I macabri ritrovamenti di Livorno ricordano che le torture a cani e gatti possono essere sintomo della pericolosità sociale di adulti e adolescenti. Come dimostrano le storie di alcuni omicidi. Dagli Stati Uniti fino a Colleferro

Da diverse settimane gli abitanti del quartiere Montenero di Livorno sono sotto shock a causa dei macabri ritrovamenti di due teste di gatto lasciate nello stesso luogo da ignoti, a distanza di pochi giorni l’una dall’altra. Nella zona sarebbero circa 25 i felini spariti negli ultimi mesi e i carabinieri hanno invitato i proprietari a sporgere denuncia per trovare delle tracce che possano aiutare a risalire ai responsabili di un gesto così crudele. Di storie di questo tipo, purtroppo, se ne leggono spesso: ma quante volte gli autori di violenze contro animali indifesi risultano essere elementi pericolosi anche per l’uomo?

 

La questione è da tempo dibattuta in ambito giuridico e psichiatrico. Non a caso Ovidio, nel 43 a.C., sosteneva che «la crudeltà verso gli animali è tirocinio della crudeltà contro gli uomini». «L’azione violenta e la scarsa empatia per il dolore dell’altro essere vivente sono due facce della stessa medaglia», spiega Giovanna Bellini, criminologa forense e neurologa di riferimento del carcere delle Sughere di Livorno e della Medicina legale di Livorno. È lei che, insieme alla veterinaria Sandra Benini e a Simona Bertotto, presidente dell’Associazione tutela ambiente e animali, sta seguendo la vicenda delle teste decapitate e delle sparizioni anomale di gatti nella città toscana: del caso si stanno occupando l’ufficio di tutela animali del Comune e la magistratura. Da giorni la criminologa chiede agli amministratori di alcune pagine Facebook di non mostrare le foto di quei resti: «La diffusione di immagini o video di violenze su animali alimenta la mente di soggetti predisposti, innescando emulazione e stimolando l’ego dei colpevoli, indotti ad andare alla ribalta con altri “trofei” da esporre», ammonisce.

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Torture e uccisioni di animali possono essere un serio campanello d’allarme, sintomo di una pericolosità sociale sia di adulti che di adolescenti: spesso alle spalle di questi comportamenti c’è l’emulazione di una violenza subita direttamente o a cui si è assistito: «Comprendere anche cosa stimoli l’emulazione è fondamentale per mettere in atto adeguate azioni di prevenzione per impedire il perpetuare di queste violenze», prosegue Bellini: «Ma anche mettere in atto azioni di tutela per quei bambini o adolescenti vittime di maltrattamenti e a loro volta crudeli su animali, cercando di impedire lo sviluppo di personalità violente a vari livelli».

 

Tracce di cui, però, ancora oggi si tiene poco conto nelle sedi processuali, dove vengono declassate a informazioni marginali. «Troppo spesso nei minori gli atti di violenza contro gli animali vengono sottovalutati e confusi con un normale atteggiamento esplorativo», spiega ancora la criminologa: «Pertanto non viene riconosciuto il germogliare di quello che, con una citazione cinematografica, definiamo il “seme della violenza”. La vittima rappresenta l’essere più debole, facile alla sopraffazione, semplice da dominare. Il maltrattante, il sadico, colui che ha necessità di manifestare il proprio dominio sull’altro, inizia infatti il proprio percorso su una vittima senza voce, come un animale di piccola taglia. Dati in letteratura descrivono che solo il 2 per cento della popolazione nasce con aree cerebrali poco o affatto sensibili all’empatia verso la sofferenza del prossimo, animali compresi; mentre il restante 98 per cento è variabilmente più influenzato dall’ambiente».

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Sono molti i serial killer più o meno noti che prima di sfogare le loro pulsioni su altri esseri umani avevano maltrattato delle bestie indifese. Tra i più famosi c’è Albert De Salvo, conosciuto come lo “strangolatore di Boston”: confessò di aver violentato e ucciso 13 donne tra il 1962 e il 1964. Figlio di un padre alcolista e violento, che picchiava la madre davanti a lui e lo costringeva ad assistere a rapporti sessuali con prostitute, da adolescente catturava gatti e cani con alcune trappole e, dopo averli rinchiusi nelle gabbie, li trafiggeva attraverso le sbarre con dei fendenti. Edward Emil Kemper è stato l’autore di otto omicidi fra il 1972 e il 1973. Tra le vittime, oltre a sei autostoppiste, c’erano i suoi nonni e sua madre.

