In tanti pur occupandosi di altro hanno cercato di entrare nel mercato dei prodotti sanitari contro la pandemia. Bruxelles ha ricevuto segnalazioni di intermediazioni sospette, solo sulle fiale, per 14 miliardi di euro

Hanno fiutato il grande affare e in qualche modo hanno cercato di entrarci. Improvvisandosi, spesso, intermediari e broker sanitari e andando a bussare alle porte di Regioni, Protezione civile, commissario Arcuri per proporre mascherine, quando è esplosa la pandemia, e vaccini quando a inizio anno sono arrivate le prime autorizzazioni delle autorità sanitarie internazionali ai vari prodotti Pzifer, Astrazeneca, Moderna e Johnson&Johnson. Commercialisti, politici, giornalisti, faccendieri, consoli onorari e imprenditori in settori lontani dal mondo sanitario: in molti si sono gettati a capofitto nel grande business degli appalti Covid-19. Alcuni provando a fare delle truffe, secondo le procure, altri accaparrandosi contratti milionari per poi non consegnare un solo prodotto. E, altri ancora, riuscendo non si sa bene come a consegnare del materiale attraverso società internazionali, loro che magari si occupavano fino a ieri di vendere telefonini in un piccolo Comune o di vendere bibite a bar ristoranti.  

L’inchiesta di Perugia
Un intermediario dei vaccini: «Così grazie a un contatto in Irlanda ho proposto dosi Astrazeneca a Umbria, Puglia e Sicilia»
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Gli intermediari di Astrazeneca

Secondo una stima ancora approssimativa, seguendo le indagini delle procure, in Italia le verifiche in corso riguardano il tentativo di vendita di circa cento milioni di dosi di vaccini nel mercato “parallelo” e non ufficiale per un valore di  oltre un miliardo e mezzo di euro. Un caso molto delicato, che sta seguendo la procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone, è quello che riguarda Giuseppe Scarcella, commercialista con residenza a Santa Teresa di Riva, piccolo Comune del Messinese, e fino a ieri conosciuto solo per aver lavorato in diversi enti locali. Scarcella lo scorso gennaio ha proposto la vendita di vaccini Astrazeneca a tre Regioni, Umbria, Puglia e Sicilia. Secondo il sostituto procuratore Gennaro Iannarone tentando una truffa per aver indotto «in errore Mariangela Rossi, responsabile del servizio dispositivi medici della Regione Umbria attribuendo a sé la falsa qualità di intermediario della società Astrazeneca e chiedendo l’invio di una lettera di intenti per l’acquisto dei vaccini», si legge nel decreto di perquisizione. 

Sul fronte vaccini indaga anche la procura di Milano, dopo aver ricevuto alcune segnalazioni dal governatore Attilio Fontana: come quelle inviate dal console onorario della Namibia, Petter Johannessen e da una azienda Svizzera. Il console, pronipote del famoso esploratore Roald Amundsen, avrebbe assicurato alla Lombardia «100 milioni di dosi entro 6 settimane». La procura milanese sta verificando anche le segnalazioni arrivate dalla Exor sas con sede nel Canton Ticino guidata da Paolo Balossi, società coinvolta nell’indagine sulla mancata fornitura di mascherine nel Lazio insieme alla  Ecotech: la Regione guidata da Nicola Zingaretti ha anticipato 14 milioni di euro senza ricevere le forniture. Nel mirino delle procure anche la segnalazione dell’avvocato Giuseppe Cavallaro che ha scritto per conto di Luciano Rattà, mediatore calabrese che ha offerto la vendita di vaccini alla Regione Veneto.

Inchiesta
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I mediatori improvvisati

