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Attualità
agosto, 2020

La ragazza che servì Hitler fino alla fine. E non si perdonò mai di non aver visto il Male

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A 24 anni divenne la segretaria del Führer. Seguendolo anche nel bunker.  Per mezzo secolo non riuscì a parlarne. Poi raccontò tutto e, subito dopo, morì

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C’è stata una sola persona che ha vissuto accanto a Hitler gli ultimi quattro anni della sua vita, ma il suo nome non è Eva Braun, bensì Traudl Junge. A poco più di venti anni di età fu assunta come segretaria personale del Führer, diventando depositaria di segreti terribili e testimone di avvenimenti sconvolgenti. Per oltre cinquanta anni, Traudl ha rifiutato di raccontare pubblicamente la sua esperienza, ma alla fine, sotto il peso di un inestinguibile senso di colpa, ha deciso di confessarsi di fronte alla macchina da presa di due registi austriaci di nome Andre Heller e Othmar Schmiderer.

Sin dalle prime immagini parla del Führer come di un «mostro» e di un «criminale», ma è la prima a ricordare che all’epoca lo considerava semplicemente un datore di lavoro «gentile e paterno».

Traudl, che non aderì mai al partito nazista, non subì alcun tipo di condanna per il suo lavoro di segretaria e dopo un periodo di prigionia in un campo americano si ritirò in un piccolo appartamento di Monaco, alternando la propria attività di correttrice di bozze con quella di assistente volontaria per persone non vedenti. Dalle nove ore di conversazione registrate, Heller e Schmiderer trassero un documentario di novanta minuti di esemplare semplicità intitolato “Blind Spot: Hitler’s secretary”, di straordinaria potenza evocativa. I due registi si limitano ad ascoltare i suoi racconti, intervenendo solo qualche domanda focalizzata sugli aspetti quotidiani, e meno noti della personalità del Führer.

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Traudl, che proviene da una famiglia povera e totalmente disinteressata alla politica, trovò il lavoro come segretaria grazie a una raccomandazione. Il racconto del primo incontro con Hitler offre la prima sorpresa: la ragazza aveva sentito la voce del Führer solo alla radio e aveva nelle orecchie il tono stridente e le urla esagitate dei comizi. La sera in cui lo conobbe rimase invece colpita dal «tono affabile» e l’atteggiamento «gentile e protettivo». Per lungo tempo fu addetta allo smistamento delle centinaia di lettere d’amore che Hitler riceveva settimanalmente, poi, nel 1941 venne promossa segretaria personale, dopo un test di dattilografia che riuscì a superare grazie a una telefonata di Ribbentrop, che non fece notare al Führer la lunga serie di errori causati dal nervosismo.

In uno dei pochi momenti in cui confessa l’angoscia che prova da quei giorni, Traudl ammette che quel salvataggio in extremis causò in realtà la sua rovina. Venne ammessa da allora nel sancta sanctorum e si trovò a convivere con un uomo che si macchiava dei più orribili crimini dell’umanità mentre la trattava con assoluta gentilezza e la chiamava «piccola cara». La Junge sostiene che la posizione troppo vicina alla realtà le procurava paradossalmente una sorta di cecità rispetto alla realtà (da qui il titolo: “blind spot”) e parla ripetutamente della capacità di manipolazione sulla coscienza di un intero popolo: in uno dei momenti più inquietanti ripete l’intonazione con cui Hitler assicurava che si sarebbe «assunto ogni responsabilità morale» per le proprie scelte, ritenendo di aver così liberato da ogni peso la coscienza dei suoi seguaci.

