Cari angeli delle Rsa, ora non ci servite più

S8A8329-jpg
S8A8329-jpg

Gli infermieri e gli operatori sanitari sono stati in prima linea contro il virus. Osannati come eroi nazionali nella Fase 1, sono stati cassintegrati nella 2. E poi licenziati dopo l'emergenza (Foto di Cinzia Canneri)

S8A8329-jpg
Li hanno chiamati “gli angeli delle Rsa” e hanno fatto tutto il possibile, e anche di più, per salvare il salvabile. È un’opinione che ormai fa parte dell’immaginario collettivo. Vittime tra le vittime di un sistema sballato. Ma ora gli resta in tasca giusto un titolo metafisico. Orari borderline, turni infiniti, a rischio costante di contagio (in molti infatti si sono ammalati o sono morti) perché sulle prime le direttive dall’alto erano di non indossare i dispositivi di protezione individuale «per non spaventare i pazienti». E poi non si trovavano, i tamponi erano occasionali e l’accesso ai reparti indiscriminato. Abbandonati a se stessi nel pozzo scuro delle residenze sanitarie assistenziali, dove migliaia di anziani non autosufficienti, i principali utenti, sono scomparsi in obbligo di solitudine in questi ultimi mesi.

Una strage generazionale probabilmente evitabile: proprio a loro è toccato il compito straziante di salutarli per l’ultima volta. Chissà quanto ci vorrà per alleviare il peso di certi ricordi.

Inchiesta
Licenziamento e altri guai per i lavoratori che hanno denunciato carenze nella gestione Covid
9/6/2020
E adesso c’è una novità: smorzata l’emergenza Covid-19, tornati invisibili ai radar televisivi e ai social, gli infermieri, gli operatori socio sanitari e i tecnici delle case private per over 70 stanno finendo in massa in cassa integrazione. O vengono licenziati direttamente. Accade in particolare nelle controverse Rsa lombarde, ma anche nelle altre regioni. Quando non sono state commissariate, queste strutture hanno perso, per i noti fatti macabri, posti-letto e i nuovi ingressi sono stati a lungo bloccati, solo adesso stanno riaprendo qua e là. Come recuperare i minori introiti? Semplice e brutale insieme: tagliando il costo del lavoro. A nulla sarebbero servite, insomma, le cospicue entrate degli anni precedenti. «Eppure è in questo momento che si dovrebbe provvedere a cambiare approccio e pensare finalmente alla cura degli ospiti, non ai guadagni», attacca il sindacato Cub Sanità. Al macero o in stand-by figure professionali già vessate da decenni di deregulation, fatta molto spesso di lavoro atipico. «Un fenomeno gravissimo che ha raggiunto livelli drammatici e grotteschi, con lavoratori dipendenti a tutti gli effetti “ricattati” come false partite Iva», denuncia all’Espresso Maurizio Petriccioli, segretario nazionale della Cisl Fp.

Proliferano le assunzioni creative, sotto forma di appalti e subappalti a cooperative esterne, e chi può cerca di migrare nel servizio sanitario nazionale, dove i contratti sono più stabili.

In tanti, nel frattempo, sono rimasti a casa con la copertura dell’ammortizzatore sociale di settore, il Fis (fondo di integrazione salariale). Eroi nella fase 1, cassintegrati nella 2, esuberi nella 3. Nodo del problema, ancora una volta, le Rsa della Lombardia, 708 cliniche con 65 mila posti letto. Come la Ambrosetti Paravicini di Morbegno, in provincia di Sondrio, 55 “ospiti” deceduti causa coronavirus, positivo al tampone il 60 per cento dei ricoverati, numeri non lontanissimi dallo scandalo Pio Albergo Trivulzio. Ha messo in cassa integrazione 47 addetti e sospeso i premi di risultato. «I contratti a tempo determinato non sono stati rinnovati un po’ ovunque», sottolinea Cesare Maffeis, presidente dell’associazione case di riposo della provincia di Bergamo. «Nelle residenze della nostra provincia stiamo sottoscrivendo accordi per cassa integrazione o Fis», dice Marco Drera, segretario della FP Cgil di Brescia.

Dorina è una operatrice socio-sanitaria e per sei anni, fino a poche settimane fa, ha lavorato in una Rsa milanese. «Conosco colleghe esperte che si sono fatte in quattro durante il periodo più acuto dell’epidemia», spiega all’Espresso: «Adesso sono state cacciate su due piedi, perché i vertici delle cooperative devono preparare i bilanci e non hanno più bisogno di loro. Pure io ho lavorato senza requie a marzo e aprile, ritmi da 12 ore al giorno. Nella mia struttura c’erano 180 degenti: ne sono morti 25, sei di Covid».

Una Oss è anche Eleonora, a Novara: «C’è chi mi ha dato della mercenaria perché ho sempre cercato il miglior contratto disponibile. Ma non me ne pento, vedendo quello che stanno subendo i miei compagni di lavoro». Ombre lunghe si addensano anche su luoghi covid-free, come ci spiega Alfio, infermiere in una Rsa siciliana: «Noi non abbiamo avuto contagi, ma la nostra residenza ha bloccato i ricoveri per la mancanza di tamponi e questo ci espone al rischio fortissimo di perdere il posto». Tornando all’epicentro lombardo: Roberto Rossi, segretario della Fp Cgil di Bergamo, ha posto sotto la lente di ingrandimento i bilanci delle aziende sanitarie private accreditate nella sua zona. Nel suo report, si legge che alcune di queste hanno avuto, nel 2017, un utile di 15, 16, fino a 17 milioni di euro. Gli ospedali pubblici, invece, stanno sovente a zero. «La nostra specifica situazione regionale, dove il privato eroga il 51,7 per cento delle prestazioni per nome e per conto del Servizio sanitario regionale, è irreversibile», afferma Katia Dezio, segretaria, sempre a Bergamo, della Cisl Fp.

