Rabbia, frustrazione ma anche riflessioni, racconti e suggerimenti agli "adulti": sono tantissimi gli sfoghi degli studenti arrivati alla nostra redazione. Continuate a scrivere la vostra esperienza di scuola a distanza: le vostre testimonianze verranno pubblicate online
La pandemia ha reso difficile l'aggregazione sociale, e ormai a mantenere le distanze ci abbiamo quasi fatto l'abitudine. Quello a cui nessuno ancora riesce ad abituarsi sono i cancelli serrati delle scuole, i banchi vuoti, il silenzio. È difficile abituarsi al pensiero che ai ragazzi sia stato interdetto il loro spazio naturale e che la scuola possa essersi trasformata in una lezione su Meet o un file condiviso.
Sono passati tanti mesi. E alla didattica a distanza non ci si abitua, apre ferite – a molti invisibili – che, a lungo termine, forse non si rimargineranno più.
Lo dicono i dati raccolti dal Ministero dell'Istruzione e dal Consiglio nazionale degli psicologi, raccontati dall'Espresso. Lo dicono gli educatori e i genitori. Le istituzioni hanno fatto promesse che non sempre – in un continuo rimpallo di responsabilità – hanno portato a provvedimenti efficaci.
Gli studenti sono stanchi e disorientati e si sfogano sui social. C'è chi scrive che in questi mesi di Dad non sarebbe rimasto sano di mente se non ci fosse stato il confronto sul web con gli altri studenti e chi arriva a dire che l'unica cosa bella della didattica a distanza sono le lamentele su Twitter. «Io comunque un po' sto impazzendo, alterno momenti in cui sto bene a momenti in cui mi sento chiusa in gabbia senza stimoli», «Questa è follia pura», «Ci pensate che è quasi un anno che le nostre giornate sono tutte uguali?».
Da queste piazze virtuali emerge tutta la verità, senza mezzi termini. E a chi prova a ricordare che fanno bene a farsi sentire, molti rispondono che tanto non cambia nulla o chissà quando cambierà. E mentre i ragazzi scendono in piazza, da Roma a Milano, abbiamo deciso di aprire una piazza virtuale per raccogliere le loro voci. Che cominciano ad arrivare. Le parole dei ragazzi che ci hanno scritto sanno di «rabbia, indignazione e frustrazione» e vogliamo raccoglierle così autentiche come sono.
Di Dad abbiamo parlato tutti, tanto, ma solo gli studenti possono raccontarla davvero, in prima persona. #DisagioADistanza sarà lo spazio sempre aperto alle loro testimonianze, la voce di un futuro stanco di crescere lontano dalle classi e che da oggi ha una piazza in più.
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«Frequento il quinto anno del liceo scientifico. Siamo stanchi, alunni e professori. Per i nostri prof siamo a casa e quindi abbiamo più tempo per studiare, quando in realtà stiamo male e siamo psicologicamente a terra, non abbiamo alcun tipo di aiuto o di sostegno; chi è fortunato ha una famiglia solida alle spalle..ma non tutti sono fortunati. Vorremmo essere compresi, stiamo buttando via i nostri anni più belli, la maggior parte di noi non vede gli amici da mesi. Quest'anno abbiamo la maturità, e come possiamo prepararci se chi ci governa non sa cosa fare? La dad non funziona più, vogliamo solo tornare a scuola ed esercitare il diritto allo studio. Siamo davvero stanchi». (
Maria, Liceo scientifico di San Giovanni in Fiore)
"Ogni giorno che passa mi sento sempre più alienato dalla scuola, oramai partecipare alle lezioni è diventato un gesto meccanico di routine, un semplice susseguirsi di accendo, saluto, spengo il microfono, ascolto, saluto che mi lascia con l'amaro in bocca. Questo tipo di didattica, privo di una qualsiasi interazione umana, funge solo da anestetico lasciandoci inerti e sconfortati e non ha e non potrà mai avere la stessa validità di quello in presenza. Ovviamente siamo consapevoli che le situazioni di emergenza richiedano dei sacrifici da parte di tutti ma è evidente come non si stia facendo abbastanza per permettere un ritorno sicuro a scuola. E a me questa pare solo l'ennesima riprova che il nostro, purtroppo, non è un Paese per giovani." (
