Quando Maria ha comunicato di essere incinta il titolare le ha chiesto di non dire nulla in azienda, per non innervosire gli altri. E rientrata dalla maternità è stata mandata a casa. Le storie che tante donne con figli hanno inviato a #lavoromolesto testimoniano come il nostro non sia un paese per madri lavoratrici

«Ho avuto la mia unica figlia a quarant’anni» racconta Maria che vive a Roma e lavorava in uno studio associato di commercialisti. «Per l’azienda ho dato tutto, sempre. Ho rinunciato anche al congedo matrimoniale quando mi sono sposata, tanto avevo pochi soldi e non avrei potuto fare niente di che». Dopo 12 anni a completa disposizione dei titolari, senza orari, Maria è rimasta incinta. È stato difficile trovare il coraggio di dirlo ai dirigenti. Sapeva che non avevano predilezione per le donne in età di gravidanza. Dopo giorni d’ansia che hanno appesantito, senza ragione, quella che per lei era una buona notizia, ha fatto un grande respiro e parlato con uno dei tre titolari. «Aspettiamo a comunicarlo agli altri - ha risposto lui - rischiamo di farli innervosire prima del tempo. Non dire nulla finché la pancia non diventa visibile. Così, per ora, continuiamo tutti a lavorare serenamente».

 

 

Quello che è successo è stato solo il primo, doloroso, schiaffo «mi hanno chiesto di nascondermi, mi hanno spinta ad avere vergogna di me stessa».

Maria è tornata a casa, ha raccontato l’accaduto al compagno. Ha deciso di assecondare il capo e di non dire niente in ufficio finché sarebbe stato possibile nasconderlo. «Non so perché l’ho fatto, forse per paura di perdere il posto». Ha continuato a lavorare fino a una settimana prima del parto. Con la nascita della figlia è iniziato il congedo di maternità. «Negli stipendi mancava la quantità che erano soliti darmi in nero. Non avevano mai regolarizzato una parte del mio lavoro e così, alla prima buona occasione, mi hanno tolto quello che per anni, invece, hanno ritenuto corretto darmi». Aveva necessità di quei soldi, ancora più del solito con la bambina appena arrivata. Ha inviato alcune e-mail ai titolari, nessuno ha mai risposto. Finita la maternità Maria è rientrata allo studio. «Ero felice, volevo ricominciare e non vedevo l’ora di far vedere a tutti la piccoletta. Era bellissima, l’avevo vestita a festa di proposito. Mio marito mi aspettava in auto all’entrata, gli avrei lasciato la bambina subito dopo averla presentata, in modo da non avere distrazioni sul lavoro».

Ma al suo ingresso ha trovato una situazione che non si sarebbe mai aspettata: i tre titolari erano silenziosi, in piedi accanto alla sua scrivania. Nessuno diceva una parola. Si è avvicinata e ha visto una busta chiusa appoggiata sopra altre carte rimaste intatte, come la aveva lasciate mesi prima. «Ho chiesto soltanto, incredula, se stavo capendo bene. “Mi state licenziando?”, “sì” ha detto uno dei tre, senza neanche alzare lo sguardo». Maria si è sentita umiliata e ferita. I suoi capi, gli stessi per cui aveva lavorato onestamente per più di dieci anni, mettendo da parte benefit e impegni personali, le avevano fatto un agguato. Un’imboscata pensata per mandarla via, senza neanche il coraggio di guardarla in faccia. Ha stretto le loro mani in segno di saluto, con la testa alta «dentro tremavo, speravo che nessuno sentisse il freddo che avevo in quel momento».

Sono passati tanti anni ma Maria non ha mai dimenticato la percezione del sudore che in un attimo è diventato gelido «non portò mai perdonare».

La storia di Maria non è l’unica arrivata a #lavoromolesto, molte altre donne hanno denunciato le vessazioni subite nelle aziende e negli uffici dopo aver comunicato di essere incinta o al rientro dalla maternità. Demansionamenti, aumento del carico di lavoro, mobbing: nella maggior parte delle storie ricevute, le madri sono costrette, pur di mantenere il posto, ad adattarsi a ambienti di lavoro ostili e a colleghi e superiori incuranti delle responsabilità che avere figli comporta. In Italia, infatti, secondo i risultati di un’indagine Istat del 2019, sulla possibilità di conciliare la famiglia e il lavoro, solo il 57 per cento delle madri tra i 25 e i 54 anni è occupata. Mentre i padri che lavorano sono quasi il 90 per cento.