Poi c’è il cinismo occupazionale. «Per ora si sta accedendo agli ammortizzatori sociali, ma questo palliativo non può reggere in eterno». Inoltre, negli ultimi mesi sono stati precettati parecchi infermieri interinali, smistati ai check-point dei nosocomi per misurare la febbre agli astanti o alle tende del pre-triage. Cosa ne sarà di loro se il virus, come ci auguriamo, non riprenderà a correre? «Molti non torneranno in servizio. E pensare che fino a pochissimo tempo fa la loro riconferma pareva certa», prevede, dati e vertenze alla mano, Claudio Cullurà, della segreteria toscana del sindacato autonomo infermieristico Nursind. Senza dimenticare i camici verdi volontari nella task force della protezione civile attivata dal governo. A fine maggio è partito il loro ultimo contingente. In tutto, compresi medici e operatori socio-sanitari, sono stati 2.300. Ma se ne parla già al passato.

Ma con quali formule contrattuali si viene arruolati, di solito, nelle Rsa? Qui viene in soccorso il genio italico, versante Machiavelli. Una delle tipologie più diffuse di assunzione passa per gli “studi di infermieri associati”, a cui l’infermiere o il paramedico è costretto a iscriversi. Il contratto sarà, di norma, a tempo indeterminato: però la paga è bassa, ed è un metodo per ridistribuire gli oneri più che gli onori. I dividendi autentici non arrivano alla base della piramide. Gli interinali percepiscono in genere di più, ma al prezzo di incarichi temporanei. I diritti sono mantenuti intorno alla soglia del basico. È il regno anti-glamour delle pulizie intime, dei giro letti, delle medicazioni, della somministrazione di cibo e terapie. Il funzionamento delle cooperative dall’interno l’illustra Dorina, operatrice socio sanitaria: «Per loro siamo dei numeri. Se il bilancio è positivo, si prosegue; se diventa negativo si licenzia e basta, anche se hai svolto un buon lavoro. Le cooperative risparmiano su tutto, persino su mascherine e Dpi».

Capitolo stipendi: «La mia paga oraria netta era di 6,50 all’ora, a fronte di un carico di lavoro enorme e usurante. Nella mia struttura c’erano due operatori socio sanitari per 20 ospiti al mattino e al pomeriggio, più un infermiere per 60 persone. La notte, per 180 anziani con problemi, una sola infermiera e quattro o cinque operatori». E mai provare a obiettare qualcosa. Ti rispondono: «Casomai ringraziaci che hai i tuoi soldi ogni mese. Nelle altre cooperative è peggio».

Maurizio Petriccioli svela un aneddoto che ci ricatapulta nel gorgo infernale del lockdown: «I nostri delegati sindacali hanno pubblicamente stigmatizzato ciò che stava accadendo nelle Rsa, a partire dalla mancanza o inconsistenza dei Dpi. L’effetto? Dipendenti che subiscono mobbing, non vengono fatti rientrare sul posto di lavoro o ricevono lettere di richiamo per aver difeso pazienti e colleghi. Piuttosto che essere loro riconoscenti, vengono aggrediti per non aver tenuto nascosta la situazione lì dentro». L’assunzione diretta in una clinica o struttura privata assicura a un infermiere una retribuzione netta che si aggira sulle 1.500 euro, il personale sanitario cooptato nelle cooperative invece boccheggia intorno ai mille. «La nostra è l’unica professione in cui i laureati guadagnano quanto un operaio specializzato», commenta Cullurà, infermiere da trent’anni oltre che sindacalista. La flessibilità, in entrata e in uscita, dilaga. «Servirebbero una buona programmazione, concorsi e anche, perché no, il ripristino di dotazioni organiche che devono tornare alla contrattazione sindacale. Sotto un minimo di personale non si può più scendere», aggiunge.

Strascichi avvelenati della «riduzione perenne di manodopera, anche attraverso standard assistenziali minimi vecchi, che non corrispondono al fabbisogno reale degli ospiti delle Rsa d’oggi», riflette Davide Benazzo, segretario della Fp Cgil di Rovigo. Il segretario nazionale Cisl Fp Petriccioli allarga il discorso: «Dal 2009, da quando è stato bloccato il turn-over, si è registrato (dati del 2018, ndr) un saldo negativo di professionisti sanitari e lavoratori, tra fuoriusciti e assunti, di circa 35 mila unità».

Nel frattempo, dopo una serie di flashmob nelle principali piazze italiane, una trattativa infinita e la minaccia di uno sciopero (poi revocato in extremis) il 18 giugno, è stata sottoscritta la preintesa per il rinnovo di un contratto, quello della sanità privata, atteso da 14 anni e che interessa 100 mila lavoratori. L’aumento medio in busta paga sarà di 154 euro al mese. Di fatto, quest’ultima verrà così equiparata al comparto pubblico. Anche se lo stipendio dei nostri infermieri resta tra i più bassi d’Europa. Per il rinnovo del contratto delle Rsa, agognato da otto anni, bisognerà invece trattare ancora, il confronto tra le parti comincerà il 13 luglio. Gli “angeli” possono attendere. Da idoli osannati su Facebook e sui balconi all’oblio. Non ali, ma dignità, trasparenza e risorse. E una vera e nuova normalità, in discontinuità col passato.

L'edicola

In quegli ospedali, il tunnel del dolore di bambini e famiglie

Viaggio nell'oncologia pediatrica, dove la sanità mostra i divari più stridenti su cure e assistenza