È il primo a essere rimasto vittima, a 18 anni, di un incidente durante la formazione professionale. Nel Paese delle stragi in cantieri e fabbriche, che manda allo sbaraglio senza tutele operai ragazzini col pretesto degli stage

La forma del vuoto è un lutto che non si elabora. L’assenza che provoca un dolore costante, sfiancante. Lorenzo Parelli manca da quasi un anno. Dal 21 gennaio scorso, quand’è morto nell’azienda metalmeccanica dove svolgeva uno stage. Lo avrebbe terminato quella sera. Invece, una barra d’acciaio da 150 chilogrammi lo ha travolto e schiacciato, facendone uno studente vittima del lavoro. Il 17 novembre sarebbe stato il suo compleanno. Ma l’ultimo che ha potuto festeggiare è stato il diciottesimo.

A Castions di Strada, nella piccola frazione di Morsano, il vuoto si tocca con mano. Lorenzo abitava qui, a mezz’ora di automobile da Udine. E la sua famiglia, originaria del posto, continua a viverci: vicina al cimitero dov’è sepolto e circondata dal calore di un paese di 3.600 anime. La mamma Maria Elena è insegnante d’infanzia, il papà Dino è dirigente in una società ferroviaria, la sorella maggiore, Valentina, si sta laureando in Infermieristica. Persone normali, a cui la normalità è stata ingiustamente strappata. Si intuisce la sofferenza dagli occhi che si arrossano nel racconto della perdita. Eppure, ascoltandoli, colpiscono la compostezza e il riserbo. Ma anche la determinazione nel chiedere che tragedie simili non si moltiplichino.

 

Editoriale
La memoria di Lorenzo Parelli contro il lavoro insicuro: perché è lui la persona dell’anno per L’Espresso
14/12/2022

«Nell’immediato eravamo sopraffatti da shock e disperazione. Via via, anche per l’eco suscitata dalla morte di Lorenzo, abbiamo cominciato ad affinare i pensieri. Non puntiamo il dito contro nessuno, ma crediamo che tutti abbiano una parte di responsabilità», ammette Dino. Valentina alza lo sguardo: «È stato un fatto nuovo. C’erano già stati infortuni ai danni di giovani impegnati nelle varie forme di alternanza scuola-lavoro, un incidente mortale no. Con mio fratello l’elenco s’è esteso a chi lavoratore ancora non è. Ci domandiamo come sia potuto succedere a lui, a noi. Siamo attenti, abituati a rispettare le regole. Allora significa che può capitare a chiunque».

Lorenzo Parelli con il padre Dino, la sorella Valentina e la madre Maria Elena

Lorenzo frequentava il quarto anno del Centro di formazione professionale dell’Istituto salesiano Bearzi di Udine. Imparava il mestiere di manutentore di macchine a controllo numerico ed era entrato nel sistema duale, basato sull’alternarsi di un bimestre di pratica e uno di lezioni. Per il primo stage del ciclo era stato assegnato alla Burimec, impresa della zona industriale di Lauzacco. «All’inizio si era iscritto all’Informatico, ma poi aveva cambiato percorso, preferendo una preparazione manuale che lo introducesse direttamente nel mondo del lavoro», riprende Dino: «Aveva trascorso brevi periodi in altre aziende. Questo indirizzo gli piaceva. A giugno avrebbe conseguito il diploma e forse avrebbe proseguito per prendere la Maturità tecnica. Al Bearzi si trovava bene: è un ottimo istituto».

S’intravede una rabbia trattenuta. «Lo incitavo a incamerare esperienza. Adesso mi rimprovero di non averlo spinto di più alla prudenza», confessa il papà. Valentina gli tocca il braccio. Si era trasferita a Udine, dal fidanzato, per essere comoda con l’università; dal 21 gennaio, è tornata a Morsano: «Volevo stare accanto ai miei. Le nostre vite hanno subìto un contraccolpo, piano piano tentiamo di ripartire». Maria Elena annuisce: «La quotidianità aiuta a distrarsi. Ma al calare del buio, chiuse le porte, Lorenzo manca. Occorre dare un senso ai giorni, lottando affinché non accada più. Non è stato un caso unico, infatti: nel 2022 sono morti sul lavoro altri due studenti. È inaccettabile. Portiamo i figli a scuola e pretendiamo che siano al sicuro. Perché mandarli in luoghi in cui la gente muore? Siamo convinti che questo tipo d’istruzione sia una scelta valida. Se, però, mette a rischio anche un solo essere umano, ci si deve fermare».

E lei si ferma, prende fiato: «Aveva i suoi tempi per aprirsi, Lorenzo, era riservato, timido, ma si confidava con noi. Era abbottonato soltanto sulle questioni sentimentali, su qualche simpatia che c’era, e custodiva in maniera ferrea i segreti degli amici. Era un mediatore, gli piaceva far divertire chi gli stava attorno. Casa nostra era diventata punto di riferimento per la sua compagnia, una decina di ragazzi con cui aveva un legame intenso. La pizza, il giro al bar e l’andirivieni di motorini».

Già, le moto: la grande passione ereditata dal padre e dallo zio Alex, cognato della mamma. In sella alla sua motard, Lorenzo adorava unirsi a loro in gita e guidare gli amici dal mare alla montagna. La cantina del nonno paterno, Duilio, fungeva da officina. Mentre targhe e pezzi di ricambio popolavano persino la sua camera, assieme ai gadget di “Ritorno al futuro”. «Amava la natura. Non rinunciava mai alle escursioni e alle vacanze con noi. O con i nonni, nella loro baita, dove curava gli animali e tagliava l’erba. Per l’estate stava riparando una barchetta, che usava in laguna», racconta Maria Elena.