 

All’età di 13 anni, Kempler aveva già ucciso decine di gatti (tra cui il proprio) e ne aveva impalato le teste. David Richard Berkowitz, il “killer della calibro 44”, tra il 1976 e il 1977 freddò 6 persone e ne ferì molte altre sparando nei parcheggi di New York: abusava sessualmente dei cani del quartiere e sparò a quello del vicino perché lo considerava una “forza del male”. Robert Joe Long, giustiziato con iniezione letale nel 2019, alla metà degli anni Ottanta aveva violentato e ucciso 10 donne in Florida, ma già prima di quegli efferati delitti aveva torturato e aggredito sessualmente il cane di famiglia. Ted Bundy, il “killer dei campus” condannato per aver ucciso 30 studentesse universitarie e sospettato per altrettanti delitti, era un torturatore di cani e gatti. Kip Kinkel, 15 anni, il 21 maggio 1998 dopo aver ucciso i suoi genitori con un’arma da fuoco andò nella sua scuola, la Thurston High School di Springfield, e assassinò due compagni di classe, ferendone altri 20.

 

La famiglia si sarebbe dovuta allarmare scoprendo che, in precedenza, aveva vivisezionato scoiattoli, decapitato gatti e fatto esplodere una mucca. Jeffrey Dahmer, meglio noto come “il cannibale di Milwaukee”, tra il 1978 e il 1992 uccise 17 persone. Si trattava principalmente di giovani omosessuali su cui aveva infierito con violenze sessuali, necrofilia, cannibalismo e squartamento. Da adolescente era solito sciogliere nell’acido scoiattoli morti, impalava cani, piantava chiodi nel corpo dei gatti e li smembrava. I giovanissimi Michael Wayne Echols, Jessie Lloyd Misskelley Jr. e Charles Jason Baldwin, rispettivamente 18, 17 e 16 anni, furono arrestati nel 1993 per gli omicidi di tre bambini a West Memphis, avvenuti durante alcuni “riti satanici”.

 

Avevano già ucciso, scuoiato e mangiato alcuni cani. Luke Woodham, classe ’81, l’1 ottobre del 1997 accoltellò e uccise la propria madre che morì poco dopo dissanguata (dichiarò di non ricordarlo), quindi andò a scuola, la Pearl High School di Pearl, nel Mississippi, dove sparò e uccise la sua ex fidanzatina e un altro compagno, ferendone altri sette. Dopo aver fatto gruppo con esaltatori di Hitler devoti al “satanismo”, aveva picchiato, bruciato, torturato e ucciso il proprio cane, descrivendo i dettagli su un diario: «Non dimenticherò mai l’ululato che ha fatto: sembrava quasi umano. Abbiamo riso e l’abbiamo colpito duramente», appuntò. Andrew Cunanan, l’uomo che il 15 luglio del 1997 a Miami uccise lo stilista Gianni Versace con due colpi di pistola a Miami Beach, dopo aver già tolto la vita ad altre quattro persone, catturava granchi e li liberava dopo aver bruciato loro gli occhi con un fiammifero. Nel 2014, l’Fbi ha finalmente inserito i reati sugli animali nella classe A, dove negli Stati Uniti vengono classificati quelli ritenuti più gravi.

Continua la criminologa: «La crudeltà sugli animali manifestata dai minori è uno dei primi indicatori del possibile sviluppo in età adulta di condotte violente e antisociali. Questo tipo di violenza è associata a quella interpersonale proprio perché ne è un chiaro indice di predittività ed è pressoché costante nella storia di un serial killer». In psichiatria è anche uno dei criteri diagnostici del disturbo della condotta e del disturbo antisociale di personalità, una patologia in cui si disprezzano le esigenze altrui e si violano le comuni norme sociali. Si manifesta con una certa regolarità in soggetti che si macchiano di reati contro la persona, dallo stalking fino alla violenza domestica.

Marco Facchinetti, 47 anni, di Trescore Balneario (Bergamo), era uno stalker conosciuto come il “killer dei gatti”. Nel 2017 è stato condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione per maltrattamento e uccisione di animali, pena confermata in appello. L’uomo era solito consultare siti di annunci su cucciolate da adottare, entrava in relazione con i proprietari dei gattini e una volta conquistatane la fiducia, se li faceva affidare; ricontattava poi le stesse persone tramite WhatsApp per inviare loro immagini delle torture a cui erano stati sottoposti i cuccioli, accompagnate da frasi agghiaccianti. Nel 2018, a Roma, nel quartiere di Tor Carbone, un uomo di 44 anni durante una violenta lite con moglie e figlio quindicenne, ha lanciato il Jack Russell del ragazzo dal settimo piano. La disperazione del giovane, sceso in strada ad abbracciare il piccolo cane morto, non ha placato la violenza del padre, tanto da costringere i poliziotti a usare lo spray al peperoncino.

E non mancano i casi di violenze sugli animali dei partner: tra i più cruenti quello di Gaetano Foco, che nel 2015 ha seviziato e ucciso il cagnolino della sua fidanzata, condividendo il video delle sevizie sui social. Video di questo tipo, con animali torturati e uccisi senza pietà, sono stati trovati anche nei cellulari dei fratelli Bianchi, che nella notte tra il 5 e il 6 settembre dell’anno scorso a Colleferro hanno ucciso Willy Monteiro Duarte, massacrandolo di botte.