Centinaia di proteste sui dispositivi distribuiti ai piccoli studenti dal Commissario per l'emergenza: alcune non aderiscono al volto, altre sono troppo grandi o di scarsa qualità

E menomale che ci pensa Domenico Arcuri. Le mascherine distribuite nelle scuole dal Commissario straordinario per l'emergenza Covid a studenti e insegnanti sono un fiasco, specie per quanto riguarda elementari e medie. Chiedere a genitori e maestri che da mesi protestano sui social: alcuni modelli sono «enormi rispetto ai volti degli alunni»; altri, «stretti e scomodi a causa dei legacci da fissare sulla nuca»; quasi tutti «emanano cattivo odore», sono «di qualità scadente». Non ci si sente sicuri, e chi può preferisce farne a meno e comprarle per conto proprio. Mentre quelle fornite dal Governo, che i bambini devono comunque prendere, finiscono sprecate. O, nei pochi casi virtuosi, regalate: «Scrivetemi, mi dispiace buttarle...», avvisa Martina in uno dei gruppi Facebook di mutua assistenza per gli abitanti dello stesso paese. I figli le trovano scomode. Quelli di Laura, invece, larghe e inaffidabili. Le mette a disposizione, dice possano andar bene per tutti. Del resto «sulla confezione è scritta la taglia adulto». Peccato servissero da bambino.

Il problema riguarda migliaia di studenti che le ricevono ogni settimana e sono obbligati a tenerle durante le canoniche cinque o sei ore di lezione. Quando va bene, tocca il "male minore" e cioè «il modello con l'elastico a nastro», spiega all'Espresso una madre di Latina. Al contrario di quelle con gli elastici intorno alle orecchie infatti, a scuola dominano i dispositivi a doppia fascia che passa dietro la testa. Comprese queste che ci mostra, appartenenti al lotto prodotto da FCA, recentemente al centro di un dibattito sull'effettiva efficacia. Recano la dicitura "per bambini da sei a dieci anni". «Ma non sempre viene rispettata la fascia d'età: dipende cosa arriva al personale», ci spiega. «Soffocano perché strettissime, risultano difficili da indossare per chiunque abbia i capelli lunghi e non hanno neanche il ferretto». Bassa qualità, poche garanzie. E lasciano segni sul volto. I commenti sui social confermano. La soluzione? «Forbici e spillatrice». Su YouTube spuntano anche i tutorial sul taglia e cuci in tempo di scuola e pandemia. Gli utenti ringraziano.
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E comunque meglio così, con queste strette, che con le altre «enormi», evidentemente riservate agli adulti ma destinate ai bambini, che lo Stato pare stia mettendo a disposizione nelle ultime settimane. Lasciano passare l'aria, quindi sono inutilizzabili. Lo conferma Chiara – madre e insegnante – su un gruppo di insegnanti da oltre 150mila iscritti. Nel suo istituto, racconta, «nessuno indossa quelle fornite dal Governo». Non aderiscono, non proteggono. E ciascuno fa per sé.

«Siamo nella stessa situazione», replica Eva. Un'altra maestra: «Gli studenti le chiamano "pannoloni", ormai ognuno viene in aula con i dispositivi comprati dai genitori». Poi Pino ci mostra le foto del figlio di undici anni, che ha patito a lungo quelle coi legacci e da qualche settimana ha ricevuto queste con l'elastico alle orecchie: gli stanno larghissime. Quindi se le mette il padre, si scatta un selfie. Ce lo mostra: sono fuori misura persino per lui. Stesso problema per la bimba di Francesca: all'inizio troppo strette, ora larghissime. «Peggio di prima». Segue una foto della bambina che ne indossa una: sul suo volto, appare enorme. Un'altra mamma denuncia una «taglia XLL», le chiama «lenzuoli». Ci manda una foto: sarebbero per adulti, ma sono abbondanti anche per lei.

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E i rimedi? Per certe farmacie esistono. Una di Cosenza, per esempio, ha pubblicato un annuncio: elastici con cui "stringere" il dispositivo dalle orecchie alla nuca, qualora «ai vostri bambini stesse largo». Probabile, se – come si legge sui social – si tratta di taglie da adulto date a dei ragazzini. Resta il problema della qualità: in entrambi i casi – troppo strette o non aderenti – i genitori lamentano scomodità e tessuti scadenti. E allora meglio le chirurgiche. Pino conferma: «Da mesi le compro anche per mio figlio». In tanti lo seguono. Così le famiglie spendono ancora e lo Stato spreca.