Dalla pagina di successo sui social al ministro per la Transizione che si dice possibilista sull’energia nucleare, fino al numero in crescita di iscritti ai corsi dedicati. La narrazione su reattori e fusione sta cambiando

«Il navigatore italiano è atterrato nel nuovo mondo». Era il 2 dicembre 1942 quando il fisico Arthur Compton, telefonando a James Conant, allora presidente del Comitato per la ricerca sulla difesa statunitense, salutò la prima reazione nucleare a catena. Il navigatore italiano era Enrico Fermi che, fuggito qualche anno prima dall’Italia stretta dalle leggi razziali, aveva costruito negli androni di uno stadio dismesso a Chicago il primo reattore nucleare al mondo, generando una reazione a catena di 28 minuti. Di quella pila di uranio e blocchi di grafite oggi non resta che un oggetto da museo, perché in uno storico referendum tenutosi nel 1987, l’Italia ha detto «no» all’utilizzo dell’energia atomica per produrre energia. Un anno prima, l’esplosione del reattore numero 4 nella centrale nucleare di Chernobyl il 26 aprile 1986, l’evacuazione di Pripjat’ e l’incapacità occidentale di guardare oltre la cortina di ferro e di nube radioattiva, ha generato un’onda psicologica ed emotiva in tutta Europa e nel Nord America.

 

Oggi, a distanza di due generazioni, sono i Millennial e i Gen Z europei a riprendere quel filo interrotto: il grido No Nukes cantato dai Dobbie Brothers nel concertone del ’79 a New York è stato rimpiazzato dal «Klimakrise? Kernkraft! Crisi climatica? Energia nucleare» del ’21 a Berlino. Se due tra le persone più influenti del nuovo millennio come l’adolescente Greta Thunberg e l’anziano papa Francesco definiscono il pianeta la «casa» di tutti, significa che il mondo non va più visto come un suburbio costellato di cortili incorrotti da preservare egoisticamente.

 

Negli ultimi cinque anni, sono oltre 500 gli studenti italiani iscritti al corso magistrale di ingegneria nucleare. Il trend è in forte aumento: solo al Politecnico di Milano, nell’anno accademico 2021-2022 le immatricolazioni sono state 200: una cifra superiore al totale delle iscrizioni italiane dell’anno precedente, che a sua volta era il doppio di prima.

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L’invasione russa dell’Ucraina e l’elenco di sanzioni messe in campo per limitare l’aggressione architettata da Vladimir Putin hanno ingenerato la peggiore crisi energetica dal 1973 al punto da fare del conflitto una vera e propria guerra per l’energia. Secondo la Statistic review of world energy, nel 2016 l’Unione europea consumava il 30 per cento del gas naturale russo: lo scorso anno il 47 per cento. Così vale anche per il petrolio russo, che rappresenta il 20 per cento delle importazioni europee. E se la decisione della Germania di rendersi indipendente dal gas russo entro il 2024 attraverso la messa in funzione di gassificatori rende più fragile il precario equilibrio della sostenibilità energetica, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, dichiara che «la fusione nucleare sarà la soluzione».

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In Italia lo iato tra i tecnici e i politici sul nucleare è colmato da una schiera di giovani invisibili. Luca Romano, fisico di teoria della materia, ha cercato di riempire un vuoto di disinformazione fondando sui social la pagina “L’Avvocato dell’Atomo”: «I più giovani sono più aperti, perché non sono cresciuti con il mantra del no-nucleare, come chi ha preso parte alla campagna referendaria del 1987 e del 2011 decidendo per il no. I nati tra il 2003 e il 2008, invece, affrontano il tema con molta più apertura mentale, per esempio accettando il concetto basilare che il nucleare civile non è sinonimo di tecnologia bellica nucleare».

