Ciao Italia,
È forse grazie a Tom Hanks che molti americani hanno compreso la gravità del virus Covid-19. Il 12 marzo l’attore hollywoodiano e sua moglie hanno reso noto di essere risultati positivi durante un viaggio in Australia e di essersi messi in isolamento. Nel frattempo, mentre nello stato di Washington, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, i casi continuavano ad aumentare e gli esperti individuavano il paziente zero (un businessman tornato da Wuhan),
il presidente Donald Trump e il suo entourage aspettavano a prendere provvedimenti.
Ancora fino a qualche giorno fa programmi in onda sul
canale Fox, noto per essere il portavoce del governo e della sua propaganda, parlavano di una finta epidemia. Presentatori e presentatrici con lo sguardo dritto in camera dicevano ai propri spettatori che il coronavirus non era più pericoloso di una comune influenza. "È un’arma politica contro il presidente."
Poi le cose sono cominciate lentamente a cambiare. Nella capitale, Washington, dove abito io, i primi casi confermati sono stati ricollegati ad un convegno di conservatori a cui hanno partecipato anche il presidente e il suo vice Mike Pence, ora a capo del team responsabile del contenimento dell’epidemia.
Questo è un anno di elezioni qui negli USA. A novembre gli americani dovranno votare se tenere Trump o scegliere un candidato del partito democratico. Il virus è un caso politico più che mai.
Il 13 marzo Trump ha finalmente annunciato confuse misure d’emergenza: stanziamento di fondi, test e tamponi per tutti (cosa non vera) e blocco dei voli dall’estero (annuncio che ha scatenato la corsa all’ultimo biglietto, con americani che hanno speso fino a 20.000 dollari per un volo, per poi sapere che le restrizioni non si applicano ai cittadini).
Ai giornalisti che volevano sapere il motivo di queste misure, tardive e poco decise, Trump ha risposto senza esitazione: "Io non mi prendo alcuna responsabilità".
Mentre il presidente pensava a come rispondere all’allarme dei servizi segreti che già a gennaio parlavano di possibile pandemia,
alcuni senatori ne hanno approfittato e si sono arricchiti. Registrazioni segrete pubblicate dalla stampa americana hanno rivelato come il senatore repubblicano Richard Burr abbia venduto le sue azioni in settori potenzialmente a rischio subito dopo aver ricevuto informazioni classificate sulla gravità dell’epidemia.Burr, che pubblicamente rassicurava i suoi costituenti, si è liberato degli investimenti in società alberghiere di un valore di più di 250 mila dollari, azioni che ora hanno un valore nettamente inferiore a causa del crollo dei mercati. Come lui altrei due senatori hanno rivisto i propri portafogli azionari dopo aver avuto accesso alle informazioni classificate.
Le elezioni presidenziali stanno anche mettendo a nudo la differenza tra gli stati, e tra ricchi e poveri.
Alcuni stati chiamati ad eleggere il candidato democratico stanno valutando se chiudere le urne e attrezzarsi per effettuare le votazioni per posta. In Illinois e Florida, le urne sono rimaste aperte ma molti non si sono presentati per la paura del contagio, inclusi alcuni degli addetti ai lavori.
Mentre lo stato di New York annuncia ogni giorno misure più severe, altri, come il District of Columbia, centro politico del paese, si stanno ancora abituando all’idea.
I musei e gli uffici sono chiusi. Alcuni ristoranti offrono cibo a portar via. Un’insegna luminosa vicino ai monumenti nell’area che circonda la Casa Bianca ricorda alla gente di mantenere le distanze gli uni dagli altri. Le biblioteche comunali sono chiuse ma offrono lo streaming gratuito di film. Molte palestre offrono training online. Le scuole anche sono chiuse, mettendo purtroppo a rischio le molte famiglie disagiate che dipendono dai sussidi scolastici per dare da mangiare ai propri figli. (
Negli Stati Uniti, per milioni di bambini e ragazzi che usufruiscono del servizio mensa il pranzo gratis o a prezzo ridotto che mangiano a scuola è l’unico pasto giornaliero).
