A quattro anni dal sisma che ha colpito il centro Italia nella piccola frazione i ragazzi e le associazioni sono riusciti a ripartire. Mentre nella vicina Amatrice la ricostruzione va a rilento (Foto di Tiziana Lorenzi)

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Il cartello che indica la nuova Configno è a sette chilometri da Amatrice. C’è un fontanile in pietra all’ingresso, dove un paio di ragazzi sta riempiendo taniche d’acqua. Lungo la discesa verso il paesino, i bambini sfrecciano veloci imbracciando biciclette colorate. Sulla sinistra spunta una chiesetta in legno ornata con fronde floreali.

Sono passati quattro anni da quel 24 agosto che in una notte portò via la vita a 299 persone tra Amatrice e Accumoli, nel Reatino. Fu solo il primo sisma, nei mesi successivi altri due terremoti avrebbero colpito di nuovo - e con che durezza - queste zone del centro Italia. E la ricostruzione finora è andata a rilento, con la situazione resa ancor più complicata dal Covid. Ma la voglia di risollevarsi c’è ancora, sulla spinta di iniziative che vengono dal basso, come quella di un gruppo di giovani di Configno, appunto, una delle 69 frazioni che compongono il comune laziale.
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Arrivati al villaggio, immerso tra i monti della Laga, il primo incontro è con Margherita, 29 anni, membro storico dell’Associazione Configno, di cui porta orgogliosamente la felpa blu con il logo. «Qui dove ora vedi il paese nuovo prima c’era un campo con le pecore», dice. Ora ci sono 37 casette, più un’ex stalla restaurata e trasformata in luogo di aggregazione, e poi una chiesetta, un piccolo bar con forno a legna, un campo da calcio, docce e bagni pubblici. Percorrendo il viale centrale, tra le file di alloggi, si arriva alla piazzetta. Lì c’è Pier Luigi Betturri, uno dei coordinatori del Comitato Rinascita di Configno fino al dicembre 2019. «Qui non abbiamo avuto vittime, ma il terremoto ha mandato in frantumi tutto e tutti, soprattutto psicologicamente», spiega. Mostra la sua casa ristrutturata, una delle poche rimaste in piedi. Alle spalle c’è ancora il borgo antico con un centinaio di alloggi, alcuni risalenti al ‘600. I terremoti hanno reso inagibili le abitazioni, quasi tutte danneggiate e da demolire. «All’inizio ci sono stati mesi di terrore, poi abbiamo raccolto le forze, e già ad agosto 2017 sono iniziati i lavori per il nuovo villaggio», ci racconta.

La risposta è arrivata soprattutto dai giovani. «Abbiamo subito iniziato a pensare a delle soluzioni per fare in modo che già dall’estate successiva ci fosse un luogo in cui ritrovarci», prosegue Margherita. Tutto era cambiato per i residenti fissi, che si erano dovuti allontanare o vivevano in sistemazioni di fortuna. Ma anche quelli che ad Amatrice chiamano il “popolo delle seconde case”, la gente del posto che si era trasferita a Roma ma tornava qui ogni estate, durante le festività, nei week end.

Il sindaco di Amatrice, Antonio Fontanella, spiega l’importanza di questo “popolo” per l’economia della zona: «Qui abitano 2.200 persone, ma loro sono solo una piccola parte del nostro universo, il giro di affari della conca amatriciana da sempre ruota attorno ai non più residenti: la linfa vitale arriva dalle persone originarie di qui che tornano di generazione in generazione durante i week end e le estati».
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La ricostruzione pubblica e stradale hanno avuto forti ritardi. Solo alla fine di agosto, ad esempio, sarà aggiudicato l’appalto per la ricostruzione dell’ospedale e molti abitanti sono ancora nelle Sae, le casette di emergenza fornite dal comune o si trovano fuori Amatrice come beneficiari del Cas, il contributo autonomo di sistemazione. Per i non residenti non è previsto un contributo per la ricostruzione.