«Eravamo sempre insieme, a scuola, di sera o in moto. La nostra era una fratellanza. E ora mi manca tutto di lui: le battute, l’altruismo, la tenacia», dice Luca Braidotti, 19 anni, che dal Bearzi è uscito con il mestiere sognato pure da Lorenzo. E che non riesce a darsi pace: «Era tanto bravo e con lui ci confrontavamo di continuo». Al funerale, il 2 febbraio, a salutarlo c’erano il paese e idealmente l’Italia intera. E lì, davanti alla chiesa di Morsano, tra i fiori bianchi raccolti sulla bara e i palloncini lasciati salire al cielo, è stato il rombo delle moto degli amici ad accompagnare Lorenzo nel viaggio finale. A comunicare speranza hanno provato don Roberto Rinaldo, nell’omelia, «aprendo il Vangelo a caso e leggendo un paragrafo, come faceva San Francesco quand’era in difficoltà», e don Adolphus Egwim, il parroco di Castions che celebra per lui una messa in suffragio ogni mese.

«Lorenzo riposa in una tomba coperta, al momento, dal cemento. Stiamo pensando a quale veste darle, a che cosa scrivere sulla lapide. Non è facile», ammette Maria Elena, che va a trovarlo più volte al giorno. Intorno ci sono molti fiori e sassi, alcuni con scritte e cuori disegnati. Ogni tanto qualcuno appoggia una sigaretta: lui fumava e nascondeva il tabacco dei compagni, fumatori in incognito. «Per loro si faceva in quattro. Se lo chiamavano a tarda ora perché avevano bisogno di lui, si rivestiva e usciva di corsa».

Tutto interrotto, all’improvviso. «Stavamo assieme sette giorni su sette e questo sarà il primo Capodanno senza di lui, dopo l’ultimo trascorso nella casa dei suoi nonni in montagna», dice Davide Pinzini, 19 anni: «Sarà dura, ma cercheremo di goderci la vita pensando a lui. Porteremo per sempre con noi il suo ricordo». Intanto, per il compleanno mancato di Lorenzo, gli amici hanno raccolto le fotografie più belle rimaste nelle memorie dei rispettivi cellulari e le hanno consegnate ai genitori. Balsamo per alleviare un vuoto comunque incolmabile.

Compagni, anche tra i banchi. Al Bearzi, complesso scolastico frequentato da oltre 1.200 allievi dalla primaria alla formazione professionale, il vuoto si snoda per corridoi e cortili dove Lorenzo camminava fino a un anno fa. Il direttore, don Teston, ha il suo stesso nome: «Parlare di lui è sempre doloroso, era ed è un membro di questa nostra famiglia. È stato difficile affrontare il trauma della morte: per me, per gli insegnanti e, ovviamente, per i ragazzi. Li abbiamo accompagnati in percorsi di supporto psicologico per rispondere alle domande che hanno iniziato a farsi, diverse a seconda dell’età. E ci siamo interrogati a lungo su quanto facciamo per la sicurezza. Selezioniamo centinaia di aziende per gli stage, costruiamo rapporti di fiducia reciproca, mandiamo gli studenti dopo aver formulato piani personalizzati e averne accertato le competenze».

In questi mesi, per dimostrare che il modello può funzionare, lo stesso Dino ha voluto tirocinanti nella sua impresa. «Le aziende non andrebbero obbligate a prenderli in carico, perché poche sono pronte e interessate a seguirli con la dovuta accortezza». È in particolare alla figura del tutor che si riferisce: «Va riformata, delimitandone i compiti, imponendo una preparazione specifica, riconoscendo un indennizzo per il ruolo e nominando dei sostituti. Ricordo che il tutor di Lorenzo era assente il giorno della sua morte».

Intanto, la Procura di Udine è a un passo dalla chiusura delle indagini preliminari sull’accaduto: si procede per omicidio colposo. Dopo gli accertamenti iniziali, nel registro degli indagati sono stati iscritti sia il legale rappresentante della Burimec sia l’azienda, per la cosiddetta responsabilità amministrativa dell’ente, sia l’operaio che era incaricato di sostituire il tutor e che soccorse per primo il ragazzo. La perizia disposta dalla pm Lucia Terzariol, titolare del fascicolo, per chiarire la dinamica dell’incidente è stata depositata alla fine dell’estate e non resta che tirare le fila sulle rispettive, presunte, responsabilità penali.

«Manca la cultura della sicurezza. Le norme ci sono, ma sono difficili da applicare. Ci vorrebbe meno burocrazia e più formazione», dice il sindaco di Castions, Ivan Petrucco. Non è un caso se, in vista dell’anniversario della scomparsa di Lorenzo, intende omaggiarne la memoria con un’iniziativa che avvicini il mondo del lavoro e quello della scuola. «Nella nostra comunità la ferita è ancora aperta. È sconvolgente pensare che un giovane esca di casa per andare a imparare e non vi faccia più ritorno per un infortunio in fabbrica. La politica deve tenere alta l’attenzione e supportare gli sforzi della famiglia, quel che si è fatto non è abbastanza».

Il presidente della Repubblica con la famiglia Parelli

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha citato Lorenzo nel suo discorso d’insediamento per il secondo mandato ed è stato in visita al Bearzi, alla vigilia del 1° maggio. «Un segnale forte», sostiene Maria Elena, «ma vorrei che ci si ponessero obiettivi concreti, da raggiungere davvero. Al lavoro serve dignità, perché una vita persa non torna più». Il marito concorda: «Non spetta a noi essere operativi. Certo, abbiamo avuto la vicinanza delle istituzioni. Ma temo che, se non faremo da pungolo, non cambierà nulla».