Alcol e pandemia, aumentano i consumatori e sono sempre più giovani: «I danni peggiori tra qualche anno»

I centri specializzati hanno avuto un aumento del 20% negli arrivi. Sono molti i ragazzi scoperti in casa a bere o a nascondere le bottiglie. I gruppi degli Alcolisti Anonimi hanno continuato le riunioni online, e per molti sono state la salvezza

«Il lockdown è stata una tragedia, ho cominciato a bere anche la mattina, fino al tracollo. Senza i freni, dettati dagli orari lavorativi classici, ho perso il controllo». È la storia di G., imprenditore milanese di 48 anni che ha deciso di bussare a un pronto soccorso e a settembre scorso iniziare un percorso di riabilitazione. Sono in tanti quelli che hanno cercato rifugio o sono caduti in una bottiglia o in qualche bicchiere di troppo per provare a fuggire dalle quattro mura di casa. E le chiusure hanno costretto anche le associazioni di supporto ad adattarsi pur di non far venir meno il loro ruolo fondamentale per migliaia di persone. Come per V., 46enne romana, che ha iniziato il suo percorso negli Alcolisti anonimi nel febbraio del 2020, subito prima della diffusione in Italia del virus. Ammette che «senza le riunioni virtuali e la vicinanza del gruppo, sarei ricaduta sicuramente nella mia dipendenza». È una lotta quotidiana, fatta «24 ore alla volta», che il gruppo riesce a rendere collettiva, nonostante i pregiudizi e gli stereotipi che spesso accompagnano il racconto di queste organizzazioni, complici alcuni film. Si tratta in realtà di un mondo composto da individui che si presentano con un «Ciao sono … e sono un alcolista», non per seguire strani rituali ma per ammettere e non demonizzare il proprio problema, o da persone che si ringraziano dopo aver condiviso con gli altri un pensiero o un momento difficile durante la giornata, tutto con lo scopo di costruire un clima di fiducia.
Non sono eccezioni, non sono casi isolati, non è un universo lontano da noi. In tutta Italia il numero dei consumatori abituali di alcol, e di chi è a grave rischio di dipendenza, è aumentato esponenzialmente in questo periodo.

IL SUPPORTO
A rendere evidente la situazione sono i dati dei reparti ospedalieri e delle associazioni che si occupano del percorso di riabilitazione da dipendenze. Il primario del centro alcologico della Asl3 di Genova, Gianni Testino, ha riscontrato nel 2020 un aumento rispetto all’anno precedente di circa il 15 per cento dei soggetti che si sono rivolti al supporto sanitario nei reparti liguri e del 20 per cento di ricadute gravi, ovvero quel nuovo consumo di alcol «in soggetti che da anni mantenevano il problema confinato e che ha portato a scompensi internistici seri, come pancreatiti o cirrosi epatiche». Non è una coincidenza, anche perché, sempre secondo Testino, è una percentuale che riflette quella nazionale.
Ma i numeri sono addirittura maggiori a leggere le stime dell’organizzazione degli Alcolisti anonimi, 420 gruppi in tutta la penisola, una presenza particolarmente ramificata nel centro-nord dove solo tra Lombardia e Veneto se ne contano 200. Secondo il segretario nazionale, Claudio, rispetto al periodo pre-Covid si è verificato un aumento dei «nuovi venuti» di circa il 20 per cento. Un trend confermato anche da L., 60 anni, referente provinciale di Milano: «Ho registrato l’arrivo nel mio gruppo di due nuove persone a settimana, anche se non tutti quelli che fanno le prime riunioni poi riescono a continuare».

