Nel report curato dall’Osservatorio per la parità di genere del ministero della Cultura, emerge un quadro «drammatico» della visione del ruolo femminile portata avanti dal mondo della cultura, a cominciare dal settore audiovisivo

Sottostimate, sottorappresentate, misconosciute. La condizione delle donne nel mondo della cultura e, in particolare, dello spettacolo è quella che tutti si aspetterebbero. «I dati confermano i timori che potevano esserci e, in alcuni casi, rendono quei timori drammatici. Sono impietosi, è quasi imbarazzante raccontarli». Nicola Borrelli, direttore della Dg Cinema e audiovisivo, commenta in questo modo i risultati del lavoro portato avanti in un anno dall’Osservatorio per la parità di genere del ministero della Cultura coordinato da Celeste Costantino.

 

Nel report dal titolo “La questione di genere tra immaginario e realtà” si possono leggere, rese in forma di percentuali, tutte le storture di una società che lega le donne a luoghi comuni, riducendole a stereotipi che vengono veicolati anche attraverso la rappresentazione che di loro viene resa nel cinema, nella televisione, nell’arte.

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Succede così che la donna sullo schermo è spesso, molto più degli uomini, una figura legata alla cura della casa e della persona (85.2 per cento di donne contro il 14.8 per cento di uomini), raccontata solo attraverso il suo ruolo familiare (65 per cento di donne contro il 34.9 per cento di uomini) o rappresentata in ambiti di assistenza psicologica e sociale (61.7 per cento di donne contro il 38.3 per cento di uomini).

Non si pensi di trovare in tv molte donne che si intendono di ingegneria, economia e politica. Questi ruoli sono assegnati nell’ampia maggioranza dei casi agli uomini, in una percentuale che ruota intorno all’80 per cento. In quella che sembra un’ossessione, la sottorappresentazione del posto delle donne nella società, il cinema e la televisione raffigurano in minoranza le figure femminili anche in vesti professionali che le vedono invece come protagoniste nella realtà. Solo il 35.9 per cento dei ruoli legati al mondo della scuola e della formazione vengono assegnati a donne, mentre le attrici che interpretano figure legate al mondo della sanità sono il 25.1 per cento.

 

Non stupiscono, come si diceva, i dati, e forse questo è parte del problema a cui concorre anche il fatto che dietro la telecamera, in generale ai vertici decisionali del mondo dello spettacolo, le donne sono la minoranza.

«Il mondo prima, anche quello della cultura, era senza noi donne, che adesso stiamo cercando di entrare in massa in tutti i settori dell’umano. Stiamo facendo una rivoluzione. Dobbiamo contare come gli uomini, ma non essere come gli uomini. Dobbiamo mantenere la nostra diversità». Così la regista Cristina Comencini commenta la prevalenza degli occhi maschili che interpretano la realtà nel cinema e nella televisione. L’87 per cento dei prodotti audiovisivi in Italia è diretto da uomini, l’11 per cento da donne. Forse proprio in questo dato si può trovare l’origine della perpetrazione di una visione, sempre la stessa, che vuole la donna fedele all’idea parziale attraverso cui finora la si è definita.

 

Dietro le quinte, infatti, la situazione non è migliore. «La disparità di accesso ai ruoli si manifesta sia in termini qualitativi che quantitativi. Se in giovane età le possibilità di essere scelti per un ruolo è simile per gli uomini e per le donne, più si va avanti con l’età più per le donne l’accesso al ruolo diminuisce». Le parole dell’attrice Maria Pia Calzone vengono rese nella loro gravità, ancora una volta, dai dati. Le possibilità di ottenere una parte per le donne dopo i 50 anni risultano pari al 28.7 per cento, prima oscillano tra il 42.8 al 48.7 per cento.

 

Giovani, angeli del focolare, dedite alla cura delle persone o delle cose, spesso di aspetto stereotipato. Così il cinema italiano vuole e racconta le donne. Ma nel resto del mondo culturale poco cambia. È il caso, per esempio, della rappresentazione che viene data di due giornaliste, Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli, nel monumento di Acquapendente a loro dedicato. Le due professioniste, uccise sul lavoro, sono rappresentate, si legge nel report, «nude e come se fossero due ragazzine, in uno sconcertante svilimento del loro impegno civile».

 

«Durante le audizioni ci sono stati momenti anche dolorosi, vedere le donne sempre rappresentate nude e più giovani è stato doloroso. Questo immaginario incide sul modo di pensare dei giovani e delle giovani». Il motivo della potenziale importanza del lavoro di cui il report è la testimonianza, è in queste parole di Celeste Costantino. La cultura può essere «antidoto alla violenza» ma perché sia davvero efficace è necessario analizzare «chi fa cultura in Italia». Fissare la realtà attraverso i dati ha questo fine, «dare gli strumenti al ministero per agire, non solo attraverso un’ampia politica di genere».

 

Un lavoro che, sebbene fortemente voluto dal precedente ministro della Cultura Dario Franceschini, è nelle parole della sua coordinatrice Celeste Costantini «solo all’inizio».