Ecco perché molti pensano che, sul modello di Configno, sia fondamentale l’apporto di privati e associazioni per ricostruire e consentire a chi ha la casa distrutta di continuare a tornare. Perché da queste parti è questo che fa muovere l’economia. Basti pensare che, prima dei terremoti, in estate Amatrice contava 25-30 mila abitanti. «Se avessimo cominciato a saltare le estati avremmo perso il legame con il territorio: per noi questo è un posto speciale, dove siamo cresciuti, abbiamo i nostri ricordi e le nostre radici», racconta Margherita.

Così sono iniziati gli eventi di autofinanziamento a Roma, le “serate dell’amatriciana”, la vendita di libri e le donazioni, su tutte quella di Romano Angelieri, un abitante del luogo che prima di morire ha consegnato la disponibilità delle aree per la costruzione del villaggio. «In questo modo già l’estate dopo avevamo una “iurta”, un’enorme tenda tipica dei nomadi delle steppe, che poteva ospitare fino a 40 persone. E qualcuno è potuto tornare».

Secondo Betturri questo è stato il miracolo. «Abbiamo mantenuto una linea di continuità. I bambini che giocavano qui nel 2016 facevano lo stesso già l’anno dopo, non c’è stata nessuna interruzione». Poi, nel 2018, ecco le donazioni private. «Così sono arrivate le prime 21 casette, i ragazzi hanno costruito il bar e pian piano il villaggio si è ampliato».

Oltre la casetta di legno del bar si scorge il museo di Configno. Lo gestisce Caterina, una donna minuta sulla cinquantina: «Tanti compaesani avevano nelle loro cantine reperti antichi. Con le demolizioni sarebbe andato tutto perduto. Invece quegli oggetti sono conservati qui, per ricordare». Dentro è stata ricostruita un’osteria tipica, ci sono attrezzi agricoli e abiti tradizionali ed è stata ricreata persino un’aula della vecchia scuola di Configno. Il museo esisteva anche prima, ma dopo il sisma è stato valorizzato e arricchito. «Anche dalle frazioni vicine ci hanno portato degli oggetti. Oggi questo è il simbolo della memoria del luogo». Oltre al museo, a Configno c’è anche l’Oasi Orie terme, una riserva di 14 ettari che ospita daini e molte specie della fauna locale. All’interno, un percorso tra boschi e sorgenti è un omaggio alla Terra e alla natura, per promuovere l’educazione e la cultura del rispetto dell’ambiente. Ma è soprattutto un investimento per il territorio. Ripartendo dal museo e dall’oasi si stanno creando percorsi turistici per riportare movimento intorno ad Amatrice.
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Intanto al bar alcuni ragazzi sono intenti a sfornare le pizze da offrire ai confignari (si chiamano così, gli abitanti di qui). Tra loro c’è Antonio, 30 anni, del comitato direttivo dell’Associazione Configno. È lui a raccontare quello che i giovani continuano a fare per il territorio: «Dopo il sisma c’è stato un ricambio generazionale. Ora lo zoccolo duro dell’associazione è costituito dai trentenni e ci occupiamo noi delle iniziative, dalla festa “Saperi e Sapori” all’organizzazione di laboratori formativi per i bambini e della cura del paese».

La festa Saperi e Sapori era l’evento di punta della zona, non una sagra, come ci tiene a sottolineare Antonio, ma un momento di incontro per tutta la conca che fosse un’occasione per «far conoscere le nostre tradizioni oltre i famosi spaghetti all’amatriciana». Quest’anno a causa del Covid la festa è stata annullata, ma i ragazzi hanno organizzato eventi di raccolta fondi a Roma con la vendita di prodotti tipici di Amatrice per promuovere il tessuto economico del territorio. «Ci teniamo molto, questa è una terra che sentiamo come nostra e vogliamo contribuire alla sua rinascita», conclude Antonio. I ragazzi la vivono come una missione. E ora insegnano ai bambini ciò che loro hanno ricevuto dai nonni, le storie e le tradizioni del posto. «Lo facciamo anche per i residenti, per non abbandonarli al loro destino di isolamento» racconta Margherita.

