Tre anni fa sedici braccianti morirono in un incidente mentre andavano al lavoro nella campagna pugliese. Così li abbiamo ricordati sulla statale 105

«Per questo noi oggi siamo sempre meno cittadini e sempre più individui, sempre meno inseriti in reti di relazioni sociali e sempre più isolati nonostante le molteplici connessioni virtuali: per questo l’inimicizia sembra prevalere sull’amicizia, l’essere-contro sull’essere-per, il voler dire no sul voler dire sì», scrive il filosofo Vito Mancuso in “A Proposito del senso della vita” (Garzanti).

Nell’era della permanente connessione virtuale, la solitudine è diventa una delle principali caratteristiche dei nostri tempi, che si scontra tuttavia con l’intrinseca necessità dell’essere umano di connettersi, anche sentimentalmente, con gli altri, al fine di potere esaltare la bellezza estetica della vita e della dignità stessa della persona.

È nel lungo e tortuoso sentiero della ricerca di questa dignità, pardon, di una vita dignitosa, che morirono i 16 braccianti in due incidenti tra il 4 e il 6 agosto 2018 lungo la filiera del pomodoro in provincia di Foggia. Questi esseri umani invisibili, di cui solo le braccia sono visibili, sono stati tragicamente risucchiati e tristemente contabilizzati nei annali dei caduti sul lavoro, che hanno oramai assunto dimensione di un vero e proprio bollettino di guerra. È una silenziosa strage dello spirito dell’avidità che si nutre dell’assordante rumore dell’assuefazione.

La Lega Braccianti, rifiutando di esserne complice, ha ricordato lo scorso 6 agosto l’insieme delle cadute e dei caduti sul lavoro proprio su quell’asfalto della strada statale 105 trasformata in campo di pomodori. Una cerimonia preceduta da una campagna permanente di alfabetizzazione socio.sindacale attraverso le attività delle Case dei diritti e della dignità (diritti salariali, previdenziali, sicurezza sul lavoro, Centro assistenza fiscale e patronato, assistenza legale, ecc…) insieme alla distribuzione di dispositivi di protezione individuale. Perché il bracciante «non potendo egli affermare una dignità umana nei rapporti di lavoro, in casa, in famiglia, ha intuito che l’unico modo di conquistarla è la rivendicazione sociale e la lotta politica», scriveva Rita Di Leo a proposito delle lotte di classe nelle campagne della Puglia.

Va sottolineato che questo processo per un’autodeterminazione collettiva rischia di essere ostacolato da una parte della politica istituzionale (a livello locale, regionale e nazionale), sempre più disconnessa sentimentalmente dalle ragioni di chi continua a fare la fame e la miseria. A tale proposito sarebbe utile che al Tavolo – presieduto dal ministro del Lavoro - sul contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura, nato a seguito dell’uccisione di Soumaila Sacko, ci fossero seduti i diretti interessati, così da evitare di patrocinare il rischio di una deriva di un paternalismo coloniale e di assistenzialismo imprenditoriale che ostacolerebbe l’emancipazione di chi è schiacciato sotto il rullo compressore dello sfruttamento.

Ed è il campo della ricerca della propria dignità, oltre alla necessità di un reddito universale sganciato dal lavoro per dare dignità al lavoro, ad essere diventato sempre più il luogo in cui player globali hanno deciso, in modo indisturbato e con cinismo disumanizzante, di sacrificare la vita di una moltitudine di lavoratrici e lavoratori sull’altare della redditività e della competitività, nel nome di un paradigma economico basato sullo spirito avido dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. A pagare il prezzo di questa strategia politica aziendale, di deriva predatoria, sono ancora una volta le donne e gli uomini che hanno reso possibili i profitti di queste multinazionali.

Oggi ne va della credibilità e della ragione d’esistenza dell’azione sindacale e politica, più che mai indispensabile come ambito di azione collettiva per il miglioramento. Occorre saper interpretare e puntare a «conoscere la realtà a partire dall’esperienza esistenziale», come sostiene Juan Grabois, attivista e rappresentante della Confederazione dei lavoratori dell’economia popolare in Argentina. Questa sfida per il miglioramento delle condizioni passa attraverso la capacità di ascolto e di connessione sentimentale ed empatica per poter trasformare le molteplici connessioni virtuali in condivisione, per il bene comune della nostra comunità umana.