I tedeschi hanno dimostrato di saper gestire meglio di tutti l'emergenza Covid 19. Grazie a una sanità che non ha rivali, una classe dirigente all'altezza e una catena di comando compatto. Il “modello italiano” invece arranca. E ora il match Conte-Merkel sugli eurobond

A due mesi dall'inizio della pandemia, la risposta della Germania all'emergenza coronavirus sembra essere quasi perfetta. Almeno in confronto a quella messa in campo da altri paesi. Anche il “modello italiano”, rispetto a quello tedesco, è poca cosa.

Nella gestione della crisi i nostri cugini ci hanno surclassato. Dimostrando un'organizzazione superiore nell'emergenza sanitaria, una classe dirigente all'altezza a livello nazionale e territoriale, e una catena di comando compatta. Fattori che oggi permettono a Berlino di pianificare con rapidità la “Fase 2”, quella del rilancio dell'economia nazionale.

Molti gli elementi-chiave del successo tedesco. Ecco i quattro più rilevanti.

1) TEST, TERAPIE INTENSIVE E POSTI LETTO. Qualche settimana fa molti scienziati italiani spiegavano che tutte le nazioni europee avrebbero avuto, nessuna esclusa, una curva dei contagi e dei morti simile alla nostra. In Germania, invece, l'epidemia ha avuto una storia diversa. Se il numero accertato dei contagiati è di poco inferiore a quello italiano (181 mila contro 146 mila), il tasso di letalità del morbo tra i tedeschi è oggi fermo al 3,5 per cento, contro il 13 per cento del nostro Paese. In numeri assoluti, 24 mila morti contro 4.600. «La pandemia da noi è sotto controllo», può affermare soddisfatto il ministro della Salute Jens Spahn, sicuro che il Fattore R0, il tasso d'infezione, sia ormai sceso allo 0,7.

Come si giustifica una difformità così marcata? La Germania, semplicemente, non era impreparata allo tsunami del Covid 19. L'Italia, sì. Al netto delle differenze sociali e culturali che hanno permesso ai teutonici di proteggere meglio gli anziani (come spiegato dall'Espresso un mese fa), i tedeschi hanno fatto un uso massiccio dei tamponi fin dai primi giorni della crisi - ben 350 mila a settimana in media - che hanno permesso di isolare subito i positivi e tracciare i contatti. L'Italia a oggi ne conta poco più della metà. Ma abbiamo recuperato solo ad aprile: nelle prime, decisive settimane ne abbiamo fatti troppo pochi, seguendo protocolli errati e tattiche obsolete.

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La Germania ha poi protetto meglio i suoi medici e infermieri attraverso una distribuzione massiccia di dispositivi di protezione di cui aveva fatto scorta in precedenza, e ha riconvertito alla svelta fabbriche nazionali per produrre mascherine in house. Dal prossimo agosto potranno distribuirne 200 milioni al mese, mentre in Italia dipenderemo ancora dai mercati esteri, diventati far west per speculatori.

Gli ospedali tra Berlino e Monaco, inoltre, non sono mai andati al collasso: la telemedicina a distanza ha funzionato bene. Altro confronto impietoso è quello sul numero di terapie intensive, unica arma per salvare i pazienti Covid più gravi: all'inizio della crisi l'Italia (60 milioni di abitanti) ne aveva poco più di 5 mila, la Germania (83 milioni di abitanti) ben 28 mila, il sestuplo.

Presto i tedeschi potranno contare su 40 mila unità salvavita, grazie alle industrie che producono ventilatori meccanici. In Italia ce n'è solo una, la piccola Siare Engineering. Appena 35 dipendenti e 120 pezzi prodotti al mese. Il governo ha mandato l'esercito per potenziare la produzione mensile, che – grazie all'aiuto di Ferrari e Fca – è arrivata a 500 pezzi. Troppo poco per il fabbisogno nazionale in caso di recrudescenza dell'epidemia.

2) FABBRICHE SEMPRE APERTE. In Germania il combinato disposto di investimenti massicci sul sistema sanitario nazionale, di tamponi a tappeto e di terapie intensive per ogni paziente ha permesso dunque di avere pochi decessi rispetto all'Italia. Ma, pure, di non bloccare del tutto l'attività economica.

Così se il 95 per cento delle aziende tricolori che lavorano acciaio si sono dovute fermare, in Germania le aziende siderurgiche, e non solo, hanno continuato a lavorare (quasi) a pieno regime. Come ha dimostrato lo studio della Fondazione Edison sui consumi elettrici industriali delle due settimane centrali di marzo: le tabelle segnalano un calo del 25 per cento tra Lombardia e Sicilia, al 5 per cento nei lander tedeschi.

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Il lockdown totale all'italiana è stato evitato, e così anche il crollo dei consumi risulta essere meno drammatico: secondo uno studio di McKinsey gli italiani hanno tagliato la spesa del 40 per cento, i tedeschi del 20. Un contenimento consentito anche dal mostruoso scudo economico alzato dal governo federale: un ombrello da 1.500 miliardi di euro tra garanzie (oltre 1.200 miliardi) e nuovo debito pubblico, in modo da proteggere aziende, lavoro e salari. La recessione colpirà anche loro, ma secondo tutti gli istituti di ricerca l'impatto sarà meno devastante rispetto agli stati più colpiti.

