I canali nazionali passano in HD dall’8 marzo, ma prima ci sono altri step da fare. Intanto il ministero stanzia altri 68 milioni per invogliare gli utenti ad aggiornare le televisioni. Mentre il sistema di raccolta dei rifiuti elettronici è in affanno

Dal prossimo 8 marzo tutti i canali nazionali dovranno trasmettere in Mpeg-4. Per favorire un uso efficiente delle frequenze che rimarranno a disposizione dei fornitori di servizi audiovisivi dopo la liberazione della banda 700 Mhz, e per spingere gli utenti ad aggiornare i propri televisori, è stata scelta una data unica per tutto il territorio italiano.

 

I media nazionali potranno, però, contemporaneamente e se vorranno, continuare a trasmettere anche in Mpeg-2, in bassa definizione, fino a dicembre 2022 con il fine di rendere meno netto lo switch-off. I canali vecchi in Mpeg-2 verranno retrocessi nella “numerazione alta” del telecomando, mentre i nuovi, in HD, saranno visibili ai primi tasti.

 

Chi dall’8 marzo, per fare un esempio, premendo “uno” sul telecomando vedrà schermo nero, potrà essere sicuro di dover cambiare la tv (gli stessi che adesso vedono schermo nero al 501).

 

Come sottolinea Aeranti Corallo, l'associazione di categoria che rappresenta le imprese radiotelevisive locali, satellitari e via internet, la scelta di una data unica favorisce anche le emittenti locali che altrimenti sarebbero state penalizzate: un utente che non riesce più a vedere i canali principali, come Rai e Mediaset, risintonizza o aggiorna la tv, a beneficio anche delle emittenti locali, mentre non accadrebbe lo stesso se a cambiare frequenza fossero prima i media meno popolari. Così si capisce dal decreto del Ministero dello sviluppo economico dello scorso 21 dicembre che fa (poca) chiarezza nell’intricata roadmap che guida il passaggio alla nuova tv digitale.

 

Un percorso che avrebbe dovuto essere organico ma che, invece, è stato smembrato in diversi step. Il primo è il refarming, cioè la riassegnazione, delle frequenze. Gli utenti dovranno risintonizzare le tv in momenti diversi del 2022, sulla base dell’area di paese in cui vivono. La Sardegna ha già cambiato frequenze, dal 3 gennaio tocca alla maggior parte delle regioni del nord Italia.

 

Il secondo passaggio consiste nell’evoluzione del sistema di codifica delle immagini da Mpeg-2 a Mpeg-4, che permette una trasmissione del segnale più leggera e in alta definizione, per lasciare libera la banda di frequenze 700 Mhz che, secondo le direttive europee, dovrà essere ceduta entro giugno 2022 alle aziende di telefonia mobile che l’hanno acquistata.

 

Il terzo step è il cambio del protocollo di trasmissione da Dvb-t a Dvb-t2, il cui inizio per ora è previsto da un generico primo gennaio 2023. Si tratta di un passaggio fondamentale perché garantisce a tutte le emittenti la possibilità di trasmettere in alta qualità, nel minor spazio di frequenze rimasto a disposizione.

 

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«La cessione della banda 700 toglie circa il 40 per cento di capacità trasmissiva ai fornitori di servizi audiovisivi, con il Dvb-t2 torniamo al 100 per cento perché rende più efficiente il metodo di trasmissione» spiega Alberto Sigismondi, Ceo di Tivù srl, join venture costituita con l’obiettivo di promuovere la diffusione dell’offerta televisiva digitale terrestre gratuita sul territorio nazionale e di lanciare tivùsat, la prima piattaforma digitale satellitare gratuita. «È il momento che gli utenti aggiornino i dispositivi, ormai siamo alla fine del percorso. Comprare una tv oggi significa avere a casa un apparecchio che ha anche il tuner Dvb-t2 e quindi già pronto per tutti i futuri passaggi verso il nuovo digitale». Un’altra soluzione per Sigismondi è l’acquisto di un box Tivùsat che permette di accedere ai canali attraverso il sistema satellitare.

 

Secondo un’indagine della fondazione Ugo Bordoni, di novembre 2021, sono al massimo 2 milioni le famiglie che devono ancora aggiornare il proprio televisore per ricevere in canali in Mpeg4, meno dell’8 per cento di quelle che guardano la tv con il digitale terrestre. È più problematico, invece, il cambio del protocollo di trasmissione, perché solo il 55,6 per cento delle famiglie sarebbe già in possesso di almeno un dispositivo in grado di ricevere trasmissioni Dvb-t2.

 

«I bonus decoder e rottamazione, hanno dato un forte input alle vendite. - continua Sigismondi - Nel 2021 sono stati acquistati circa 5 milioni e mezzo di televisori mentre la vendita media annuale è di 4 milioni. Ma l’aggiornamento non è ancora completo: i broadcaster sono pronti alla transizione, è importante che si adeguino le famiglie».

 

Come previsto dalla legge di bilancio, nel 2022 saranno a disposizione degli utenti, per l’acquisto di apparecchi in linea con i nuovi standard tecnologici, altri 68 milioni di euro che si aggiungono ai circa 100 milioni per i bonus tv che, secondo le stime, sono rimasti nelle casse del Mise. In più, al fine di ridurre il divario digitale delle persone anziane e con redditi bassi, gli over 70 che hanno un assegno pensionistico sotto la soglia dei 20 mila euro annui potranno ricevere il decoder direttamente a casa.

 

«I mesi prima dell’inizio del bonus rottamazione, fino ad agosto 2021, hanno avuto una media di raccolta di televisioni dedicati al trattamento per il recupero dei materiali, di circa cinquemila tonnellate. Da quando c’è il bonus ne vengono raccolte più di ottomila ogni mese. La situazione sarà così fino a giugno» spiega Fabrizio Longoni, direttore generale del Centro di Coordinamento Raee, il punto di riferimento per tutti i soggetti coinvolti nella filiera dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche in Italia. «È un quadro complesso per coloro che devono gestire il fine vita dei dispositivi elettronici perché il sistema ha una naturale incapacità di essere elastico, in quanto soggetto a molteplici autorizzazioni. È impossibile aumentare le quantità dei dispositivi da raccogliere in maniera così repentina». Il sistema di raccolta dei rifiuti elettronici è in affanno anche se, fatta eccezione per qualche ritardo, fino ad adesso ha retto. Per Longoni sarebbe importante trovare, in questo periodo di transizione verso il nuovo digitale, una modalità temporanea per incrementare le capacità.