La Guardia di finanza nell’operazione Via della seta ha scoperto come centinaia di imprese hanno smaltito illegalmente tonnellate di metalli e un clan cinese ha riciclato centocinquanta milioni di euro

Oltre mille aziende del Nord-Est hanno venduto in nero 150 mila tonnellate di rifiuti metallici da scarto di produzione a scatole vuote e le grandi acciaierie in Lombardia e Veneto hanno bruciato questo materiale non controllato. Centinaia di camion hanno fatto la spola in mezza Italia facendo finta di trasportare acciaio acquistato all’estero, con un inquinamento da smog enorme. Il tutto mentre due organizzazioni criminali internazionali, con base in Friuli, in Veneto e in Cina trasferivano illecitamente 150 milioni di euro a società fittizie con il sospetto della Guardia di finanza che dietro vi sia una delle più grandi operazioni di riciclaggio di denaro sporco avvenuto in anni recenti nel nostro Paese. Con cinesi che così avrebbero ripulito e inviato in Cina il nero fatto in Italia, probabilmente anche attraverso attività illecite come prostituzione e traffico di stupefacenti oltre al non fatturato nel commercio.

 

 La Guardia di finanza di Pordenone guidata dal comandante Stefano Commentucci dopo tre anni di indagini ha scoperto un grande traffico di rifiuti alimentato da centinaia di aziende che hanno frodato il Fisco per quasi 300 milioni di euro e un sistema molto sofisticato che ha consentito di riciclare decine di milioni di euro ad una organizzazione criminale cinese con sede in Italia e punti di appoggio in Cina: cinque imprenditori veneti e friulani sono finiti agli arresti, altre 53 persone sono indagate mentre le Fiamme gialle adesso cercano il gran capo cinese che si è presentato agli italiani proponendo il riciclaggio e mettendo sul piatto 150 milioni di euro di denaro contante: un pezzo grosso, un capo dei capi probabilmente dei clan cinesi con base in Italia. Ma su questo vige il più assoluto riserbo tra gli inquirenti, al momento.

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La storia è complessa ma lo schema utilizzato dalle due organizzazioni criminali, italiana e cinese, è alla fine sintetizzabile in questo modo: centinaia di aziende della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia Romagna per smaltire gli scarti metallici da produzione, senza pagare le imposte e senza garantire il controllo dell’origine dei materiali, hanno venduto in nero 150 mila tonnellate di rame, ottone, alluminio e altri metalli a delle società (Metal Nordest, Femet ed Ecomet) create da tre imprenditori, Stefano Cossarini, Roger Donati e Fabrizio Palombi: quest’ultimi facevano finta poi di acquistare lo stesso quantitativo di materiale da tre società in Repubblica Ceca e in Slovenia, a loro volta intestate o controllate da loro: la Kovi Trade, la Steel distribution e la Biotekna. In questo modo con delle carte fasulle si certificava l’origine di questo materiale dall’estero. Ma in realtà i metalli erano stati comprati in nero in Italia e venivano poi venduti con “regolari” certificazioni alle grandi acciaierie del Nord: a quanto pare a loro insaputa, visto che tutte le certificazioni erano a posto e dichiaravano la provenienza dall’estero.

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Ma l’operazione non finisce qui: formalmente le tre società della Slovenia e della Repubblica Ceca ricevevano i bonifici della Metal Nordest, della Femet e della Ecomet e quindi incassavano soldi veri, circa 150 milioni di euro. A questo punto, sempre fittiziamente, le tre società estere facevano finta di acquistare a loro volta il materiale ferroso in Cina, facendo quindi ulteriori pagamenti veri accreditati in un conto cinese. E qui entra in gioco il clan criminale della Cina: la Guardia di finanza con delle intercettazioni e il posizionamento di telecamere ha scoperto che gli imprenditori italiani si davano appuntamento in centri commerciali cinesi all’ingrosso a Padova e Milano e qui ricevevano da cinesi buste con i soldi in contanti: «In sintesi, i cinesi italiani riuscivano così a far arrivare in Cina del denaro eludendo tutte le norme sull’antiriciclaggio, e gli italiani si vedevano tornare indietro i soldi spesi per acquisti fittizi di materiale metallico che servivano a “pulire” quello acquistato in nero da moltissime fabbriche e fabbrichette del Nord-Est», dice il comandante Commentucci.

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Questo grande traffico illecito di metalli ha comunque coinvolto ben 7 mila camion che hanno trasportato questo materiale, ma altre centinaia di camion hanno girato per il Nord Italia del tutto vuoti, facendo finta di trasportare il materiale acquistato in Slovenia e Repubblica Ceca. Ieri su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste, sono state fatte cinquanta perquisizioni nelle provincie di Udine, Gorizia, Treviso, Padova, Belluno, Verona, Venezia, Brescia e Como. E, assicurano gli inquirenti, questa storia non finisce qui perché resta una domanda di fondi: chi è il clan cinese con base in Italia che ha una liquidità di 150 milioni di euro, soldi tutti fatti in nero, che si è messo a disposizione degli italiani?