3) COMPETENZA DELLA CLASSE DIRIGENTE. L'eccezione tedesca nel controllo del coronavirus, a due mesi dall'inizio della pandemia, è dunque un fatto assodato. Non dipende né da manipolazioni (complottisti ipotizzano che Angela Merkel nasconda le reali statistiche dei morti teutonici), né dalla dea bendata. Ma da abilità che altre nazioni, piaccia o meno ai nazionalisti, non hanno in dotazione. O, se le avevano, non hanno saputo usare.

Date le circostanze e la eterogeneità della coalizione di maggioranza, in molti sostengono che Palazzo Chigi abbia fatto il massimo possibile. Che poteva andare anche peggio. Forse l'analisi è fondata. Ma è indubbio che davanti alla sfida del Covid la struttura amministrativa, la burocrazia e la qualità della classe dirigente italiana non reggono il confronto con quelle tedesche.

Al netto dell'esistenza di un piano pandemico funzionale che noi non avevamo («siamo prontissimi», disse incautamente Giuseppe Conte il 27 gennaio scorso), le polemiche quotidiane tra Roma e i vari governatori sono un unicum europeo. Anche la guerra feroce tra le varie Regioni, combattuta sulle contrapposizioni Nord-Sud e destra-sinistra, è caratteristica nazionale di cui non andare fieri.

In più, se in Italia non si capisce chi dispone e chi delibera, la catena di comando tedesca è sempre rimasta chiara e definita. La Germania è uno Stato federale, i lander hanno poteri e deleghe rilevanti, ma la responsabilità politica e l'onere del coordinamento finale è in capo al governo della Merkel, a capo di un partito conservatore che – non a caso – sta volando nei sondaggi verso il 40 per cento dei consensi.

La baraonda di ordinanze locali è tipica della crisi Covid italiana: in Germania nessuna babele di regole ha creato confusione tra i cittadini. A Roma anche la comunicazione del rischio è stata caotica (vedi la fuga di notizie sul lockdown in Lombardia e il successivo assalto ai treni verso Sud, o le cangianti opinioni dei virologi). In Germania parla solo l'esecutivo e gli scienziati dell'Istituto Koch.

La Merkel, inoltre, non ha creato tre-quattro task force diverse con centinaia di consiglieri, con conseguente contrasti di competenze e confusione decisionale. Così se in Italia i piani sulla riapertura sono ancora avvolti nel mistero (Conte ha annunciato che entro il wekeend svelerà il suo progetto), in Germania dopo un solo mese di lockdown sono già pronti. Tanto che le fabbriche strategiche, da quelle meccaniche all'industria dell'auto, sono ripartite.

La Volkswagen ha riaperto ieri dopo solo un mese di stop, Audi seguirà a fine aprile. Gran parte dei negozi fino a 800 metri quadri hanno già rialzato le serrande.

A sud delle Alpi la riapertura di aziende e uffici, ipotizzata i primi di maggio, sarà comunque zavorrata dalle scuole chiuse: gli studenti italiani torneranno in aula, se tutto va bene, a settembre. Quelli teutonici il 4 maggio saranno in classe a rispondere all'appello. Con i maestri in aula e le mense funzionanti, i genitori tedeschi potranno tornare al lavoro senza chiedersi a chi lasciare la prole. «La Germania ha riportato risultati parziali, serve estrema cautela. Ma la direzione è buona», ha spiegato la Cancelliera qualche giorno fa.

4) LEADERSHIP ECONOMICA. Nessuno, all'inizio della pandemia, aveva immaginato che la leadership economica e politica dei tedeschi in Europa si sarebbe confermata in tutta la sua evidenza anche nella battaglia al Covid 19. «L'Italia è due settimane avanti agli altri paesi europei, avranno tutti i nostri medesimi problemi», ripetevano da Palazzo Chigi e dal Comitato tecnico-scientifico. Per quanto riguarda la Germania, si sbagliavano.
L'efficienza tedesca non sempre è applaudita come esempio virtuoso. Un pezzo della classe dirigente di M5S e della Lega soffia su italiche antipatie anti-tedesche da anni. Strategia populista agevolata da un complesso (d'inferiorità?) di una parte consistente del paese nei confronti dei ricchi e severi germanici. Per molti veri responsabili, insieme alla Ue, del declino economico dell'Italia degli ultimi vent'anni.

A poche ore dal cruciale Consiglio europeo del 23 aprile, escludendo le fake news dei pasdaran grillini e dei seguaci di Matteo Salvini, molti osservatori di estrazioni diverse sono concordi nel sostenere che i tedeschi debbano adesso esercitare la loro egemonia nell'era del Covid con maggiore responsabilità rispetto a crisi recenti.
Concedendo dunque una solidarietà fattiva ai partner più fragili del meridione, Spagna, Italia e Grecia in primis. In modo da salvare (e rilanciare) l'Europa unita, e l'economia comune. E proteggere, come sostiene pure l'ex cancelliere Gerhard Schroder e l'ex presidente del Bundestag Lammert, la stessa economia tedesca. Che prospera soprattutto grazie al manifatturiero, alle sue esportazioni e quel surplus commerciale citato da Conte in un'intervista polemica.

La partita che si gioca nei prossimi giorni in merito agli eurobond o coronabond che dir si voglia, sul “surrogato” chiamato recovery fund, insomma sulla parziale mutualizzazione del debito e sugli aiuti per evitare il collasso delle frangibili economie mediterranee, sarà dunque decisiva. Per l'Italia, ma anche per la Germania.

Vincere per 10 a zero e umiliare quelli i partner non conviene neanche ai più forti. I falli di reazione sono imprevedibili, e porterebbero conseguenze nefaste per tutti.