 

Costretto dal lockdown nella sua cameretta, Luca ha iniziato a parlare di nucleare sui social media. Oggi cura la divulgazione con un team di giovani studiosi ed esperti e L’Avvocato ha un grande seguito anche su TikTok. A curare la comunicazione è Luiza Munteanu, laureata in mediazione linguistica: «A monte i più giovani, nati con la tecnologia in mano, sono meglio educati alla complessità rispetto alla massa, che tende a semplificare. Lo vediamo nei commenti che ci scrivono, perché capiscono che non si può dare loro una risposta semplice a temi complessi», spiega.

 

A due anni di distanza dal primo post su Facebook, Luca e i suoi «avvocati» sono passati dagli spazi virtuali alle aule scolastiche: «Sono i giovani stessi che ci contattano durante le loro assemblee o gestioni, spesso i docenti sono più refrattari», spiega Fulvio Buzzi, ingegnere energetico e dottorando in ingegneria meccanica, che come gli altri si divide tra il lavoro e la divulgazione scientifica.

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Minorenni e spesso inascoltati, i giovani uniscono alla sete di conoscenza l’impegno a ribaltare una prospettiva adulta che, nata da un grido nelle piazze, ha finito per rendere sordo il mondo: «Le nuove generazioni si sentono escluse e sono consapevoli che il loro futuro è nelle mani di una generazione che la pensa diversamente da loro», spiega Daniele Baldi Tomei, laureando in Astrofisica.

 

Gli fa eco Leonardo Mariano, laureando in Ingegneria nucleare: «A partire dal web, il nostro lavoro colma un vuoto che non viene neppure colmato da media tradizionali come la televisione, dove anzi c’è una grande confusione sul nucleare, perché l’argomento è complesso e poco trattato. Quando parliamo di energia nucleare, noi stiamo facendo politica: in quel momento mi sento di partecipare attivamente portando la mia formazione scientifica alle persone perché possano scegliere, dal momento che una scelta libera è tale solo quando è consapevole».

 

In Germania la lotta al nucleare è stata vitale all’avvento dei Grünen tedeschi, i Verdi sostenuti dall’ex cancelliere Gerhard Schroeder e fautori della Energiewende, la ricetta ecologica alla decarbonizzazione. Il caso tedesco è paradigmatico nella comprensione dei risvolti politici della comunicazione. Pochi giorni prima delle elezioni regionali in Sassonia-Anhalt e nel Baden-Würtemmberg, l’onda emotiva generata dall’incidente della centrale nucleare di Fukushima nel 2011 spinse l’allora cancelliera Angela Merkel ad annunciare la chiusura provvisoria delle sette centrali più vecchie del Paese.

 

Lisa Rass, 48 anni e addetta alle pubbliche relazioni della startup nucleare Dual Fluid, era tra i sostenitori dei Verdi: «Da giovane ero molto vicina alle loro posizioni, ma quando ho compreso che attenersi allo smantellamento del nucleare non risolve il problema energetico, sono rimasta delusa da chi sta negando la realtà. Molte associazioni ambientaliste sono potenti in Germania e i media dedicano poco spazio alle voci discordanti».

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Come già pronosticava il politologo Gero Neugebaur, il cambiamento dell’agenda energetica di Merkel nel 2011 ha consolidato la cosiddetta Regierungsfähigkeit, la legittimità politica dei Verdi a governare. Importava poco che, dalla Svezia, l’allora ministro dell’Ambiente Andreas Carlgren invitava l’Ue a non allarmarsi: «Dovremmo prima conoscere le conseguenze esatte di quello che è accaduto e accade in Giappone e poi analizzare quello che è veramente di pertinenza per l’Europa»: il tedesco Günther Oettinger, allora Commissario europeo all’Energia, di fronte a quella che, in calce alla riunione di emergenza del 15 marzo 2011, definì «apocalisse giapponese […] fuori controllo», spinse i Paesi europei detentori di centrali atomiche - ve n’erano in funzione 143 - ad effettuare stress test tarandole su terremoti, tsunami, attacchi terroristici e black-out. Mentre aumentava l’acquisto di pillole di iodio e apparecchi geiger, un sondaggio della rete televisiva Ard rilevava che il 53 per cento dei tedeschi voleva la chiusura di tutti i reattori nucleari in Germania il prima possibile.