Negli uffici della cancelleria, e più tardi nei diversi bunker, la giovanissima Traudl smistava e batteva a macchina gli ordini del Führer ritenendoli delle normali procedure di guerra. Secondo la sua testimonianza Hitler non parlava mai dei campi di concentramento e raramente degli ebrei, riferendosi solo occasionalmente all’«internazionale giudaica» che avrebbe prevalso senza il suo intervento.
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L’Hitler visto da vicino è molto diverso da quello dei documentari classici: abbondano i racconti delle sue fobie (detestava i fiori, che considerava portatori di morte) e delle sue passioni: nulla lo rendeva felice come giocare con la sua cagna Blondi e i suoi cuccioli, e niente lo rasserenava come la visita del dottor Theodor Morell, un antesignano della medicina omeopatica che curava il Führer dai suoi dolori allo stomaco. Era stato Morell a consegnare la rigorosa dieta vegetariana ed era sempre lui che gli raccomandava di pulirsi attentamente dopo aver giocato a lungo con i cani. Ogni tanto Hitler confidava alla sua segretaria opinioni sul rapporto tra i due sessi («le donne più belle devono stare con gli uomini più forti») che la stessa Traudl donna trovava a dir poco «barbare», e la invitava a consumare pasti frugali ascoltando “Red roses tells you of love”. Il clima sereno cambiò drasticamente dopo Stalingrado: Traudl fu testimone di una scenata fatta da Hitler alla moglie di Baldur von Schirach che aveva espresso alcune perplessità sul modo in cui erano trattati gli ebrei in Olanda, e le fu richiesto di rimanere strettamente a contatto di un uomo che appariva ogni giorno più instabile e ripeteva: «Le persone che non possono capire non debbono parlare». Il giorno dell’attentato, nel luglio del ‘44, fu tra le prime ad assistere il Führer: rimase coinvolta dal senso di eccitazione che Hitler riuscì a infondere al suo staff e poi all’intera nazione quando parlò della Provvidenza che lo aveva salvato per consentirgli di portare a termine la sua missione.

La segretaria identifica in quel momento il passaggio in cui il suo capo perse ogni contatto con la realtà. Perfino lei si accorgeva che nelle visite alle città attaccate gli venivano mostrate soltanto le aree rimaste intatte, e sentiva una aria crescente di scoramento perfino tra i fedelissimi. Divenne amica di Eva Braun e le rimase accanto il giorno del matrimonio. Brindò con lei nel grottesco festino organizzato nel bunker e fu la prima a chiamarla Fraulein Hitler. Fu sempre lei che cercò di consolarla quando il Führer diede ordine di uccidere il marito della sorella di Eva, Hermann Fegelein, per il semplice fatto che non aveva cercato rifugio sotto le stesse mura. Traudl decise di rimanere fino all’ultimo insieme al suo capo e assistette a tutte le discussioni sulla scelta del suicidio più sicuro. Gli ultimi momenti furono scanditi dai racconti terrorizzanti di quanto era successo alle donne tedesche cadute nelle mani dei soldati dell’armata russa. All’interno del bunker si parlava di stupri, castrazioni e di un mondo esterno degno di Bosch: Traudl lascia intendere che si trattava di un modo di convincere tutti al suicidio, ma certo è che fu quello il momento in cui Eva le disse che avrebbe voluto essere un «bel cadavere».

La segretaria fu testimone dell’uccisione dei sei bambini di Goebbels per mano degli stessi genitori.

Nell’unico momento di commozione dell’intero documentario ricorda lo sguardo angosciato di Helga, nemmeno 12 anni, la figlia più grande, la quale si era resa conto che il padre non le stava affatto offrendo un vaccino. Traudl fuma nervosamente e parla come se la ragazza fosse ancora di fronte ai suoi occhi, poi preferisce ricordare la morte di Blondi, sacrificata per verificare l’efficacia del cianuro inviato da Himmler sospettato di tradimento. Prima del gesto estremo, Hitler salutò la sua segretaria dicendole «se solo i miei generali avessero il suo coraggio», poi si rinchiuse nel suo ufficio privato e si sparò dopo aver dato disposizione che il suo corpo venisse bruciato. Traudl capì immediatamente che quel momento per lei non rappresentava una fine, ma l’inizio di un lunghissimo periodo di espiazione. Ci sono voluti più di cinquant’anni prima che ne parlasse pubblicamente. E solo un giorno per morire, il 10 febbraio 2002, dopo che il film fu presentato al Festival di Berlino.

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