Ha vissuto per quattordici anni solo con minestre e omogeneizzati. Perché soffre di un disturbo selettivo chiamato Arfid. Che lega l'alimentazione al disagio contemporaneo. E gli psicologi lanciano l'allarme: «Un fenomeno in crescita tra gli adolescenti»

«Ho mangiato omogeneizzati e pastine fino all’età di quattordici anni. Non lo so nemmeno io perché non masticavo. Di sicuro avevo un blocco». Alessandro deve festeggiare ancora il suo quindicesimo compleanno e racconta di un cambiamento di vita radicale: è stato lui a chiedere di essere ricoverato. «Il mio primo approccio con il cibo solido è stato con uno spicchio di mela, e mi sono venuti i conati di vomito. Non potevo uscire con gli amici e andare alle feste, oppure dovevo raggiungerli dopo o non mangiare. E, quando un amico mi ha proposto di andare al mare con la sua famiglia, ho dovuto dire di no. Questa cosa mi dava molto fastidio, mi limitava tantissimo. Allora ho pensato che avevo un problema e che dovevo risolverlo». 

Quello di Alessandro è un disturbo selettivo, si chiama Arfid e riguarda la paura del cibo: mangiare solo certi alimenti, di un determinato numero, colore, consistenza, o non associati, non mischiati tra loro. 

«Per colazione voleva il latte con i biscotti sbriciolati, e lo beveva solo con la cannuccia», dice sua madre Elisabetta. «Poi la minestrina rossa con l’omogeneizzato, lo yogurt e a volte l’uovo battuto, tutti i giorni, sempre. E, se eravamo fuori casa e non era possibile preparare ogni cosa nel modo in cui la voleva, era disposto a restare completamente digiuno. Da quando era piccolo lo abbiamo portato da pediatri e psicologi. Non siamo di quei genitori che non vogliono vedere un problema. Non ce ne siamo vergognati e abbiamo fatto in modo che Alessandro non lo facesse, riuscendo a preservare le sue relazioni sociali. Gli amici lo sapevano tutti, ma nessuno chiedeva o diceva una parola, perché lui non voleva parlarne apertamente. Sono stata io a informare i loro genitori, con il suo consenso o su sua indicazione, e quando è stato ricoverato ha ricevuto tantissime visite». 

Alessandro è alto 186 centimetri e ha il 47 di scarpe. È una questione genetica, anche, di famiglia, ma ha già superato tutti. «Quando è arrivato a Palazzo Francisci a Todi, i suoi valori erano buoni, lui era già cresciuto tanto e da noi è rimasto per quattro mesi. Di solito – spiega la dietista Ingrid Palazzetti – ci sono problemi di crescita, alle ossa, nello sviluppo puberale e tanto altro che dipende dallo squilibrio nutrizionale. Lui non ne aveva e riusciva a soddisfare il senso della fame ma non quello del gusto, quindi abbiamo dovuto svezzarlo, rieducarlo gradualmente e insegnargli a usare forchetta e coltello. Non avendo mai masticato, quando ha iniziato a farlo i suoi denti gli hanno fatto molto male. Ci ha stupito anche che avesse tanti amici, perché i disturbi selettivi portano all’isolamento e di conseguenza pure alla depressione».

Gli Arfid sono l’unico predittore accertato per anoressia, bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata. Si parla del 60 per cento. I casi italiani sono 300 mila e il 60 per cento sono maschi. 

«Non si tratta più di vicende che riguardano solo il femminile», ricorda la psicoterapeuta Laura Dalla Ragione, che insieme a Paola Antonelli ne ha parlato anche nel libro “Le mani in pasta. Riconoscere e curare il disturbo selettivo dell’alimentazione in infanzia e prima adolescenza” (edito da Il pensiero scientifico). “Nel disturbo da alimentazione incontrollata, il rapporto tra maschi e femmine è di 3 a 4. Nell’anoressia e nella bulimia si arriva al 20 per cento, mentre dieci anni fa si parlava di 1 per cento. Oggi i selettivi non riguardano più solo i bambini, ma anche gli adolescenti e i giovani adulti. Sono in aumento come tutti gli altri disordini alimentari, perché interpretano il disagio contemporaneo. L’identità è legata fortemente al corpo e al cibo: siamo quello che non mangiamo. In più siamo circondati da numerose fake news. Questo è il terreno fertile sul quale si poggia una multifattorialità che per i selettivi ha quasi sempre un’origine traumatica, tant’è che Alessandro aveva avuto gravi problemi respiratori dai primissimi mesi di vita, fino a quelli successivi all’inizio dello sviluppo»

I dati più recenti sono estrapolati dal Progetto Sorveglianza Epidemiologica CCM del Ministero della Salute 2019-2020, attualmente in corso. La differenza che balzerà di più agli occhi, quando tutti i numeri saranno al proprio posto, rileverà una mortalità molto più alta in metà delle regioni italiane, dove non c’è una rete completa di assistenza, specializzata per queste patologie.