Lo scandalo

Le mani di Piero Amara sull’Ilva di Taranto: spunta un “patto” con il procuratore sulla pelle di due operai morti sul lavoro

di Antonio Fraschilla   9 giugno 2021

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Nelle pieghe dell’ordinanza che ha portato all’arresto dell’avvocato corruttore di magistrati emergono le anomalie delle indagini dopo due gravissimi incidenti mortali negli impianti dell’acciaieria

Un patto corruttivo che getta un’ombra sull’azione della giustizia nei confronti delle famiglie di due operai morti sul lavoro all’Ilva di Taranto. Con dissequestri lampo dopo gli incidenti, e quindi con indagini che sarebbero iniziate già con il piede sbagliato. Nelle pieghe dell’ordinanza del Gip di Potenza che ha portato agli arresti l’avvocato corruttore di giudici e aggiusta sentenze Piero Amara e all’emissione dell’obbligo di dimora per l’ex procuratore di Trani, prima, e poi di Taranto Carlo Capristo, emergono le posizioni a dir poco morbide di un pezzo della procura che su quelle morti ha indagato subito dopo gli incidenti. Con una magistrata che ha poi detto ai colleghi di Potenza di essersi sentita «delegittimata» da Capristo in alcune occasioni proprio in riferimento ai due incidenti sul lavoro che sono costati la vita ad Alessandro Morricella, che il 12 giugno del 2015 è stato investito da una fiammata mista a ghisa incandescente mentre misurava la temperatura di colata dell'altoforno 2, e a Giacomo Campo, che il 17 settembre del 2016 è rimasto schiacciato nel nastro trasportatore dell’altoforno 4.  

 

Secondo i magistrati di Potenza, coordinati dal procuratore Francesco Curcio, c’era un patto corruttivo tra Amara e Capristo, tramite il poliziotto e già componente dello staff della presidente del Senato Casellati, e poi del sottosegretario agli Interni Sibilia, Filippo Paradiso. Amara e Paradiso si sarebbero spesi, tramite le loro influenze e contatti con componenti di peso del Csm, per far nominare Capristo a Taranto, in cambio quest’ultimo avrebbe agevolato le posizioni degli enti difesi da Amara: l’Ilva, in amministrazione speciale, e l’Eni. Nelle trecento pagine dell’ordinanza si punta sul giro di influenze di questa banda di avvocati e faccendieri, con contatti che andavano da Casellati a Boccia, da Ferri a Verdini. E per i magistrati di Potenza, che hanno chiesto è ottenuto dal Gip Antonello Amodeo le misure cautelari non solo per Amara e Capristo, ma anche per consulenti come Nicola Nicoletti della Pwc e legali come Giacomo Ragno, in cambio Capristo si sarebbe messo a loro disposizione. Tanto che, si legge nell’ordinanza, i magistrati parlano di «stabile asservimento di Capristo e delle sue funzioni agli interessi degli indagati». Asservimenti che si sarebbero concretizzati anche in occasione delle indagini e delle azioni della procura all’indomani delle due morti sul lavoro. 

 

Come nel caso dell’operaio Campo, dipendente di una ditta esterna, che rimaneva stritolato nel nastro trasportatore che alimentava l’altoforno 4. Scrive il Gip: «In tale procedimento - nel contesto del descritto patto corruttivo con Capristo - Nicoletti aveva fatto sì che Ilva nominasse Amara quale difensore della persona giuridica (nomina del 19.9.16) e che l'interessato-indagato dirigente Ilva, Ruggiero Cola, nominasse Ragno quale difensore di fiducia». Fin qui non ci sarebbe nulla di anomalo. Ma sono le azioni di Capristo che, a dire dei magistrati di Potenza, paleserebbero il patto corruttivo. Capristo, dopo la morte di Campo, si sarebbe adoperato «in prima persona affinché́ si procedesse con massima sollecitudine al dissequestro dell’altoforno, poi avvenuto in 48 ore, peraltro sulla basa di un assunto conforme alla tesi dell'Ilva ma risultato infondato».

