Le ipotetiche virtù terapeutiche di questa proteina hanno scatenato la corsa agli acquisti, gonfiando i profitti dei produttori. Ma ora studiosi e aziende fanno marcia indietro. «Nessuna certezza». E arriva anche una condanna per pubblicità ingannevole
Chi soffia sull'equivoco della lattoferrina come arma anti-covid? In tutt’Italia è corsa alle farmacie. Le scorte sono esaurite. Gli integratori basati sulla molecola naturale vanno a ruba. E a poco sono fin qui serviti i richiami e gli avvertimenti di medici e studiosi. Roberto Burioni, per esempio, nei giorni scorsi ha chiarito che «non esiste alcuna evidenza clinica» in merito all’efficacia della lattoferrina contro il Covid, visto che i risultati sono ancora tutti da verificare. A innescare l’euforia collettiva per questa presunta cura è stata una ricerca pubblicata nelle scorse settimane dall’università di Tor Vergata, a Roma.
Non c’è nessuna certezza, affermano adesso gli stessi autori dello studio. Ormai la miccia è stata accesa, però. E nel giro di poche settimane, mentre la seconda ondata del contagio investe l’Italia, la lattoferrina è diventata l’oggetto del desiderio di milioni di italiani in cerca di rassicurazioni, tra articoli pseudoscientifici in Rete, passa parola e medici di famiglia poco scrupolosi. È un boom commerciale senza precedenti, mentre le aziende che producono e vendono gli integratori vedono aumentare ricavi e profitti. Tutto sul filo del conflitto d’interessi, perché è stata proprio la ditta la napoletana Tdc (Technology Dedicated to Care), in prima linea nel nuovo business, a promuovere e finanziare lo studio di Tor Vergata. E così, una proteina solitamente usata in maniera generica per combattere le infezioni, e che in quanto tale "non può che far bene", è finita con l'essere scambiata per un rimedio risolutivo al virus.
Questa storia, una commedia degli equivoci al tempo del virus, va però raccontata da principio, partendo proprio dallo studio accademico che per primo ha illuminato le ipotetiche virtù anticovid della lattoferrina. Nei mesi scorsi, l’università Tor Vergata, con la collaborazione della Sapienza, altro ateneo romano, ha svolto una ricerca sugli effetti benefici di questa proteina in tempo di pandemia. Elena Campione, professore associato di Dermatologia del Policlinico di Tor Vergata, aveva notato come i bambini, che ne hanno un'alta concentrazione, al contrario degli adulti, sviluppassero meno i sintomi del covid.
L'ipotesi: la lattoferrina, presente soprattutto nel latte materno, "mangerebbe" il ferro di cui si nutre il virus, bloccandone la "crescita". Insieme a Campione, partecipano allo studio, tra gli altri, Luca Bianchi (Ordinario e Direttore della UOSD di Dermatologia), Massimo Andreoni (Ordinario di Malattie Infettive al Policlinico Tor Vergata), Piera Valenti (Ordinario di Microbiologia della Sapienza). Come oggetto della sperimentazione, usano l'apo-lattoferrina in ribosomi, una variante dell'originale "protetta" da (appunto) ribosomi e privata di un atomo di ferro per aumentarne gli effetti benefici. Il suo brevetto (col nome commerciale di Apo-Lact) appartiene alla Tdc, che ha anche fornito agli studiosi la proteina al centro dell’indagine scientifica.
Secondo gli autori, i primi risultati, calcolati su un campione di appena cento persone, evidenziano «la remissione dei sintomi clinici nei pazienti» dopo il trattamento. La ricerca viene pubblicata in sordina, a luglio, sulla rivista
Journal of molecular sciences. Poi in settembre, con la seconda ondata che avanza, lo studio viene ripreso dai giornali italiani, sulla base di un comunicato stampa diffuso dall’università di Tor Vergata. Il titolo è eloquente: “Una risposta contro il Covid-19: la glicoproteina lattoferrina”. Nel testo si legge che “le proprietà antivirali ed antinfiammatorie della lattoferrina (…) la candidano come molecola ideale per trattare i pazienti Covid19 positivi”. La buona novella si diffonde in fretta tra medici di base e pediatri, che consigliano l’integratore ai pazienti.