LA TRAGEDIA DEL LOCKDOWN
In tanti non mollano, trovano la forza e si affidano a esperti e mantengono saldo il proposito di completare il percorso di riabilitazione. Come G., che fin dalla maggiore età si è sempre considerato «un buon bevitore sociale» e che già negli ultimi anni aveva aumentato le dosi di alcolici consumate abitualmente per festeggiare un evento, per superare un insuccesso lavorativo o magari a chiusura di una giornata. Ma è «con il lockdown, chiuso da solo in casa, che è iniziata la tragedia», fino alla coraggiosa decisione di ricoverarsi al pronto soccorso per venti giorni. Da lì si è «preso per i capelli, fino a una sorta di rinascita», che lo ha portato in un centro specializzato per un paio di mesi e poi alla frequentazione di un gruppo degli Alcolisti anonimi della sua città, prima in presenza e poi online a causa della pandemia. Un passo fondamentale, che G. definisce «un’ancora di salvezza. Le persone attorno a me sono quasi incredule, per il mio nuovo modo di vivere e affrontare la vita».

COMPRENSIONE VIRTUALE
Nonostante gli evidenti limiti, paradossalmente, sono state proprio le riunioni online a favorire l’aumento dei nuovi ingressi secondo il segretario nazionale degli Alcolisti anonimi, grazie alla facilità di accesso, al desiderio (o più spesso alla necessità) di condividere le proprie difficoltà nell’isolamento e soprattutto al non dover affrontare l’impatto psicologico di entrare fisicamente in una stanza con altre persone. Tra i sostenitori delle piattaforme virtuali c’è anche A., operaio milanese di 37 anni, negli Alcolisti anonimi da quando ne aveva 33, «perché ci hanno permesso di proseguire il nostro percorso anche in un periodo simile. Non prenderà mai il posto di quelle in presenza ma è stato un ottimo strumento». È lo stesso pensiero di V., che è entrata negli A.a. nel febbraio del 2020, subito prima delle chiusure anti-Covid. Solo inizialmente ha potuto partecipare in presenza agli incontri del suo gruppo di riferimento, anche se «all’inizio ci andavo giusto per far contenti mio marito, mia sorella...». Ora, nonostante le difficoltà e le tentazioni, è sobria da un anno e due mesi.
L’insostituibilità di questi gruppi deriva spesso dal rendere collettivo il peso portato dalla singola persona, come emerge dalla testimonianza di N. di 49 anni, che è riuscita a entrare in sobrietà e al suo primo ritrovo con gli A.a., più di 24 mesi fa, si è sentita dire: «Se vuoi continuare a bere il problema è tuo, ma se vuoi smettere allora il problema è nostro». Un luogo dove i giudizi, le bugie e le sentenze sono tenute lontane, per far spazio a comprensione, verità e ascolto. Anche perché, come ammette L., «è inutile, oltre che difficile, mentire alle persone che vivono o hanno vissuto il tuo stesso disagio, perché ti sgamano e mentiresti solo a te stesso».
Un’importanza suffragata in maniera inequivocabile dalle differenti percentuali di successo che ha una persona nel suo percorso di riabilitazione con e senza la frequentazione costante dei gruppi di auto-aiuto. Il dottor Testino è chiaro: «Se un soggetto partecipa alle riunioni, insieme ovviamente alle cure farmacologiche e psicoterapeutiche, avrà una possibilità di successo pari al 70 per cento rimanendo lontano dall’alcol per almeno un anno. Senza supporto, la percentuale scivola al 20».


