La parola
Il nostro giornale e il valore del punto di vista
La parola della settimana non poteva che essere dedicata al settimanale che dal ‘55 si preoccupa di tenere sveglie le coscienze
Questo articolo è pubblicato senza firma come segno di protesta dei giornalisti dell’Espresso per la cessione della testata da parte del gruppo Gedi. Tutte le informazioni qui
I giornali, oltre a dare notizie, hanno un’anima. Quella de L’Espresso, settimanale fondato nel 1955 da Eugenio Scalfari e Arrigo Benedetti, è un’anima portatrice di curiosità, di inquietudine, della messa in questione dello stato esistente di cose, ed è dotata di un punto di vista: laico, democratico, insofferente nei confronti delle ideologie precostituite. O se vogliamo, se l’espresso è una bevanda che serve a dar piacere ma anche energia appena dopo il risveglio mattutino, L’Espresso si è sempre posto il compito di suscitare l’attenzione del lettore verso storie, vicende, narrazioni di politica, economia e cultura, altrimenti non del tutto visibili in superficie. “Capitale corrotta - nazione infetta”, la prima, diventata ormai emblematica inchiesta sulla corruzione, ne ha segnato il Dna come «settimanale delle inchieste», scomodo per ogni potere costituito, opposizioni comprese.
In un Paese diviso per decenni fra una cultura di stampo democristiano e una comunista, L’Espresso ha cercato un’altra strada: non la terza via, ma una navigazione nella modernità occidentale, con tutte le sue contraddizioni. E se la modernità assomiglia a un arcipelago dalle mille isole collegate fra di loro da invisibili correnti sottomarine, L’Espresso è stato un vascello che cercava e cerca di individuare e raccontare quelle correnti.
Ecco quindi le battaglie per i diritti civili: il divorzio, l’aborto ma anche l’impegno contro ogni discriminazione delle persone lgbt, lo sfruttamento degli immigrati clandestini, la retorica xenofoba e nazionalista, la criminalità organizzata. E anche, interesse per chi ha lottato e tuttora si batte per la democrazia nei Paesi retti da regimi autoritari.
L’Espresso, forse, talvolta ha commesso qualche peccato. Ma mai peccato di indifferenza. E poi, come la bevanda di cui prende il nome, sveglia le coscienze, con tenerezza.