Piantiamola di puntare il dito contro i ragazzi: gli adolescenti hanno aperto altre porte e usato l’emergenza per alzarsi in piedi

Ci salveranno solo i ragazzi

Adolescenti

Generazione sorprendente

Un bel libro del mio mentore, Michele Serra, ha raccontato la generazione degli sdraiati. Ne consiglio, tuttora, l’acquisto compulsivo. È una fotografia dirimente di una generazione, di quelle che l’hanno preceduta, di un’evoluzione/involuzione biunivoca. Ma va usata con cura, perché altrimenti si rischiano derive di alta incomprensione, come nel pezzo di Libero che l’altro giorno citava il tomo in questione per sostenere che i nostri ragazzi, sunteggio ma non troppo, già non facevano un cazzo prima e adesso, con la scusa della pandemia, ne approfittano per sbattersi ancora meno e stare tutto il tempo sui social o in videochiamata.

A parte il fatto che per arrivare a una conclusione del genere bisogna essersi fermati al titolo, senza cogliere la catarsi avventurosa di un padre che, più che le inadeguatezze del figlio, racconta in modo autoironico le proprie ambasce di genitore alle prese con l’incognito di una crescita e di una trasformazione.

Ma poi, soprattutto, la tesi esposta dall’articolista è, lo scrivo con un linguaggio che anch’ella possa comprendere, una cagata pazzesca.

Chiunque possieda una progenie, chiunque la accompagni tremulo e sorpreso nel percorso accidentato della maturazione vera, presunta, accennata, o dell’adolescenza eterna su cui facciamo surf noi eredi dei boomers, è consapevole che i nostri figli hanno impattato col disastro in modo quasi sempre creativo, efficace, vincente. Per un motivo semplicissimo: sui social, in videochiamata, al pc, ci stavano anche prima. E la pandemia ha cristalizzato questa situazione permettendo loro di elaborare la clausura con una sofferenza molto più tollerabile. E a noi di vedere quelle che ci sembravano deficienze incolmabili come il semplice frutto dell’incedere del tempo. Sempre se usiamo gli occhiali invece che la sciabola e non scriviamo per un quotidiano satirico che, dopo aver menato comunisti, terroni, semplici democratici, migranti, ha finito i nemici e ora se la prende con il presunto fancazzismo di chi è giovane e spesso risolto.

Farò sociologia d’accatto, ma del resto sono in buona compagnia: alle nostre generazioni si rimproverava di stare sempre davanti alla televisione. Bella forza: era il nuovo. A questa si imputa un eccesso di byte: bella forza È il nuovo. Non è un caso che il mio immaginario siano (anche) le lezioni di russo di Telescuola, quando avevo cinque anni, le Olimpiadi del ’72 in cui compresi che il mondo non era un pranzo di gala, gli anni di piombo e di terital delle Brigate Rosse e di Corrado Mantoni. E che per i reduci degli anni Ottanta, come Salvini e Renzi, siano le tv di Berlusconi e il loro modello per cui chiunque può prendersi un Paese per quindici minuti. E non è un caso che i seduti, evoluzione degli sdraiati, sospesi tra una lezione online e il modo per aggirarla (non facevamo forse lo stesso?), un programma per giocare, creare un video o un disegno, una chat con un tizio all’altro capo del mondo e magari litigare ad oceani di distanza per questioni di principio o per clamorose inezie, abbiano aperto altre porte e abbiano usato l’emergenza per alzarsi più spesso in piedi. Mentre noi lasciavamo marcire le librerie che usiamo per i collegamenti su Skype e ci credevamo così cool divorando la solita serie su Netflix.

Non è che ci speri, che siano loro a salvarci. Dacché ho letto Libero, ne sono proprio sicuro.

Giudizio: Superlike

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