L’anniversario
40 anni fa il referendum che difese l’aborto in Italia
In un paese e in una società divisa, il 68% della popolazione si dichiarò favorevole a mantenere la legge 194 intatta, quella che depenalizzò l’interruzione volontaria di gravidanza
Tra il 17 e 18 maggio del 1981 milioni di persone si recarono a votare ribadendo il loro appoggio alla legge 194. Prima di quella norma, arrivata nel 1978, per il codice penale una donna che praticava l’interruzione volontaria di gravidanza rischiava fino a quattro anni di carcere, e chi causava l’aborto a una donna consenziente addirittura cinque.
Alle urne si presentò più del 79% degli aventi diritto, per decidere su ben cinque quesiti, di cui due sull’IVG. Il primo era stato promosso dal Partito Radicale, che chiedeva la totale liberalizzazione della pratica abortiva, eliminando il divieto per le ragazze minorenni o per chi ne facesse uso dopo i primi 90 giorni di gestazione, entro i quali la 194 lo permette. I radicali, poi, volevano estendere anche alle case di cure private la possibilità di attuarla. Gli altri temi lanciati dal partito dell’allora segretario Francesco Rutelli riguardavano l’abrogazione dell’ergastolo, il porto d’armi e il fermo di polizia (tutti bocciati).
Il secondo, invece, era stato proposto dal Movimento per la Vita, un’associazione nata qualche anno prima proprio con l’obiettivo di contrastare l’aborto, ed era appoggiato dal mondo cattolico. Anche Papa Giovanni Paolo II, infatti, si espresse a favore di una mobilitazione per la difesa del diritto alla vita, dopo la promulgazione della legge 194. Due quesiti erano stati presentati: uno “massimale” che invocava l’abrogazione dell’intera legge, ma che venne scartato dalla Corte Costituzionale, e uno “minimale” in cui erano proposte alcune riforme della legge per limitare l’IVG solo in casi terapeutici.
Dopo mesi di dibattiti, il paese arrivò spaccato a quei giorni di metà maggio, ma la risposta della popolazione fu netta. Con l’88,42%, equivalenti a 27.395.909 voti, la proposta radicale fu bocciata a fronte dei 3.588.995 Sì (11,58%). Mentre sulla questione promossa dal Movimento per la Vita ci fu meno scarto: il No si impose con il 68% contro il 32% che votò a favore. Fu un momento decisivo per la società italiana, al pari del referendum abrogativo sul divorzio bocciato nel 1974.
La celebre 194 era stata promulgata da Giovanni Leone tre anni prima, il 22 maggio 1978, anche se il percorso che portò la politica e il paese alla depenalizzazione dell’aborto fu lungo e intenso, arrivando a conclusione nelle stesse settimane del rapimento del leader della Democrazia Cristiana, Aldo Moro.
L’anno cruciale, in cui il tema conquistò ancora più rilievo nel panorama politico nazionale e pose le basi per l’approvazione di un disegno di legge, fu il 1975. Venne messa in piedi, infatti, una campagna referendaria promossa proprio dal Partito Radicale, da L’Espresso, tramite il suo direttore Livio Zanetti, e dal Movimento di liberazione della donna, che in poco tempo raccolsero quasi 800mila firme. Il referendum fu calendarizzato ma poi rinviato per lo scioglimento delle Camere. Nello stesso anno Gianfranco Spadaccia (segretario dei radicali), Adele Faccio (Centro d’Informazione sulla Sterilizzazione e sull’aborto) ed Emma Bonino furono arrestati con l’accusa di associazione a delinquere e procurato aborto.
Il 18 febbraio ‘75, inoltre, la sentenza numero 27 della Corte Costituzionale stabilì un punto importante: «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare». Una sentenza che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 546 del codice penale che non prevede il ricorso alla IVG quando ci sia pericolo o danno grave per la salute della madre.
Nei mesi successivi si alternarono proposte di legge fino a quella presentata nel 1977 alla Camera dai partiti socialisti, liberali, repubblicani, comunisti, socialdemocratici e democratici proletari, con prima firma di Vincenzo Balzamo (PSI). L’opposizione del Movimento Sociale Italiano e della Democrazia Cristiana fu superata in Senato, nel maggio ‘78, anche grazie ad alcuni membri democristiani che votarono contro la linea del partito. E nonostante l’impasse istituzionale derivata dal caso Moro, la legge fu promulgata, andando a sostituire gli articoli del codice penale sull’aborto.