La Sparatora, la Mantide, Zi Carmelina: le donne dei clan tornate a casa
Sono le mogli, le sorelle, le figlie di dinastie criminali di cosa nostra, camorra e ndrangheta . Ma anche della mala romana. Che hanno ottenuto la scarcerazione per l'emergenza Covid
La mafia ha il volto anche delle donne. Sorelle, mogli, figlie, dei padrini che nelle parentesi di vuoto di potere prendono in mano il bastone del comando. Donne d'onore, che hanno scelto da che parte stare, che regole seguire. Eccole, dunque, le lady delle organizzazioni mafiose che al pari degli uomini affiliati hanno ottenuto la scarcerazione e i domiciliari nell'emergenza Covid19, che ha portato quasi 400 affiliati delle mafie fuori dalle carceri, con l'obiettivo di salvaguardare la salute dei detenuti più esposti al contagio. Tutte donne dai cognomi pesanti. Storie criminali costellate di trame e intrighi, che riconducono tutte al potere sui territori trasformati in fortini inespugnabili. Ritornano a casa, nei loro quartieri, lì dove le avevano catturate e dove comandano. Ci sono le signore della camorra, su tutte Carmela Gionta, ma anche Marianna Abbagnara e Santa Mallardo. Ci sono le donne di Cosa nostra. E quelle della 'ndrangheta. Alcune con problemi di salute molto gravi.
COSA NOSTRA SOTTO AL VESUVIO Una richiesta del direttore, poi il ritorno a casa. Santa Mallardo, 65 anni, il 23 aprile ha lasciato il carcere di Vigevano, direzione Napoli. Un nome importante quello di Mallardo, nella criminalità campana: un clan che conta, tra i più ricchi e pericolosi sotto il Vesuvio. E che ha legami anche fuori dalla Campania: insieme al clan Nuvoletta e Gionta, i Mallardo sono stati tra gli alleati di Cosa Nostra di Totò Riina nel continente.
‘ZI CARMELINA A inizio aprile anche la sorella di un pezzo da novantadella camorra ha lasciato il carcere lombardo. È Carmela Gionta, sorella di don Valentino, fondatore e boss del clan Gionta di Torre Annunziata, in carcere dal 1989, a capo di un altro storico clan di Torre Annunziata. È madre poi di un altro pezzo grosso del clan, Aldo Agretti. Cinque anni fa era stata ferita da altre tre donne del gruppo che controllavano la cassa del clan: dicevano che “Zi’ Carmelina” metteva le mani sui soldi del clan, se li prendeva e non li restituiva.
DONNE E PISTOLE Torna a casa anche Marianna Abbagnara, 35 anni, esponente del clan D’Amico del rione Conacal, a Napoli. Clan di camorra in cui le donne hanno avuto un ruolo di primo piano. “Pure noi femmine ci mettiamo le pistole addosso e andiamo a sparare. Noi non ce lo creiamo il problema”, diceva al telefono la moglie del boss DeliahBuonocore, condannata lo scorso luglio a 16 anni e 8 mesi. Sono tredici invece quelli che dovrà scontare Abbagnara: collaborava direttamente con i vertici del clan, favoriva le comunicazione tra gli affiliati, partecipava alla gestione della piazza di spaccio nel parco del rione.
LA SPARATORA La chiamavano la “vecchiarella”, ma anche la “sparatora”. Era a capo del clan Lettieri, che si arricchiva con le estorsioni tra Caserta e Benevento. Un’organizzazione criminale in ascesa, anche grazie all’alleanza con il clan Pagnozzi, i cui affari arrivano fino al centro di Roma. Ha lasciato il carcere di Lecce Giovannina Sgambato, 68 anni, per motivi di salute. Condannata a sei anni in primo grado, ha fatto ricorso in appello. Che ora attenderà a casa: non nella sua San Felice, ma in un paesino poco lontano. LA DONNA DEL RAS Quando è stata arrestata per la prima volta nel 2006, conviveva con il boss Salvatore Torino, ras del rione Sanità a Napoli. Era a capo degli “scissionisti”, nella faida che all’inizio degli anni duemila insanguinò il capoluogo partenopeo per decidere chi l’avrebbe fatta da padrone in città. Aveva passato gli ultimi anni a Lecce, Pasqualina Pastore, e ora torna a casa, nei Quartieri Spagnoli. L’ultimo guaio nel 2014: era in vacanza in Calabria con la figlia, quando i carabinieri le hanno trovato 40 grammi di cocaina e 400 euro, ritenuti il guadagno dello spaccio.