“NEXT GENERATION”
Ma il Covid-19 ha fatto emergere un’altra situazione preoccupante: l’esposizione crescente all’alcolismo dei giovani. Nonostante la chiusura per lunghi periodi di bar, ristoranti e locali il consumo si è rivolto all’e-commerce che ha registrato un 425 per cento in più di vendite. E per i ragazzi e le ragazze si è rivelato un canale di accesso privilegiato. Già negli ultimi 4-5 anni, come spiega Testino, i dati illustravano un quadro molto indicativo dei consumi di alcol relativo alle fasce di età più basse in Italia: «Circa il 15 per cento dei 14-15enni fa un uso abituale di bevande alcoliche, tra i 16-17enni la percentuale sale al 50 mentre rientrano nella categoria a rischio il 25 per cento dei maschi e il 10-12 per cento delle femmine tra i 18 e i 25 anni». Non è un caso che adesso l’età media dei partecipanti ai gruppi di supporto sia in calo, con una crescita costante della fascia dei 30-40enni. La triste novità resa palese dal lockdown è la gestione dell’alcolismo giovanile all’interno delle mura di casa, quando ragazzi e ragazze sono stati costretti a vivere 24 ore a contatto con la propria famiglia, senza avere più la possibilità di nascondere il loro disagio. Testino racconta infatti che «sono state numerosissime le telefonate arrivate nei reparti e nei centri locali in Liguria di genitori allarmati dal consumo di alcol dei loro figli e delle loro figlie». Padri e madri smarriti di fronte alla scoperta dei loro ragazzi, chiusi in camera a bere o sorpresi a nascondere le bottiglie.
E questa è una delle preoccupazioni lanciate anche da Fabio Attilia, dirigente medico del Centro di riferimento alcologico della Regione Lazio (Asl Roma1), dove si è verificato lo stesso incremento di ingressi di altre realtà: «Purtroppo raccoglieremo i cocci di tutta questa situazione nei prossimi anni: bambini piccoli e ragazzi che stanno vivendo situazioni di disagio, di confinamento e di mancanza di socialità potrebbero avere problemi nella fase della crescita che poi potranno sfociare in varie dipendenze». Perché è tipico, soprattutto nelle fasce di popolazione più giovani, l’intreccio di diverse dipendenze, non solo quindi di alcol ma anche di sostanze stupefacenti, che rende più complicato il tutto.
E non si tratta di bersi un bicchiere ogni tanto o durante i pasti e neanche alzare il gomito in occasione sporadiche, non è quello che preoccupa. Ma è quando il consumo diventa abitudinario, prolungato e massiccio. Per i ricercatori scientifici gli indicatori del consumo si basano sull’unità alcolica, che corrisponde a 12 grammi di etanolo all’interno delle bevande. In maniera approssimativa è la quantità presente in una lattina di birra (330 ml), in un bicchiere di vino (125 ml) o in un bicchierino di superalcolico (40 ml). Secondo i dati forniti dall’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto superiore di Sanità alla Società italiana di alcologia, di cui Testino è il presidente, gli uomini che quotidianamente assumono due unità alcoliche e le donne che ne assumono una, ovvero i consumatori che fanno parte della fascia più numerosa ma considerata a basso rischio, secondo le stime, è aumentata del 20 per cento negli ultimi mesi. Otto milioni di persone invece fanno parte della fascia reputata a rischio, ovvero quella delle persone che bevono 2-4 unità (donne) e 3-6 (uomini), una categoria che ha visto l’incremento maggiore: circa il 60 per cento. La cosiddetta fascia di coloro che sono dipendenti, quelle persone che hanno ormai necessità di bere per non stare male, e cioè le donne che assumono più di 4 unità alcoliche al giorno e gli uomini che ne bevono più di 6, è quella più ondivaga e variabile che va da 800 mila a 1 milione.

MALATTIA E VACCINI
Un aumento importante delle persone ad alto rischio di alcolismo che si lega alla pandemia anche dal punto di vista clinico, visto che i consumatori abituali e dipendenti hanno un rischio quattro volte superiore alla media di contrarre in modo grave il Covid-19, per via delle minori difese immunitarie. Ma non solo. Oltre la fase dell’infezione, l’allarme di Testino riguarda anche quella della vaccinazione. I consumatori seriali dovrebbero essere considerati persone a rischio, ma la grana è che l’alcol riduce di molto la risposta immunitaria vaccinale. Per questo il consiglio è di non assumerne nei giorni e nelle ore vicine alla prevista iniezione, come è raccomandato per esempio in Russia, dove l’alcolizzazione è ancora più diffusa, per ragioni culturali, geografiche e storiche. Lì, addirittura, l’avvertenza è di non bere 15 giorni prima e per 40 giorni dopo l’iniezione del famoso vaccino Sputnik, in modo da non attenuarne l’effetto.
L’avvento della pandemia è stato spesso paragonato allo scoppio di una guerra, scomodando termini e figure retoriche discutibili. Ma questo periodo non deve far dimenticare coloro che sono impegnati in una vera battaglia per liberarsi da una dipendenza che in certi casi può diventare letale. Una piaga terribile presente più di quanto non sembri, ma che si può sconfiggere.

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