 

Oggi, tra i giovani Verdi tedeschi, c’è chi esce fuori dal coro: «So che ci sono voci pro-nucleare. Eppure, si preferisce dirlo a bassa voce, perché sennò non si fa carriera», aggiunge Lisa. E così, mentre sempre più tedeschi vogliono rompere il binomio decarbonizzazione e denuclearizzazione, le cifre mostrano i limiti della transizione alle rinnovabili, che nel decennio 2015-2025 costa a Berlino 580 miliardi di dollari: oggi le tecnologie green coprono il 17 per cento del consumo tedesco e producono il 45 per cento dell’energia elettrica (dati 2020). Ciononostante, l’elettricità tedesca costa ancora il 50 per cento in più di quella francese, dove il 70 per cento del fabbisogno energetico è colmato da 19 centrali nucleari.

 

Mentre il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha annunciato la costruzione di sei nuovi reattori nucleari di ultima generazione da rendere operativi entro il 2035, il nucleare è viceversa sostenuto proprio dalla generazione X: «I nati dopo gli anni Sessanta hanno vissuto la costruzione della flotta nucleare francese e oggi sono per lo più favorevoli a questa energia che ha portato loro una certa autonomia in campo energetico», spiega Yann Morvan, ingegnere atomico e presidente della Sfen, l’associazione che riunisce i giovani francesi a supporto del nucleare: «Negli anni la mia generazione sarà sempre più influenzata dal cambiamento climatico, per questo è urgente trovare soluzioni carbon free il più rapidamente possibile», spiega.

 

La pragmaticità d’Oltralpe si riflette nelle cifre: malgrado l’Eliseo abbia annunciato la costruzione di 50 nuovi parchi eolici offshore, un sondaggio condotto da Le Figaro nel 2021 ha mostrato che i giudizi positivi sul nucleare aumentano: dal 34 per cento nel 2019 al 51 per cento nel 2021, parallelamente allo scetticismo sull’eolico: dall’80 per cento nel 2019 al 63 per cento nel 2021.

 

In Italia, il contesto di relativo disinteresse politico al nucleare sentenziato dai referendum passati non frena la rivoluzione silenziosa all’ascolto che passa dalle aule virtuali alle scuole reali: «Da quando è stata aperta la pagina, anche la politica si sta interessando a quanto stiamo facendo, perché vede come la gente sta interagendo», spiega Marta Magalini, dottoressa in Fisica delle interazioni fondamentali, studentessa di dottorato in Tecnologie per i beni culturali. Anche lei è un’avvocata dell’atomo insieme a Sara Carollo, dottoressa in Fisica delle interazioni fondamentali: «Parlando di scetticismo in ambito scientifico, ho notato che si tratta di un fenomeno molto italiano. All’estero, non c’è quella diffidenza che in Italia è probabilmente legata a ragioni storiche e politiche».

 

Attualmente Sara è dottoranda in Trattamento dei rifiuti radioattivi, un tema ancora incompreso dai media che si presta a fare dell’opinione pubblica l’ennesimo spazio di tifoseria. Dal 16 marzo scorso, la Società gestione impianti nucleari attende da Palazzo Chigi l’approvazione della lista dei potenziali siti per il deposito dei rifiuti radioattivi provenienti dallo smantellamento delle centrali nucleari italiane e dal settore medico e industriale nazionale, stilata dopo la più grande consultazione pubblica italiana mai avuta su un’infrastruttura strategica nazionale. Un altro Nimby alle porte. Ma davanti allo spettro di black-out geopolitici e burn-out climatici quanto varrà protestare ancora per preservare il giardino nel retro di una casa sempre più fatiscente?