Dall’inizio della pandemia si sono offerti a decine per vendere prodotti sanitari anche se di mestiere, sulla carta, facevano tutt’altro. Un caso eclatante è quello della mega fornitura di mascherine cinesi per il commissario Arcuri: 1,2 miliardi di euro di appalti con tre società che per fare la mediazione hanno incassato 70 milioni di provvigioni: la Sunsky di Andrea Vincenzi Tommasi, la Microproducts dell’ex giornalista Rai Mario Benotti e la Guernica srl, società che lavora nel commercio di bibite, di proprietà di Jorge Solis e della figlia Cedeno Dayanna Andreina Solis. Secondo gli investigatori della Guardia di finanza coordinati dal colonnello Carlo Tomassini, anche se a pagare le provvigioni sono state le società cinesi comunque si tratta di una intermediazione illecita e fatta con denari pubblici. Ma al di là dei reati, cosa c’entrano un ex giornalista o un commerciante di bibite con le mascherine? La procura di Roma ha aperto una seconda indagine su forniture di mascherine nel Lazio e in Sicilia con dubbi sulle certificazioni: nel registro degli indagati è finito il re degli stampatori, Vittorio Farina, che attraverso la sua Europea Network avrebbe venduto mascherine non conformi nel Lazio per ben 22 milioni di euro. In un filone di questa indagine sono saltati fuori anche i nomi di Roberto De Santis e dell’ex ministro Saverio Romano: entrambi sono stati contattati da Farina per avere buone entrature nelle pubbliche amministrazioni. E in cambio hanno ricevuto dei compensi: Romano, secondo il pm Paolo Ielo, avrebbe ricevuto un compenso di 58 mila euro per aver messo in contatto Farina con il capo della Protezione civile siciliana Salvo Cocina. Romano conosce bene De Santis perché quest’ultimo è stato protagonista anche dell’operazione, poi fallita, dei termovalorizzatori che il governo Cuffaro voleva realizzare nell’Isola. 

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Ogni occasione è buona, insomma, per mettersi sulla pista giusta. Altra ex politica, che però si è reinventata intermediatrice di prodotti sanitari, è l’ex presidente della Camera Irene Pivetti, indagata dalla procura di Busto Arsizio: avrebbe importato mascherine cinesi attraverso la sua società, la Only Italian Logistic, da una azienda che secondo il direttore entrale dell’Inail non può vendere prodotti in Italia. La società della Pivetti nel 2019 ha fatturato 70 mila euro, ma nel 2020, in piena pandemia, ottiene contratti per 30 milioni di euro. Broker dell’utima ora. In Sicilia è saltato fuori che diversi prodotti, come mascherine e altro materiale anti Covid-19, sono stati venduti alla Protezione civile da un negozio di telefonia di Gela: Cinecittà sas di Emanuele Mezzasalma, società nata negli anni Novanta  e che nella sua ragione sociale aveva di tutto, compresa la vendita di prodotti sanitari, ma che oggi è un negozio di cellulari nel centro della città: «Ci hanno fornito prodotti per diversi milioni di euro, tutti in regola», assicura il capo della Protezione civile regionale Salvo Cocina. Ma come ha fatto un negozio di telefonini a reperire sul mercato questi prodotti nel pieno della pandemia? Misteri del grande mondo dei broker dei prodotti contro il Covid-19.   

 

Le indagini di Bruxelles

L’Olaf, l’organismo anti frode della commissione Europea, fornisce alcuni numeri delle indagini e verifiche avviate su tentativi anomali di vendita di prodotti anti Covid e spiega anche alcuni meccanismi: «Abbiamo ricevuto informazioni da fonti governative in una dozzina di Stati membri dell’Ue sulle offerte di intermediari per la vendita di grandi quantità di vaccini, per lo più del tipo approvato per l’uso nell’Ue. Queste informazioni sono aumentate rapidamente da quando l’Olaf ha lanciato un avvertimento contro queste truffe. Ad oggi tutte queste diverse truffe o offerte false insieme rappresentano un miliardo di dosi di vaccino per un prezzo richiesto totale di quasi 14 miliardi di euro.  Lo scopo dei truffatori è convincere le autorità pubbliche a versare ingenti acconti per garantire la vendita. Questo schema di frode è stato utilizzato lo scorso anno anche in relazione a maschere per il viso e altri dispositivi di protezione individuale difficili da trovare. Gli intermediari rappresentano società opportunistiche che fino a tempi recenti erano inattive o che commerciavano in tipologie di merci molto diverse. Queste società si trovano spesso in paesi terzi al di fuori dell’Ue per rendere la loro identificazione più difficile. La migliore linea d’azione, che stiamo perseguendo, è mappare queste situazioni, stabilirne la natura sospetta e condividere le informazioni con i nostri partner negli Stati membri e con Europol». L’Olaf non sta indagando solo sui vaccini: «Finora le nostre indagini su materiale contraffatto e scadente relativo al Covid-19 ha portato all’identificazione di oltre 1.000 operatori sospetti e al sequestro di oltre 40 milioni di articoli. Questi includono, ad esempio, unità di disinfettanti per le mani contenenti un volume elevato di metanolo, maschere facciali scadenti, kit di test falsi». Benvenuti nel grande mercato nero della pandemia.