Usare il proprio privilegio bene vuol dire saper fare un passo indietro, riconoscere non solo il proprio antirazzismo ma anche le forme di suprematismo che, troppo metabolizzate, riemergono ingenuamente e inconsapevolmente, quando si accusa di essere tagliati fuori dal dibattito 

Di ogni lotta e di ogni rivolta rimangono fissate nella memoria collettiva - più che le conquiste - le immagini, i fotogrammi ai quali spetta il compito di costruire l’immaginario nella cultura popolare. Foto forti e impressionanti, come quelle di New York l’11 settembre o di Carlo Giuliani steso a terra. Immagini da prima pagina. Ma dov’è la prima pagina di Floyd? Troppo impressionante, forse, troppo simbolica dell’oppressione razziale dalla quale cerchiamo di lavarci le mani, troppo rappresentativa. È forse più democratico rappresentare gli antirazzisti, a fianco della lotta, è più facile riconoscersi in loro: ma non sono loro la lotta.
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Noi Sorelle d'Italia, tra razzismo e diritti negati
17/6/2020

In tutti i movimenti che interessano una classe sociale marginalizzata si invitano gli “ally”, gli alleati, a utilizzare il proprio privilegio come sostegno per chi quel privilegio non lo ha. Questa retorica, per quanto corretta, non deve però risultare nella messa in ombra dei gruppi stessi. Usare il privilegio a fin di bene significa saper discernere quando la propria voce è un megafono e quando invece genera un assordante effetto Larsen. Il discorso ci riporta in un modo o nell’altro sempre ai social, grembo fertilissimo dei dibattiti di questi giorni. La mia generazione, che è forse quella più connessa e influenzata dall’universo online, vive di immagini, per questo gli ultimi sette anni di #blacklivesmatter hanno dato i propri frutti quando abbiamo avuto le foto e i video, oltre che i racconti. Figli più che legittimi della società delle immagini ne siamo dipendenti, dalla loro creazione alla loro condivisione, e spesso su di esse si basa anche gran parte della nostra informazione, più che sulle testate giornalistiche. Fatto da una parte estremamente pericoloso ma dall’altra utile e rappresentativo della libertà di espressione, nonostante dia la stessa visibilità a una lotta secolare e all’invasione dell’area 51  (#theycantstopallofus).

L’impatto dell’immagine dell’uccisione di George Floyd vale mille parole spese su Breonna Taylor, hanno una visibilità diversa: mentre uno è un orrore innegabile, l’altra è soffocata dal dibattito oltre che dalla violenza. La prova grafica elimina quella dimensione di invisibilità contro la quale si sta combattendo, ha una potenza e immediatezza che non si possono ignorare. Diventa più facilmente un’icona, veicola più facilmente un motto. La scelta delle immagini in una lotta del genere significa non solo rappresentare ma anche comunicare profondamente e va quindi esclusa ogni superficialità, o la copertina rischia di diventare sipario e nascondere i contenuti che dovrebbe invece valorizzare.
Sorelle d'italia
«Pretendiamo di essere riconosciuti come tutti: la discriminazione è un problema anche qui»
23/6/2020

La discussione non può articolarsi solo tra i pixel ma deve farsi voce e inchiostro, per tutte le generazioni, altrimenti rischia di spegnersi, di trasformare un mezzo di informazione necessario in una schermata nera, che toglie significato alle parole (#blackouttuesday). Usare il proprio privilegio bene vuol dire saper fare un passo indietro, riconoscere non solo il proprio antirazzismo ma anche le forme di suprematismo che, troppo metabolizzate, riemergono ingenuamente e inconsapevolmente, quando si accusa di essere tagliati fuori da un dibattito che non solo non è proprio in primo luogo, ma del quale si è stati ingiustamente protagonisti, coro e regia per troppo tempo. È emozionante vedere con quanta forza la discussione stia esplodendo e appassioni anche chi non è personalmente toccato dall’argomento, ma c’è una differenza nel vigore e nella rilevanza delle voci di chi è interessato e di chi ha la necessità di partecipare a questa conversazione. La quale non solo è, ma deve essere aperta; per farlo però, chi fino ad ora ha parlato deve sedersi ed ascoltare l’altro.

 

Gloria Napolitano, 17 anni, rappresentante alla Consulta Provinciale degli Studenti di Torino per
il Primo Liceo Artistico. Attivista per i diritti sociali sta realizzando un documentario su sua nonna
Elena Foa Recanati, deportata ad Auschwitz