Quando il corteo è arrivato davanti al Colosseo, diversi gruppi di turisti in visita hanno dato le spalle all'arena dei leoni e dei gladiatori e hanno iniziato a fotografare le bandiere della pace, quelle della Palestina e le migliaia di persone che sfilavano contro la guerra. Nel pomeriggio di sabato 21 giugno, a Roma si è tenuta la manifestazione "contro guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo", appoggiata da oltre 400 associazioni che aderiscono alla campagna europea "Stop Rearm Europe".
"L'organizzazione è partita dal basso, senza partiti o sigle sindacali, abbiamo messo 50 euro a testa, come si faceva una volta", racconta Giuseppe De Marzo, economista, scrittore e attivista della Rete dei numeri pari, una delle realtà che hanno preso parte alla mobilitazione. La piazza, secondo De Marzo, ha tradotto un sentimento crescente e condiviso in modo trasversale: "Perfino chi non si è mai interessato di politica ora vuole andare in piazza. Il tema della guerra è diventato centrale e chiede una risposta collettiva". Secondo l'attivista, il riarmo è il modo con cui il sistema blinda un’economia ormai insostenibile: "Degli 800 miliardi di euro destinati alle armi, ogni centesimo viene sottratto a salute, riconversione ecologica e politiche sociali". Le forze armate, ricorda, sono escluse dai conteggi ufficiali del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico. "Le emissioni del comparto militare europeo pesano già per circa il 5 % del totale continentale. Se aumentano, crescono disuguaglianze, povertà, pandemie e collasso climatico".
Che il clima sia una minaccia per il futuro lo si intuisce anche dal caldo torrido che c'è a Porta San Paolo alle 14, quando parte il corteo. Il meteo non ha impedito la grande partecipazione di associazioni e realtà locali di tutta Italia. Di tanto in tanto, qualcuno si ferma a lato del corteo per cercare l'ombra, ma per poco: "Un minuto e torniamo dentro, voglio stare in mezzo con gli altri". Il primo a parlare dal carro è Yousef Salman portavoce delle comunità palestinesi di Roma e del Lazio: "Ringrazio tutti voi che siete scesi in piazza per dire no allo sterminio e chiedere un mondo più giusto. Lo Stato di Israele è un cane da guardia, ha aggredito il anche il Libano, e l’Iran, mentre in Palestina c’è il genocidio e si continua a morire sotto gli occhi di tutti".

Tra le forze politiche, hanno aderito il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra. "L'orrore di chi viene ucciso per un pugno di farina a Gaza è inaccettabile", denuncia Angelo Bonelli, portavoce di Alleanza Verdi-Sinistra. "Ieri Giorgia Meloni ha umiliato il nostro Paese perché Netanyahu e Trump le hanno detto di non andare a Ginevra per i colloqui di pace. L'Italia non può essere vassalla". Il Partito democratico non è presente. La segretaria Elly Schlein è attesa ad Amsterdam per un vertice con Verdi e Socialisti. Ha partecipato alla piazza l'europarlamentare dem Cecilia Strada: "Sono una parlamentare europea, ma sono anche una brava persona. Faccio molta fatica al Parlamento, dove in 12 mesi ho chiesto 12 volte la sospensione dell'accordo tra Ue e Israele. Questo doppio standard sta uccidendo i valori dell'Europa".

Arrivati davanti al Colosseo, decine di manifestanti si sono stesi davanti al carro su lenzuoli bianchi. Tutto il corteo si è fermato ad ascoltare il ronzio e le esplosioni delle bombe su Gaza. Quattro minuti al termine dei quali è iniziato "un minuto di rumore per i bambini e le bambine in Palestina, perché bisogna restare in silenzio quando dormono, non quando muoiono". Quello doveva essere anche il punto conclusivo del corteo, ma l'inatteso numero dei partecipanti ha portato gli organizzatori a chiedere di spostare il luogo di arrivo in via San Gregorio, vicino all'Arco di Tito. "Siamo 50 mila", annunciano al microfono i promotori.
Lì si sono tenuti gli interventi conclusivi. "Hanno ucciso oltre 20mila bambini, hanno colpito gli ospedali - ha detto il portavoce della comunità palestinese a Napoli Omar Suleiman - Non ci può essere pace senza giustizia in Palestina".

Da Porta San Paolo a via San Gregorio, in testa al corteo hanno sfilato anche degli attivisti della diaspora iraniana, con cartelli contro la dittatura che dicono "no alla Repubblica Islamica" e che ricordano Mahsa Amini. "A Teheran, la popolazione è stata lasciata in balia di bombe che entrano nelle case e distruggono tutto", dice dal palco Parisa Nazari, iraniana e attivista di Donna, vita, libertà. "Le iraniane che stanno portando avanti azioni di protesta e disobbedienza civile non hanno bisogno di un uomo ricercato per crimini contro l'umanità. A Nethanyau il nostro movimento dice: non ti permettere di usarci per poi ucciderci". Dire che attaccare un Paese aiuta il rovesciamento di un regime, spiega Nazari, "è infantilizzarci. Faremo cadere la dittatura misogina e liberticida, ma non in questo modo. 'Donna, vita libertà' mette al primo posto la donna ma mette al centro la vita, perciò non potete ucciderci per farci vincere una rivoluzione. Ce la facciamo da sole".
La manifestazione si è conclusa poco prima delle 19, i partecipanti sono defluiti verso la metropolitana. Nei vagoni sono continuati i canti e gli applausi. A Termini si dividono le strade tra manifestanti romani e i non romani che tornano a casa. "Arrivederci, è stato bello ritrovarsi. Alla prossima resistenza".