Riccardo, Liceo Volta di Milano)
«Ciò che probabilmente fa rabbia a noi studenti universitari è la totale assenza dal dibattito pubblico. La "DaD universitaria" ha sicuramente funzionato meglio rispetto ai licei. E non ci sono state pagliacciate come "le ore ridotte a 45 minuti". Noi universitari abbiamo lavorato quest'anno molto più degli altri anni. Abbiamo seguito i corsi al 100% e spesso ad orari improponibili in tempi normali perché "tanto che avete da fare", ci dicevano. Ma quando dico che la DaD ha funzionato per noi, mi riferisco ai corsi, che effettivamente, seppur nell'assenza totale di socialità, sono stati ben condotti anche a distanza. Qual è quindi il punto? Abbiamo pagato le tasse praticamente come se non ci fosse stata alcuna pandemia, tuttavia non abbiamo avuto accesso ad alcun laboratorio, 0 ore di pratica, 0 ore di tirocinio, e non abbiamo idea di se/quando ci sarà un bando Erasmus. Le regole di sicurezza per gli esami sono completamente prive di significato: essere in 100 in una grande aula durante un corso è effettivamente un assembramento, ma non capisco quale sia il rischio se in pochi, a gruppi, ci si prenota in anticipo all'esame e si svolge il tutto in un'aula da 200 posti vuota con lavagne lunghe più di 5 metri. Le università sono pienamente coscienti del fatto che un esame non è uguale all'altro e non c'è alcun motivo per non applicare le regole caso per caso. Noi studenti universitari, a differenza di quelli del liceo, votiamo, ma contiamo ancora meno perché alle nostre spalle non ci sono genitori indignati. Diciamo che in Italia i laureati sono solo il 4% della popolazione e solo il 27% dei giovani (contro il 44% Europeo); beh, non sono sorpreso! Siamo considerati un peso, non riceviamo alcun aiuto e ogni giorno della nostra carriera universitaria ci ritroviamo a constatare quanto più conveniente sarebbe andar via. Essere uno studente in Italia non conviene. Io sono al 5 anno, ma non posso dire di essere vicino al traguardo, perché la pandemia ha rallentato anche me; però almeno posso dire di aver vissuto la mia esperienza accademica. Mi spiace per chi si troverà abbandonato per molto più tempo da un sistema in cui l'Università conta meno di qualsiasi altra cosa» (
Davide e Giada, ingegneria Aerospaziale, Università Federico II di Napoli)
«Negli ultimi 10 mesi di didattica a distanza, le sensazioni che più ho provato sono state rabbia, indignazione e frustrazione. Passare sei ore davanti a uno schermo ogni giorno mi ha causato svariati problemi fisici come male agli occhi, mal di testa e insonnia. Non poter fare nulla per cambiare la mia situazione mi ha avvilito e da ciò è derivato un sentimento di impotenza veramente fastidioso: in questi mesi, l'unica cosa che mi ha dato la forza di continuare a lottare per un futuro migliore è stata la speranza di essere ascoltata e ascoltati/e, il proposito col quale abbiamo occupato il cortile del nostro liceo poco fa. Siamo stati privati e private del diritto ad un'istruzione critica e consapevole, non nozionistica, siamo stati/e privati/e del confronto e della socialità che costellava quotidianamente la nostra vita scolastica, e, onestamente, mi vergogno assai per chi ha preso questa decisione. Temo davvero che nei fatti la nostra condizione non cambierà a breve e che le istituzioni continueranno a lasciarci in secondo piano, nonostante stiamo facendo tutto il possibile per evitarlo e riportare la questione della scuola al centro del dibattito pubblico». (
Chiara, Liceo classico Manzoni di Milano).