Molti interventi sociali sono lasciati a privati cittadini. Lo chef Jose Andres, uno spagnolo divenuto famoso negli USA per le sue tapas e il suo impegno politico, ha trasformato i suoi ristoranti in cucine che preparano cibo per i bisognosi. Altri decidono di supportare i bar e i club di quartiere comprando coupon da spendere in un futuro, quando riapriranno. Alcuni ristoranti, seppure chiusi, lasciano le insegne luminose accese, come simbolo di speranza.
Sono in milioni i precari che hanno perso il lavoro a causa dell’epidemia e rimangono in attesa del sussidio di disoccupazione.
Naturalmente le statistiche non tengono conto di tutti gli immigrati non in regola che questa amministrazione ha cercato per mesi di scovare e rimandare in patria. Al momento sembra che l’epidemia abbia messo un freno alle squadre degli agenti dell’immigrazione che hanno detto di voler arrestare "solo i criminali".
La notizia sulle file fuori dai negozi di armi ha fatto il giro del mondo. Ma
l’aumento delle vendite di armi e munizioni è una consuetudine in questo paese e succede praticamente dopo ogni evento drammatico, inclusi gli omicidi di massa. Secondo gli esperti, dopo tali eventi, i fanatici temono che il governo possa imporre restrizioni sull’uso delle armi da fuoco e allora fanno scorta.
Qui in America dell’Italia si parla come di un caso drammatico. Ma distante, purtroppo. Sarebbe bello se più politici usassero l’esperienza italiana come monito, o linee guida per quello che si deve o non deve fare. Invece ci si limita ad ammirare quelli che cantano alla finestra. Almeno all’aeroporto di Fiumicino già a metà febbraio i volontari della Croce Rossa controllavano le temperature di chi arrivava. Qui all’aeroporto di Dulles in Virginia, a 40 kilometri dal Pentagono, nessuno ha fatto domande nemmeno ai viaggiatori dalla Corea che passavano i controlli bardati e con mascherine antivirus.
Persino l’NBA, l’associazione di basket americana, era preparata all’evenienza. Con 200 impiegati in Cina da gennaio ha messo in atto un piano anti-pandemia formulato negli ultimi anni. E in poche settimane ha iniziato a sottoporre ai test gli atleti, alcuni dei quali sono risultati positivi.
Come in Italia, anche qui fa rabbia sapere che
i tagli alla sanità e le politiche miopi degli ultimi anni hanno contribuito a peggiorare la situazione. Nel caso americano, l’eliminazione dell’unità del Consiglio di Sicurezza Nazionale incaricata di monitorare e fermare le epidemie. Una decisione definita "un errore" dal dottor Anthony Fauci, il direttore dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive chiamato ad aiutare il team governativo – e, al momento, anche una delle poche fonti autorevoli di informazioni.
Come lui, è da tempo che anche qui medici e scienziati suonano l’allarme. Anche sui costi che tutto ciò comporta. Dopo una battaglia portata avanti dalla deputata californiana Katie Porter, il test -- dal costo iniziale di 1.331 dollari -- è sceso a 0. In caso di ricovero in ospedale, però, i costi variano, arrivando in media a più di 4.000 dollari al giorno, secondo alcune stime. Cifre che per i precari senza assicurazione possono diventare debiti da incubo. Alcuni hanno anche avanzato l’ipotesi che forse questo coronavirus potrebbe insegnare agli americani il valore del servizio sanitario pubblico. Ma con il candidato Bernie Sanders in netto svantaggio al momento, quell’ipotesi sembrerebbe rimanere un’utopia.
Intanto qui a Washington i ciliegi sono in fiore – uno dei momenti più attesi dell’anno.
Gli eventi per celebrare i famosi "cherry blossoms" sono stati annullati. Così, dalla mia quarantena casalinga, ho chiesto ad un collega se anche quest’anno ci fosse gente ad ammirare i begli alberi in fiore intorno al laghetto a sud della città. Risposta: "Yes, too many."
Per i Washingtoniani forse ancora non è chiaro, che il virus è anche nella loro capitale.
Scilla Alecci, 37 anni, romana d'origine, giapponese nel cuore, americana d'adozione. Vive a Washington ed è reporter del consorzio investigativo Icij, di cui l'Espresso fa parte.