Il Natale degli invisibili
Due uomini senza dimora uccisi dal gelo solo negli ultimi giorni. Per far sì che la povertà smetta di essere considerata un’emergenza servono case, piccole strutture e lavoro sul territorio. Ma la pandemia lo sta insegnando anche alla politica
di Erika Antonelli
«La strada è bastarda», dice al telefono Alessandro Radicchi, fondatore e presidente di Binario 95, un centro di accoglienza per persone senza dimora attivo nei pressi della stazione Termini di Roma. Quella strada che non ha risparmiato Fode Dahaba, 27 anni e originario della Guinea Bissau, morto di freddo il 9 dicembre. E ha stroncato un 78enne ritrovato cadavere nella sua vecchia Alfa Romeo, deceduto per lo stesso motivo pochi giorni prima. Due cadaveri dovrebbero bastare a ricordare che il freddo non è solo un’emergenza. Perché chi è senza casa lo è tutto l’anno, non solo quando le temperature sfiorano lo zero.
Quando mancano quattro mura, spiega Radicchi, molti cercano riparo in stazione. Dove di giorno scorrono migliaia di corpi frettolosi e al calar del sole si riposano quelli di chi non ha un tetto sotto cui tornare. «Nei locali ferroviari si trova tutto ciò che manca in città: calore, accoglienza, protezione, sicurezza. Vivere in strada fa venire paura di rimanere isolati, mentre la stazione diventa luogo di comunità e abitudinarietà. Come noi viviamo le nostre giornate, anche loro hanno una certa routine. Arriva la persona che distribuisce giornali, il bar che regala una brioche. Cercando di risanare le fratture di chi vive in strada, provocate dalle perdite. Dell’amore, della salute, del lavoro».
Su questa quotidianità per quanto precaria si è scagliata la pandemia, ridisegnando le modalità con cui erogare supporto e assistenza. Secondo i dati Istat, nell’anno del Covid-19 le famiglie che vivono in povertà assoluta (chi non può permettersi le spese minime per condurre una vita accettabile, con un’entità dei costi che varia in base a diversi fattori) sono più di due milioni, per un totale di oltre cinque milioni di individui. In aumento rispetto all’anno precedente e raggiungendo il livello più elevato dal 2005. Una crescita confermata anche da Roberto Zuccolini, portavoce di Sant’Egidio: «Prima del virus a Roma avevamo solo tre centri di distribuzione alimentare, ora sono 28. I pacchi alimentari distribuiti sono più di 230 mila e dall’inizio pandemia abbiamo offerto un milione di pasti tra mense e cene itineranti». Ora, chi non ha il green pass porta via il cibo e chi possiede il certificato può mangiare in struttura (i volontari organizzeranno anche un pranzo di Natale, alla campagna si può donare qui). Parallelamente al supporto alimentare, le organizzazioni hanno attivato anche la rete sanitaria. Sant’Egidio ha creato l’Hub degli invisibili (14 mila i vaccinati finora), attivo a San Gallicano, mentre il Dottor Binario di Binario 95 da giugno 2020 offre tamponi sierologici, antigenici e molecolari (sono 7 mila quelli fatti fino a fine novembre).
Oltre al volto della solidarietà, la pandemia ha ridisegnato anche quello di molte famiglie. Come quella di Morena, 65 anni e due figli. Il Covid-19 le ha fatto perdere il lavoro e ora fa della sua passione, l’uncinetto, una piccola fonte di guadagno. «Avevo un negozio di giocattoli, prima tiravamo la cinghia fino alla fine del mese, ma ce la facevamo sempre. Con il virus abbiamo mollato. Gli aiuti del governo non sono bastati neanche per pagare l’affitto del locale e per saldare i debiti abbiamo dovuto vendere casa. Ora viviamo da nostro figlio, anche lui disoccupato». Morena è una delle tante persone che usufruiscono dei pacchi alimentari e lo racconta con una punta di ironia: «A Roma si dice “o mangi ‘sta minestra o ti butti dalla finestra”. Io dalla finestra non voglio buttarmi e così sono venuta. Ma prima non avrei mai immaginato di doverlo fare».
Eppure, per certi versi la pandemia è stata un motore di cambiamento. «Dall’inizio del Covid-19 abbiamo aperto 43 nuovi cohousing, forme di convivenza per rispondere alla crisi. Permettendo alle persone che erano in strada di vivere in una casa condividendo spazi e spese», dice il portavoce di Sant’Egidio. Il cohousing è attivo a Genova, Napoli, Padova. E solo a Roma ne usufruiscono più di 900 persone. Una di queste è Gennaro, che grazie al sistema di condivisione non vive più in una rsa ma in un appartamento che divide con un altro anziano. «Ho ritrovato la vita che avevo perso», dice. Ripromettendosi di tornare il prima possibile nella struttura che lo ospitava come volontario.
Anche secondo Radicchi la casa è la base da cui ripartire: «Finalmente anche le amministrazioni stanno recependo quanto la programmazione dell’assistenza e la differenziazione dell’offerta siano la base per affrontare la questione della povertà in maniera strutturale e non emergenziale. Per recuperare le persone servono accoglienze piccole e diffuse, capaci di rimettere al centro diritti e dignità». Per questo motivo, Binario 95 ha ampliato gli spazi di Casa Sabotino, un appartamento di 300 metri quadri pronto ad accogliere donne e persone transessuali. «C’è un terrazzo spettacolare - commenta Radicchi - le persone non puoi mica accoglierle in uno stanzone».
Pian piano pare se ne accorga anche la politica. Mentre a livello nazionale il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando ha firmato il decreto di adozione del Piano povertà 2021-2023, a livello comunale l’assessora alle politiche sociali, Barbara Funari, chiarisce la sua strategia: «A Roma voglio creare centri di accoglienza diffusi in tutta la città, non più grandi strutture per grandi numeri, e collaborare con i municipi». Alla base l’intenzione di differenziare l’accoglienza, avendo strutture in cui è possibile ospitare anche gli animali di chi è senza dimora. «Chi vive in strada ha un nome, un volto, una sua storia. E come gli altri cittadini ha bisogno di risposte e servizi. Molte volte il tema della povertà viene strumentalizzato e trattato come decoro urbano: ciò che è sporco mi disturba e deve essere allontanato. Ecco, vorrei scardinare questa cultura dello scarto».
Quel che da anni cercano di fare Sant’Egidio e Binario 95, considerando la povertà non un problema ma una risorsa su cui investire. Radicchi, per esempio, usa la metafora dell’ambiente: «Si fa un gran parlare di sostenibilità ambientale, ma dov’è finita quella umana? Portiamo la mentalità del riciclo anche nel rapporto con gli altri, nessuno è mai da scartare». Solo così, forse, le persone se ne andranno da quella strada bastarda.