Si è sempre pronti a sostenere che gli incidenti e le morti sul lavoro sono inaccettabili, ma poi non si fa nulla di concreto. E noi ragazzi denunciamo questo sistema da anni, senza ottenere risposte. La repressione della polizia non ci fermerà. L’analisi di due studentesse

“I giovani sono portatori della loro originalità (...) E chiedono che il testimone non venga negato alle loro mani. Alle nuove generazioni sento di dover dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perché soltanto così lo donerete alla società."

 

Così si è rivolto ai giovani l’appena rieletto presidente Sergio Mattarella durante il discorso di fine anno. Eppure nei giorni scorsi abbiamo visto come può essere violenta la repressione dei “giovani che – come è necessario - si impegnano nella vita delle istituzioni” quando decidono di unirsi, per rivendicare un futuro fatto di tutele sul posto di lavoro ed un presente fatto di formazione meno schiacciante che a questo futuro ci prepari. La repressione è violenta in piazza, da parte dei celerini, come è violenta la narrazione di quelle piazze nelle pagine di cronaca, quando nel nome di puntualizzazioni inutili e in difesa delle divise si mutilano e mistificano le rivendicazioni degli studenti.

 

Giovani
Scuola, la risposta al disagio degli studenti sono sospensioni e manganellate
31/1/2022

Sono anni che rileviamo, nei movimenti studenteschi e nelle Consulte, le criticità dell'attuale modello di PCTO (non più alternanza) proposto dalla Buona Scuola, ricevendo in cambio la più gelida indifferenza da parte delle istituzioni. Abbiamo chiesto la costituzione obbligatoria di commissioni paritetiche nelle scuole in grado di valutare la reale attinenza dei progetti proposti rispetto all'indirizzo di studi, la possibilità di essere informati in maniera adeguata circa le mansioni da svolgere e i nostri diritti. Abbiamo denunciato l'inadeguatezza degli attuali corsi sulla sicurezza, somministrati tramite video e test standardizzati da svolgersi in autonomia. Abbiamo rivendicato il diritto alla sindacalizzazione degli studenti in stage e tirocinio, maggiori reperibilità dei tutor, limitazioni nell’ingerenza delle aziende nei percorsi formativi.

 

Così, magari, da non trovarci costretti a guidare un muletto senza disporre della patente o rimanere travolti da una putrella nell'area di una fabbrica che non ci compete e a cui non dovrebbe nemmeno esserci consentito l'accesso. Il modello duale introdotto dalla Buona Scuola che tanti in questi giorni si sentono chiamati a difendere potrebbe effettivamente costituire una possibilità di ingresso privilegiato al mondo del lavoro, contrastando la disoccupazione giovanile e la dispersione scolastica, se usato bene. Insomma: «Porre il sistema educativo dentro un nuovo orizzonte culturale che metta il lavoro al centro dello studio, ancorando le prospettive professionali dei giovani alle caratteristiche e alle dinamiche del mercato», come sostenuto dalla presidentessa dell'ENAIP Paola Vacchina, è in teoria una buona idea. Ma difendere tale sistema dalle «prese di posizione di alcuni soggetti che hanno messo in dubbio la qualità e la bontà della tipologia formativa che il giovane stava svolgendo» poche righe più in basso del necrologio per la morte di Lorenzo oggi non è sostenibile. D’altronde, si è sempre pronti a sostenere che incidenti come questo siano «inaccettabili, come inaccettabile è ogni morte sul lavoro», meno a fare qualcosa per ridurre la conta dei morti sempre in crescita nonostante l'approvazione del Testo Unico in materia di sicurezza dal 2009 ad oggi.

 

Non deve stupire che dopo anni di denunce e mobilitazioni molti studenti e sindacati arrivino a chiedere la totale soppressione dei PCTO. Perché, per rendere davvero efficace un sistema mutuato dal mondo tedesco qual è quello duale, sarebbe necessario farne nostri altri aspetti centrali: retribuzione e sicurezza prima di tutti. Solo così sarebbero garantite quelle stesse condizioni che permettono alla Germania di registrare ogni anno numeri sotto il centinaio per quanto riguarda le morti sul lavoro, a fronte delle 1404 italiane.

 

Era dalle proteste in risposta alla Buona Scuola 77\2015 che non si vedevano così tanti manganelli alzati contro gli studenti. Perché l’azione repressiva arriva in queste settimane se ci stavamo mobilitando da anni? Perché adesso la protesta ha un volto, un nome, quello di Lorenzo, e non è più così facile sminuirla. Ci riesce comunque la cronaca quando da tutto in pasto al pubblico, riducendo questa dinamica al solito antagonismo tra celerini e centri sociali, che tanto piace all’opinione pubblica italiana, quanto efficacemente ne distrae l’attenzione.

 

È vero che stage e alternanza hanno un peso diverso in base al percorso di studi. Se nelle piazze di questi giorni si è scelto di accantonare le differenze, lo si è fatto per ribadire come il sistema lavorativo sia sbagliato, come lo è quello scolastico, che lo rispecchia perfettamente. Le conseguenze delle scelte “competitive” del nostro paese ci riguardano tutti, in quanto futuri lavoratori, ma ricadono in primo luogo sulle spalle di ragazzi come Lorenzo a Udine, come Luana a Prato o Filippo a Torino, perché parte di uno strato sociale sacrificabile a prescindere dall’età. Dire che la scuola lavoro uccide vuol dire rifiutare non solo gli anni di precariato e lavoro in nero che attendono la maggior parte di noi, ma anche che nessuno può morire sul posto di lavoro.

 

La questione non è iniziata con il fatto di cronaca e non finirà quando lo avrete dimenticato. La resistenza nelle scuole occupate, nei presidi ed assemblee cittadine e nelle manifestazioni continuano: questo futuro diverso è il nostro dono alla società.