LA BOSS DELLA COCA Era in affari con il clan dei Casalesi, Margherita Spada. È stata arrestata a metà ottobre del 2019 dalla Dda di Napoli, accusata di essere a capo di un’organizzazione che gestiva il business della droga sul litorale domizio, nel casertano. Insieme a lei il marito, Antonio Spinelli, e altre sei persone. Un giro d’affari da decine di migliaia di euro che gestivano in “tranquillità”, come hanno raccontato ai magistrati alcuni collaboratori di giustizia. Come facevano? Grazie alle tangenti che pagavano al clan dei Casalesi, egemone in quella zona: un minimo di 300 euro a settimana per poter avere il monopolio dello spaccio sul territorio. Era nel carcere di Messina, in attesa di finire davanti a un giudice, ma è potuta tornare a casa a inizio aprile grazie al via libera di Gip e Dap. Stessa sorte toccata pochi giorni dopo anche a Spinelli, il marito, in carcere a Siracusa.
LA PADRONA DI BATTIPAGLIA Insieme a Spada, nel carcere di Messina c’era anche un’altra “signora della droga”, Antonietta Di Marco. Fino all’arresto è stata la reggente del giro di spaccio a Battipaglia, in provincia di Salerno. Nel 2017 è stata condannata a sedici anni di reclusione, pena che stava scontando in Sicilia. Di Marco, 65 anni, chiamata “La padrona”, gestiva insieme ai figli una rete di trafficanti e di pusher: organizzava l’arrivo della droga da Scampia, per poi rivenderla in città.
LUI ALL’ERGASTOLO, LEI CAPOMAFIA Secondo un pentito era alla guida del clan Lo Piccolo, al vertice di Cosa Nostra a Palermo, dopo che il marito e il figlio erano stati arrestati e condannati all’ergastolo. E stava scontando una pena di otto anni nel carcere di Messina, Rosalia Di Trapani, 72 anni, moglie di Salvatore e madre di Sandro, scarcerati anche loro. Andrà in una casa di riposo nel messinese.
LA MANTIDE RELIGIOSA Sta scontando una pena di 22 anni. Nel giugno del 1992, nel pieno delle stragi mafiose in Sicilia, aveva invitato a una “notte d’amore” in un casolare Agostino Reina, un mafioso condannato a morte dalla famiglia Emmanuelloper aver organizzato alcuni attentati contro la cosca. In quel casolare però Reina non trovò lei, Maria Rosa Di Dio, allora poco più che trentenne, ma i suoi carnefici. Venne ucciso e il suo corpo, bruciato, fu reso irriconoscibile. Per tanti anni fu definito un caso di lupara bianca, ma nel 2010 il racconto di alcuni collaboratori di giustizia permise ai magistrati di ricostruire la dinamica dell’omicidio. Per la morte di Reina furono arrestati il boss Davide Emmanuello, il mandante, e Rocco Manfré. Ma anche lei, Maria Rosa Di Dio, che per il ruolo avuto nell’omicidio le è stato dato il soprannome di “mantide religiosa”.
LA COMPAGNA DI LATITANZA Esce dal carcere di Messina anche Rosa Zagari, 47 anni, storica compagna di Ernesto Fazzalari, boss di ‘Ndrangheta. Sono stati arrestati insieme nel giugno del 2016: lei curava la latitanza del suo uomo, considerato fino alla cattura il secondo latitante più pericoloso d’Italia dopo Matteo Messina Denaro. Durante la latitanza del boss, Zagari si incontrava con il suo braccio destro, Domenico Rettura, e consegnava i pizzini che dovevano garantire il proseguimento degli affari della cosca. Durante i primi mesi di carcere, a Reggio Calabria, una brutta caduta le aveva procurato la frattura di due vertebre. Da mesi attraverso i legali chiedeva iltrasferimenti e rivendicava il diritto a cure adeguate.
GIOVANNINA CASAMONICA È sorella di Consiglio e di Luciano, il Casamonica che abbraccia sorridente l’allora sindaco di Roma Gianni Alemanno in foto, poi finito nell’inchiesta “Mondo di mezzo” per i suoi rapporti con Salvatore Buzzi, il sodale di Massimo Carminati. Anche Giovannina Casamonica, detta Bali, esce dal carcere: era agli arresti dal luglio del 2018, dopo che l’operazione Gramigna della Dda di Roma ha decimato il clan di sinti di Roma Sud. Giovannina è considerata dagli inquirenti una delle donne più attive nel clan, in grado di far proseguire gli affari quando i parenti finivano in carcere. E ora torna a Porta Furba, nel cuore del centro di comando del clan.