Tra questi c’è Tiziano, suonatore di organetto, fa parte di una delle famiglie che vivono qui tutto l’anno. Ha 23 anni e lavora con lo zio in un’impresa edile. «Nel 2016 ero ad Amatrice, la mia casa è crollata e sono tornato a Configno dalla mia famiglia. Ci siamo mossi subito per ricreare un centro aggregativo che fosse a disposizione di tutti. È dura risollevarsi. Si parla tanto ma per noi giovani nessuno ha fatto nulla. Questo villaggio ci ha salvato la vita».

Secondo Tiziano sul modello di Configno anche altre frazioni potrebbero ripartire, come già successo a Capricchia o Preta. Poi continua, più sconsolato: «Purtroppo invece al centro di Amatrice è tutto rallentato, sembra che nulla vada avanti».

Amatrice la si raggiunge in 10 minuti di bicicletta. Curva dopo curva, risalendo gli Appennini reatini. In lontananza si vedono i lavori per una galleria, ma sono bloccati. Colpa del Covid e della burocrazia, spiegano al Comune. Una deviazione, un cartello giallo indica la nuova strada. Passato il nuovo “Ponte della rinascita” se ne vede un altro, “il ponte a tre occhi”: era la strada diretta per la città. È lì, recintato, ancora distrutto. Sono passati quattro anni.

Le ultime curve, ed ecco Amatrice. Anzi, ciò che ne resta. Un agglomerato di prefabbricati: è il complesso comunale. Sulla porta c’è il sindaco Fontanella, ci mostra i cantieri, gru, betoniere, uomini con i caschetti. A breve consegneranno 54 appartamenti, dice. Insediato da solo un anno, Fontanella sulla ricostruzione sembra positivo: «A dicembre sono cambiate le leggi, le procedure sono state snellite, in cinque anni ricostruiremo quasi tutto».

C’è un nuovo piano anche per il centro storico, le buste per l’assegnazione della gara saranno aperte a settembre. Ma la desolata passeggiata per quello che era il centro storico del paese fa stringere il cuore. Scortati dai vigili del fuoco entriamo nella zona rossa: ora che gran parte delle macerie (ma non tutte) sono state portate via, è una spianata con resti di case sventrate e pochi altri edifici puntellati, come le chiese di Sant’Agostino e San Francesco. Della struttura a castrum romano che caratterizzava la cittadina non si intuisce nemmeno l’ombra. I vigili del fuoco della caserma di Rieti fanno quasi fatica a orientarsi. Uno di loro era qui anche quattro anni fa. «Siamo arrivati da tutta Italia. È stata dura…». Lo sguardo si fa scuro. Si prosegue sotto il sole cocente in silenzio. «Qua c’era la piazza. O forse là».

Passiamo davanti alla statua di Camilla, il border collie che quell’estate salvò decine di vite, ma poi morì in un incendio. Amatrice ha voluto renderle omaggio. E poi su, verso i centri commerciali e l’area food, dove sono concentrati i ristoranti che prima erano nel centro storico. «Economicamente al momento c’è il disastro», dice il sindaco Fontanella. «Tutte le attività sono in grande sofferenza. Prima del Covid ci stavamo riprendendo, trainati dalla ristorazione. La generosità degli italiani si traduceva in un grande afflusso di persone. Poi è arrivato il virus e ora siamo in una situazione di difficoltà estrema».

Amatrice ha davanti a sé ancora tanta strada da fare. Ma il modello Configno resta l’esperienza positiva da cui ripartire. E anche secondo il sindaco di Amatrice, i ragazzi sono e saranno fondamentali. «Oggi il rischio di questa tragedia è che si perda il legame storico tra le persone andate via e il luogo d’origine. Questo sull’economia di Amatrice avrebbe un impatto disastroso». Tanto dipenderà dall’energia dei più giovani.