Il 28 settembre, parlando con la testata online “
Sanità informazione”, Andreoni, coinvolto nella ricerca dell’ateneo romano, dichiara che «somministrando la lattoferrina sia in compresse sia come spray, abbiamo visto che i tempi di eliminazione del virus effettivamente si accorciano». Poi il professore romano, un luminare dell’infettivologia, precisa: «Sono dati preliminari e bisogna attendere dati più ampi e definitivi per poterlo affermare con certezza, ma è certamente una questione interessante da approfondire». Una settimana fa, però, quando ormai la lattoferrina-mania è esplosa in tutta Italia, Andreoni getta acqua sul fuoco. «La proteina si compra in farmacia come la vitamina C o qualsiasi altro prodotto, quindi non si fanno danni, ma io lo sconsiglio», dice all’emittente romana
Radio Radio.
Insomma, rispetto a un mese prima, toni e parole si sono fatte più prudenti. Del resto, lo stesso comunicato ufficiale di Tor Vergata a luglio definiva
«probabile» l'efficacia anti-covid, senza citare esplicitamente che si trattasse di un'indagine "pilota". Quello studio diventa il trampolino sfruttato da un’azienda di San Marino, la PromoPharma, per lanciare un integratore a base di lattoferrina. In una pubblicità pubblicata il 28 ottobre dal Corriere della Sera il prodotto di PromoPharma viene testualmente definito “l’alleato naturale contro il coronavirus”. Tempo pochi giorni e arriva la condanna dell’Iap, l’Istituto per l’autotutela pubblicitaria, che rileva come il messaggio promozionale sia tale da “generare erronee aspettative nel consumatore”. Viene inoltre qualIficato come “scorretto il riferimento a studi di letteratura scientifica che il pubblico non è in grado di valutare criticamente”.
«Ma è sempre stato chiaro che si trattava di valori preliminari», dice a L’Espresso Elena Campione, che ha promosso lo studio di Tor Vergata. E aggiunge che «in casi così i dati vanno ogni volta approfonditi, non sono mai definitivi». Anche Biancardi, fondatore, direttore tecnico ed ex azionista di controllo (le quote sono state cedute ad altri famigliari) della Tdc, ora prende le distanze. «Ha ragione Burioni - dice - non comprate la lattoferrina, non aiuta contro il covid».
La piccola ditta di Biancardi, una decina di dipendenti, ricavi per un milione di euro circa nel 2019, fino a un paio di anni fa era conosciuta tra gli addetti ai lavori più che altro per i prodotti veterinari destinati ai cavalli. Nel 2018 l’azienda ha anche cambiato nome. Prima si chiamava Terra di Cuma. Tdc, la sigla è la stessa, l’insegna è diversa, certo più utile alle vetrine internazionali rispetto a quella precedente.
E l'Apo-Lact, il prodotto di punta della società? «Gli studi sull’Apo-Lact vanno ancora approfonditi», ammette il farmacista napoletano e racconta che è stata l’università di Tor Vergata a cercarlo. Nel comunicato stampa sulla ricerca accademica si parla però genericamente di lattoferrina e non della variante sviluppata dall’azienda campana. Un equivoco non da poco, secondo Biancardi. Che afferma: «Credo che questa comunicazione sbagliata, che poi è arrivata ai giornali, abbia generato confusione e creato queste code inutili in farmacia». Inutili per la salute, s'intende.
«Nessun equivoco», ribatte Campione, la professoressa di Tor Vergata, che ha firmato lo studio. «Ci sono accordi fra aziende private e università», dice. Conflitti d’interessi? «Le ricerche avvengono così, ovunque. Senza guadagnarci un euro. Semplicemente, ci si accorda con le aziende affinché mettano a disposizione il materiale necessario: altro che finanziamenti. E io non ho mai detto di correre in farmacia: a salvarci sarà il vaccino, la lattoferrina al massimo può servire da “scudo”».
Tutto nella norma, insomma. L’università diffonde dati ottimistici, sulla base di un semplice studio preliminare. La notizia fa il giro della rete. Inizia il passaparola che innesca la corsa agli acquisti. Fino a quando gli esperti precisano, correggono, spiegano. Dopo quasi due mesi di follia collettiva la bolla della lattoferrina infine scoppia. Restano i profitti. Quelli delle aziende. E delle farmacie.