 

La procura di Taranto infatti, aveva dissequestrato ritenendo che il mancato funzionamento dell'Altoforno e, quindi, il suo raffreddamento, avrebbe determinato la rottura dei refrattari che avvolgono la struttura dell'impianto con conseguente immissione di gas nell’aria. La procura ha nominato come perito un ingegnere suggerito da Amara: Massimo Sorli che «partiva da Torino la domenica stessa, 18 settembre 2016, giungendo a Taranto con volo aereo pagato da Amara tramite suo prestanome, Miano Sebastiano». Ma c’è di più. Non solo Capristo faceva questa nomina lampo, ma in conferenza stampa, poche ore dopo l’incidente, adombrava l’ipotesi che i dirigenti dell’Ilva potessero essere stati vittime di attività di sabotaggio in loro danno. «In particolare – si legge nell’ordinanza - insinuava esplicitamente in alcuni giornalisti il dubbio del sabotaggio e nella conferenza stampa tenuta poche ore dopo il dissequestro lasciava intendere agli organi di stampa che non si trascurava l'ipotesi investigativa secondo cui il sezionamento del nastro trasportatore potesse essere riconducibile a forze interne ed esterne all' llva che remavano contro il risanamento ambientale».  A riscontro di questa tesi i magistrati riportano il verbale di un legale dell’Ilva, Loreto, che ha detto: «I contatti con Nicoletti quel sabato furono reiterati e ricordo che ad un certo punto mi disse che aveva visto il Capristo che gli aveva assicurato che la cosa si sarebbe risolta e che l'llva e i suoi dirigenti non sarebbero stati coinvolti perché era evidente che la responsabilità  era della ditta appaltatrice, di cui Campo era dipendente e che provvedeva alla manutenzione del nastro». Solo lo scorso anno la procura di Taranto ha chiesto il giudizio di nove tra dirigenti e  responsabili dell’Ilva per la morte di Campo.

 

L’ex procuratore Capristo, secondo la procura di Potenza,  ha un atteggiamento anomalo anche nelle indagini sulla morte dell’operaio Morricella. Il 16 giugno del 2020 viene ascoltata la magistrata Antonella De Luca: «Con riferimento ai procedimenti relativi all’Ilva di Taranto, mi sono occupata di un caso di un incidente sul lavoro - il caso Morricella. Inizialmente, con l’allora procuratore Sebastio, disponemmo d'urgenza il sequestro dell'altoforno - poi convalidalo e confermato. Successivamente venne emanato un decreto che rendeva inefficaci i sequestri di impianti di interesse nazionale. Venne sollevala questione di legittimità costituzionale della norma. Nel febbraio 2018 la Corte Costituzionale si pronunciò a nostro favore. Questo rafforzava la nostra posizione e consentiva certamente di revocare l'uso dell'altoforno. Dopo tale pronunciamento della Corte Costituzionale, ricordo vari incontri l’avvocato dell’Ilva, Loreto che erano, a mio avviso, troppo frequenti e  inopportunamente avallati dal Procuratore Capristo. Capristo spesso mi convocava in occasione di istanze difensive o di provvedimenti giurisdizionali, alla presenza del Loreto, quasi per prendere decisioni in contradditorio con lui ovvero per esternare allo stesso le nostre convinzioni in merito alle scelte processuali nostre e alle decisioni giurisdizionali prese. Con il procuratore Capristo ogni qual volta venisse presa una decisione dalla Procura seguiva un incontro con gli amministratori e soprattutto con Loreto».

 

E si arriva al cuore della vicenda Morricella. Continua De Luca a verbale: «Nel momento cruciale del procedimento Morricella, venuta meno grazie alla Corte Costituzionale la norma che impediva il sequestro degli impianti, si doveva a mio avviso dare ordine di esecuzione dell'originario sequestro dell'Altoforno. Su questo argomento Capristo era in disaccordo. Tuttavia io ne ero convinta e lo stesso procuratore aggiunto Carbone in mia presenza disse a Capristo che era inevitabile l'ordine di esecuzione. Ripeto, Capristo mi disse che non voleva sentire parlare di spegnimento del forno e nei giorni successivi cominciò una serie di incontri con gli amministratori e Loreto. La cosa mi diede fastidio. Mi sentivo quasi delegittimata».

 

Capristo, continua il Gip, dapprima sollecitava il pm titolare delle indagini a concedere la facoltà d'uso dell’altoforno, «nonostante l'accertata parziale inadempienza da parte dell'Ilva alle prescrizioni; poi concordava con Nicoletti, che conseguentemente esercitava pressioni sull'avvocato Francesco Brescia (dell'ufficio legale ILVA) affinché l'operatore sul "campo di colata" fosse indotto a confessare la sua esclusiva responsabilità onde escludere qualsivoglia coinvolgimento dell'azienda e della dirigenza; quindi richiedeva al pm titolare di valutare favorevolmente la posizione dell’ingegnere Ruggero Cola, difeso dall'amico avvocato Ragno, suggerendone lo stralcio e la definizione con richiesta archiviazione (senza raggiungere l'intento grazie alla opposizione del pm che non aderiva alla impostazione difensiva sebbene condivisa dal Procuratore); infine, approfittando del periodo di ferie del pm titolare - induceva il sostituto in servizio ad esprimere parere favorevole a tale facoltà d'uso”.