Roberta, Mariella e Laura erano in stage quando hanno subito molestie pesantissime da parte dei loro responsabili. Come loro tante altre ragazze non hanno trovato il coraggio di denunciare per la paura di perdere un’opportunità «a 20 anni è diverso, ora saprei come comportarmi»

«Quando ho iniziato lo stage in agenzia parte del mio lavoro consisteva nel sopportare le battute e gli sguardi del mio superiore - racconta Roberta -. Tante volte ho ricevuto avances esplicite e ogni volta che facevo capire di non avere interesse, il capo minimizzava, rideva, diceva che stava scherzando e mi dava della ragazza troppo seria, che non sa stare al gioco».

Come Roberta, molte altre hanno scritto a #lavoromolesto, lo spazio anonimo di denuncia che abbiamo aperto con Cgil Piemonte e Umbria, per raccontare le molestie che hanno subito durante i mesi del tirocinio da colleghi e capi. Le loro esperienze dimostrano che troppe donne, giovani soprattutto, hanno creduto di dover sostenere il peso, da sole, di comportamenti aggressivi, battutacce, ricatti a sfondo sessuale, da parte dei superiori in azienda, in ufficio, in fabbrica perché «è così che funziona» e per paura di perdere un’opportunità di lavoro che tanto hanno aspettato, voluto, e che con difficoltà sarebbe ricapitata.

 

 

«Non riuscivo più a muovermi, - ricorda Mariella - il mio sangue era gelato. Eravamo in auto e lui ha messo la sua mano tra le mie gambe. Non ho fatto nulla, sono rimasta ferma, con lo sguardo fisso in avanti anche se non vedevo più niente. Aspettavo che quel momento finisse, sperando che il tempo passasse più in fretta del solito». Non era la prima volta. In ufficio il titolare aveva già avvicinato Mariella: le si metteva accanto, la osservava lavorare, le accarezzava il collo da dietro. Qualche giorno dopo la vicenda dell’auto ha toccato il fondo. «Mi ha preso il braccio e con la forza mi ha spinto sopra le sue gambe. Mi schiacciava contro il suo corpo, voleva farmi sentire il suo pene in erezione. Ha messo le mani sotto la mia maglietta, ha iniziato a toccarmi il seno». Mariella è scappata senza girarsi, spaventata, sconvolta, imbarazzata e attonita per l’accaduto. «Non ho detto nulla ai colleghi, niente a nessuno se non al mio fidanzato che, però, non ha fatto niente. Volevo chiamare il supporto psicologico ma, mi dissero, sarebbe stata necessaria la prescrizione del medico. Io non l’avevo e non volevo raccontare ad altri quello era successo». Così Mariella strinse i denti e andò avanti da sola. Aveva vent’anni, pochi soldi e doveva finire il tirocinio necessario per l’abilitazione alla professione che ora svolge con soddisfazione, da un’altra parte. «Oggi di anni ne ho trenta e so come comportarmi. Allora, però, ero poco più che maggiorenne. Non sapevo cosa fare, a vent’anni ti vergogni, hai paura di perdere quel poco che hai e stai zitta».

Anche Laura era in stage quando ha subito molestie dal suo capo. Aveva iniziato da poco, non voleva perdere ore di lavoro e così, dopo aver fatto un incidente in macchina, ha continuato andare in azienda, seppur indolenzita. Un giorno, però, in cui il suo ginocchio si è gonfiato molto più del solito, ha chiesto a Mauro, nome di fantasia per il direttore dell’ufficio, qualche ora libera per andare dal medico a farsi visitare. «Lui, invece, mi ha inviata ad avvicinarmi. Ha detto che voleva dare un’occhiata. Ero in piedi e si è accovacciato per toccarmi la gamba. Non potevo vederlo perché ero girata di spalle ma sentivo che mi palpeggiava insistentemente. I minuti passavano lentissimi e lui non smetteva». Laura non reagì, non aveva la forza. Sperava solo che le mani di Mauro non salissero troppo. «Quando quel momento terribile finalmente è finito mi sono girata e ho incrociato il suo sguardo. Lui ha abbassato il suo e se ne è andato senza dire una parola. Per molto tempo mi sono sentita come se avessi fatto qualcosa di sporco e sbagliato, non ne ho mai parlato con nessuno».