Nel 1722 Daniel Defoe, romanziere autore di Robinson Crusoe e Moll Flanders, polemista, agente segreto, pubblica A journal of the plague year, il diario dell'anno della peste che ha colpito Londra e parte dell'Inghilterra tra la fine del 1664 e l'inizio del 1666, concentrando la sua furia nel 1665 e provocando non meno di 100 mila morti nella sola capitale (400 mila abitanti) senza contare i borghi periferici.
Ecco la cronaca dei fatti.
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Nel 1664 sono passati 34 anni dalla peste di Milano e oltre sessanta dall'epidemia che ha colpito la corte di re Giacomo I Stuart nel 1603. Defoe, nato a Londra il 6 maggio 1660, ha appena quattro anni quando scoppia il contagio. Nel libro si serve di un personaggio fittizio, di mestiere sellaio, per esporre, insieme agli episodi della vita quotidiana, statistiche scrupolosamente documentate attraverso gli archivi anagrafici delle parrocchie.
L'Inghilterra vive gli anni della restaurazione monarchica dopo la rivoluzione di Oliver Cromwell. La capitale inglese si è riempita di reduci di guerra che si sono dati ai commerci. La città è sovraffollata, piena di mescite e trattorie dove i londinesi si rifanno dalle rigidità del puritanesimo rivoluzionario. Lo sfarzo della Corte ha provocato un'onda consumistica che ha attirato nella cintura della capitale centomila artigiani tessili per la sola produzione di nastri.
Le premesse sono pessime. In più nel 1663 Amsterdam e Rotterdam vengono colpite dal morbo e Londra ha scambi commerciali quotidiani con l'Olanda.
Già a settembre del 1664 c'è una riunione segreta del governo per affrontare l'ipotesi di un contagio.Vengono approntati provvedimenti di emergenza in accordo con le autorità locali ossia il Lord Mayor, i suoi due sceriffi e il consiglio degli Aldermen. Alcuni di loro ricordano l'epidemia, meno grave, del 1656.
A novembre del 1664 due francesi muoiono a Long Acre nel West End, non lontano dalla riva del Tamigi, nella casa della famiglia che li ospita. È quasi certo che muoiano di peste ma in quanto stranieri non vengono registrati.
Nella notte tra il 20 e il 21 dicembre 1664 il paziente 1 muore in una casa privata, sempre a Long Acre. Defoe accredita l'opinione che il morbo sia arrivato con un carico di seta importata dall'Oriente fino in Olanda e da lì spedita a Londra.
I bollettini non segnalano morti di peste per sette settimane, fino al 9 febbraio 1665. Il secondo decesso, o presunto secondo, avviene nella stessa casa del primo. Poi nulla per altre nove settimane. Il 22 aprile, due morti. Da lì la pestilenza prende velocità. Si sposta dalla zona occidentale verso oriente e verso sud, fino a investire la City.
Questi intervalli così lunghi sono definiti da Defoe “una frode”. Lo scrittore lo dimostra approfondendo la sua inchiesta sui documenti delle varie parrocchie che, al tempo, scandivano i distretti londinesi. Anno su anno, prova che il numero di morti settimanali in tutta la città (300 in media) aumenta fino a quattro o cinque volte e che anche a luglio e agosto 1665, con l'epidemia in pieno sviluppo, oltre ai decessi per peste ci sono impennate gigantesche fra i morti di altre patologie (colica, febbre viscerale, febbre ordinaria, vecchiaia e febbre purpurea, la più affine alla peste bubbonica).
Per non subire la quarantena “molte famiglie riuscivano col denaro a fare registrare i loro morti di peste come morti di altre malattie”.
Nella settimana dal 2 all'8 maggio c'è il primo morto nella City, il cuore della capitale, in Bearbinder Lane. La seconda settimana di maggio i morti di peste registrati sono solo tre. L'ultima di maggio salgono di poco, a diciassette. Il Lord Mayor, sir John Lawrence, ordina un'inchiesta sui numeri, palesemente fasulli. Intanto, decine di migliaia di persone abbandonano la città sull'esempio di re Carlo II, figlio di Carlo I, il primo monarca decapitato della storia durante la rivoluzione (1649).
Mentre la famiglia reale è rinchiusa a Oxford, nella capitale si muore per strada. Gli scappati finiscono a vivere in condizioni seminomadi, in attendamenti di fortuna dentro le foreste, o vagando di paese in paese accolti dalla crescente ostilità di chi teme, non a torto, che i profughi siano i portatori della morte nera.
A giugno “la truffa” dei numeri non può più continuare. L'esplosione della malattia ha investito i quartieri da ovest a est. Risparmia il Southwark sulla riva sud del Tamigi, ma ancora per poco tempo. Si diffonde la notizia che il governo vuole il lockdown della città. La voce non sarà confermata da un provvedimento del resto impraticabile. Ci sono pochissime truppe in città. Il grosso ha seguito il re a Oxford. Ma a fine giugno vengono finalmente applicate le misure discusse nella riunione segreta di nove mesi prima.
Vengono nominati gli ispettori che dovranno sapere chi sono i malati, dove sono e decidono dell'isolamento. Chi rifiuta la carica di ispettore va in carcere.
Le case isolate sono soggette a due guardiani divisi in turni (dalle 6 alle 22 e dalle 22 alle 6) che hanno ordine di non lasciare uscire o entrare nessuno, esclusi gli autorizzati.
