalla Regione per l’acquisto di computer o altri strumenti informatici, essenziali per la didattica a distanza. Lo hanno denunciato ASGI e Lunaria al Presidente Regione Basilicata, Vito Bardi eletto con il centro-destra, segnalando gli addetti della Delibera della Giunta regionale del 17 febbraio 2020 che prevede un bonus a fondo perduto per le famiglie lucane con un reddito Isee fino a 10.000 euro per l’acquisto di beni e dispositivi informatici ma solo per: “i nuclei familiari in cui il soggetto richiedente, nella persona di uno dei genitori o del tutore legale, a pena di inammissibilità, alla data di presentazione della domanda sia residente in Basilicata”. 
 
Requisito che esclude i bambini dei cittadini stranieri privi di regolare permesso di soggiorno e quindi non iscritti in anagrafe. Inoltre, lesivo del diritto del minore ad ottenere un’istruzione. ASGI e LUNARIA, in assenza di riscontri alla lettera da parte della Regione Basilicata, hanno comunque supportato alcuni cittadini stranieri privi di residenza anagrafica, genitori di figli frequentanti la scuola dell’obbligo nel Comune di Matera, che hanno presentato richiesta di bonus indicando il proprio domicilio. 
Anche su questo ennesimo provvedimento si è espresso l’Unar con una nota che evidenzia la lesione al diritto allo studio: “Sarebbe opportuno sostituire il requisito della residenza anagrafica di uno dei genitori o del tutore con quello dell’iscrizione del minore presso un istituto scolastico della Basilicata”.
 
“Prima i medici italiani” che non ci sono. Come in Campania.
E infine ci sono gli ospedali. Per affrontare l’emergenza Covid, il decreto Cura Italia apre le porte del Sistema sanitario nazionale a medici e professionisti sanitari stranieri, ma le amministrazioni di Ospedali e Asl le chiudono.  Il caso più eclatante resta quello della Campania: il 15 novembre la Protezione Civile recluta medici specializzati da destinare alla Regione governata dal presidente Vincenzo De Luca. 
Sfogliamo i requisiti: “alla lettera a) si richiede la cittadinanza italiana o di un Paese dell’Unione Europea o, per i familiari di cittadini UE, il diritto di soggiorno permanente” e continua “possono avanzare richiesta i cittadini provenienti da Paesi extra-Ue, purché in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo”. È la chiusa che fa preparare, ancora una volta, all’Ufficio Antidiscriminazione una nota legale perché il bando viola di Decreto Cura Italia che prevede “fino al termine dell’emergenza sanitaria” che i cittadini in possesso di un permesso di soggiorno che permette di lavorare, possono essere assunti alle pubbliche dipendenze per l’esercizio sanitario e di operatori. Insomma: non è dunque necessario il possesso del permesso soggiorno di lunga durata. 
L’effetto del bando della Campania, considerato “illegittimo” dall’Unar, è visibile alla scadenza: sono solo 165 le domande giunte al Dipartimento della Protezione Civile per il reclutamento di 450 medici. 
Ma sono stati moltissimi i bandi di concorsi che hanno escluso i camici bianchi extra Ue, con la richiesta del requisito di «cittadinanza italiana o di paesi dell’Unione Europea».

Comuni e regioni: da Bergamo passando per Civitavecchia e arrivando Matera. Ci hanno provato e poi ripensato regioni come l’Umbria, dove i bandi escludevano il personale straniero. L’azienda ospedaliera di Perugia alla fine ne ha emesso uno (con scadenza al 25 novembre) che non preclude l’accesso in base alla cittadinanza. E ha fatto marcia indietro il Piemonte del governatore di centro-destra Alberto Cirio, dove erano stati emanati dieci bandi, non rispettosi della deroga, per assunzioni legate all’emergenza riguardanti diversi profili come infermieri, tecnici di laboratorio, tecnici di radiologia e operatori sociosanitari. Da oggi via libera anche al personale sanitario extracomunitario in regola con il permesso di soggiorno.
 
Una vittoria che fa ben sperare, ha dichiarato il presidente Foad Aodi, presidente associazione medici di origine straniera in Italia (Amsi): “Il fatto che Piemonte e Umbria ci abbiano ripensato è importante”,  afferma. “Sono due regione governate da forze di centrodestra e questo fa ben sperare, perché significa che il pregiudizio ideologico e politico verso gli stranieri non ha retto alla prova dell’emergenza sanitaria che ci rende uguali nei diritti e nei doveri”.
 
A conti fatti, la scelta di escludere i medici stranieri appare fuori da ogni logica. Per capirlo basta leggere le stime di Anaao Assomed, il principale sindacato dei medici ospedalieri, per i nuovi posti letto di area critica mancano circa 5mila specialisti: la metà anestesisti e altrettanti tra internisti, infettivologi e pneumologi. Secondo l’ordine nazionale Fnopi sarebbero almeno 20 mila gli infermieri che mancano. Eppure, in Italia sono presenti circa 77.500 stranieri con qualifiche sanitarie, dei quali 22mila medici e 38mila infermieri (stime Amsi). Bloccati all’ingresso. 
 
Come si legge nei pareri scritti dall’Unar, ad esempio quello inviato alla Conferenza Stato-Regioni e al ministro della Salute, Roberto Speranza: «Il requisito richiesto non solo viola le indicazioni fornite dal Decreto “Cura Italia” » scrive l’Unar «ma è discriminatorio in quanto impedisce l’accesso all’esercizio della professione sanitaria a migliaia di medici, infermieri ed OSS stranieri che vivono regolarmente in Italia e che potrebbero contribuire in maniera significativa alla lotta al Covid- 19».
 
Raggiunto da L’Espresso, Triantafillos Loukarelis, direttore dell'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della presidenza del Consiglio dei ministri (Unar) spiega: “Continuiamo a vivere come se fossimo in una situazione di normalità, a far finte che alcune persone non esistano.  In realtà quello che serve oggi è mettere in sicurezza le comunità” 
E ha aggiunto: “Ci sono due tipologie di errori che portano a discriminazioni: l’incompetenza, cioè la scarsa formazione di personale pubblico che fa copia-incolla di regolamenti escludendo pezzi di popolazione anche in situazione disperata come questa”. L’esempio è nel numero esponenziale di denunce che arrivano all’Unar: “Abbiamo avuto tantissime persone Rom e Sinti che non hanno potuto avere buoni alimentari, persone senza casa, migranti. Persone che dovremmo sostenere se non altro per umanità”. Loukarellis evidenzia poi un altro aspetto, fondamentale dentro questa nostra storia recente: “La propaganda politica: scelte precise che vanno da prima gli italiani, a prima gli aquilani. Sfruttare il momento per dare un segnale ai propri elettori di essere duri e puri, non guardare in faccia nessuno. Tenere fuori pezzi di popolazione, anche italiana, dalla possibilità di avere un aiuto”.
 

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