Fra gli autorizzati ci sono le visitatrici, che decretano la causa della morte con la supervisione dei medici, gli infermieri che effettuano assistenza a domicilio e i cerusici che fanno visite a casa oppure nell'unico lazzaretto cittadino a Bunhill fields, un buco con 300 posti di capienza.
Le case dove la peste ha ucciso vengono dipinte con una croce rossa alta 30 centimetri e con la scritta: Signore, abbi pietà di noi.
I funerali si possono fare tra il tramonto e l'alba, anche se presto i riti diventeranno impossibili per la quantità di deceduti che finiranno in fosse comuni. Una delle più grandi, vicina al cimitero di Aldgate, accoglierà 1114 corpi.
L'immondizia viene ritirata ogni giorno. Vietato l'accattonaggio e gli animali come gatti, piccioni, conigli, maiali, nei confini della City. I cani randagi vengono eliminati.
Si chiudono locali pubblici e bettole, mentre i forni e i mercati dove i contadini portano a vendere i prodotti della campagna restano aperti. Per pagare si buttano le monete in un secchio pieno di aceto.
Non ci sarà mai penuria di alimenti. Il pane mantiene il prezzo precedente all'epidemia salvo un minimo aumento. Ma ci saranno molte vittime sia nei forni, dove si poteva portare e cuocere il pane impastato in casa, sia fra i piccoli commercianti che, nel loro andirivieni, distribuiscono il contagio nei borghi fuori città.
Il contraccolpo sull'occupazione è micidiale. Tutti gli operai del manifatturiero vengono licenziati. Restano senza lavoro facchini, barcaioli, carrettieri, edili, marinai. Le “persone di qualità” buttano sul lastrico la servitù e si trasferiscono a vivere sulle chiatte ancorate in mezzo al Tamigi in una fila di chilometrica verso Greenwich e Woolwich. Solo in parte i mestieri dell'emergenza compensano la perdita di posti. Ma sono mestieri ad alto rischio perché a contatto diretto con il morbo o con i reclusi ai domiciliari che tentano di corrompere i guardiani per fuggire e, quando non ci riescono, spesso li picchiano o li ammazzano.
Fra i mestieri non autorizzati della peste aumentano di numero gli astrologi, gli indovini, i venditori di rimedi infallibili, di filtri e di amuleti. Gli angoli delle strade sono tappezzati di avvisi dove si pubblicizzano pillole, pozioni, antidoti, cordiali e persino “vera acqua per la peste”.
Prosperano gli pseudoscienziati, locali e importati come il medico olandese che l'anno prima ha guarito innumerevoli persone nel suo paese o come la gentildonna italiana che ha un metodo segreto applicato durante la peste di Napoli (il colera in realtà) “per la quale perirono ogni giorno ventimila persone”.
Diventa popolare il predicatore Solomon Eagle che si aggira seminudo per la città con un pentolino di carbone acceso sulla testa per tenere lontano il morbo.
I ciarlatani contribuiscono allo sterminio. Secondo i bollettini, dall'8 agosto al 10 ottobre ci sono 49705 morti di peste su 59870 di altre cause che pure sono spesso legate alla peste. Centinaia di neonati muoiono insieme alle madri perché non hanno assistenza. Il ricorso massiccio alle sepolture nelle fosse comuni, secondo Defoe, abbassa la contabilità reale.
Nella seconda metà di settembre, quando il contagio tocca il picco delle vittime in una sola settimana (8297), il dottor Heath spiega al protagonista che il morbo sta perdendo forza rispetto alla fine di agosto. Allora uccideva in due o tre giorni. A settembre in otto o dieci. Prima guariva uno su cinque. Adesso tre su cinque.
Il dottor Heath indovina la tendenza. L'ultima settimana di settembre fa segnare duemila decessi in meno e il calo continua per tutto ottobre.
Alla buona novella, i londinesi che erano scappati fuori città e quelli che vivevano segregati si abbandonano all'entusiasmo. “Ognuno diventò di punto in bianco coraggioso e, messa da parte ogni precauzione, cominciò a frequentare le persone infette, e a mangiare e bere con loro, visitarle nelle case, e persino penetrare nelle camere dove giacevano a letto i malati ancora gravi”. Riaprono le botteghe, si ricomincia a fare affari e torna la folla in piazza e nei locali.
Il ritorno di fiamma del contagio investe con violenza la città in novembre (+400 morti la prima settimana). Le autorità tentano di impedire il rientro dei profughi dal resto del paese, dove intanto sono scoppiati altri focolai (Norwich, Lincoln, Colchester) ma devono desistere. I commerci hanno la meglio su ogni altra considerazione sia per questioni di sopravvivenza elementare, non del tutto garantita dalla Casa Reale che redistribuisce ai vivi i beni dei morti e dalla carità delle parrocchie, sia per questioni macroeconomiche.
I vicini europei stanno sfruttando senza pietà il vantaggio competitivo dei mesi di pestilenza.
“Il nostro commercio ne risentì le conseguenze fino a molto tempo dopo la peste, specie per via dei fiamminghi e degli olandesi i quali, approfittando della situazione, ci soppiantarono quasi ovunque anche comprando le nostre manifatture nelle città inglesi risparmiate dall'epidemia, e dall'Olanda e le Fiandre poi trasportandole in Italia e Spagna come prodotti loro”.
Nonostante le imprudenze, il morbo riprende a declinare. A febbraio 1666 è finita e solo “la gente di qualità” mantiene le famiglie nelle residenze di campagna fino alla primavera. Londra può tornare a vivere.
Nota
Le citazioni del libro di Defoe sono tratte dalla traduzione di Elio Vittorini del 1940 (La peste di Londra, Bompiani).