Camorra
Il “papa” del clan Moccia che viaggia ad Alta velocità finisce la sua corsa in carcere
Maxi blitz coordinato da Procura di Napoli. Torna dietro le sbarre Luigi Moccia, fino all’estate scorsa sottoposto al 41 bis
Luigi Moccia, “o colletto bianco”, il “papa”, la “mente finissima” di uno dei clan più potenti della camorra torna in carcere. All’alba i Carabinieri del Ros di Napoli, coordinati dalla Procura guidata da Giovanni Melillo, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare per 57 indagati, 36 dei quali in carcere, indiziati a vario titolo di una serie di reati gravissimi: dall’associazione mafiosa, alla detenzione illegale di armi da fuoco, dall’estorsione all’intestazione fittizia di beni di provenienza illecita. Il Gico della Guardia di finanza, contestualmente, ha notificato altri due divieti temporanei di esercitare attività d'impresa e sequestrato d'urgenza beni mobili, immobili e quote societarie per un valore complessivo pari a 150 milioni di euro.
Luigi Moccia, esponente di vertice del clan fino all’estate scorsa era sottoposto al 41 bis, il cosiddetto carcere duro previsto per i reati di mafia, poi era uscito per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Il capo, il “papa” era a piede libero.
In un’inchiesta - pubblicata lo scorso dicembre da L'Espresso - avevamo descritto i molteplici affari di quello che non è solo un clan, dal passato feroce, ma una confederazione camorristica di vastissime dimensioni, per numero di affiliati ed estensione del territorio controllato: Afragola, Casoria, Arzano, Caivano, Cardito, Crispano, Frattamaggiore, Frattaminore e tutti i comuni della cinta nord di Napoli. E poi Roma.
Non c’è ambito dell’economia dove i Moccia non si siano infiltrati, inquinando il mercato, azzerando la concorrenza, riciclando: dalla distribuzione alimentare ai carburanti, dall’edilizia al mercato immobiliare. Ma il settore più redditizio per il clan è sempre stato quello degli appalti pubblici che da anni condizionano a livello nazionale e sempre più qualificato, fino a mettere le mani sui treni, sull’Alta Velocità, attraverso una serie di imprenditori dell’area nord-est di Napoli al servizio della famiglia, affidatari di ingenti appalti ad esempio da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana), alcuni dei quali addirittura invitati a Roma allo sfarzoso matrimonio della figlia di Angelo Moccia, fratello di Luigi e figura apicale del clan (qui la replica di Rfi: “Siamo parte lesa”).
A quell’articolo dell’Espresso replicò direttamente Luigi Moccia, con una lunga lettera che iniziava così: «Mi chiamo Luigi Moccia, fratello di Angelo ed Antonio, ed intendo prospettare la mia verità, per la parte stragrande del tutto alternativa ed anzi di autentica smentita di quanto riferito su di me, sui miei fratelli e sull'intero mio nucleo famigliare nell’articolo a firma Francesca Fagnani».
Della replica di Luigi Moccia vale la pena riportare alcuni passaggi: «È invece una panzana che i miei fratelli ed io si abbia a che fare con quegli appalti che tuttavia - secondo la giornalista - egualmente condizioneremmo da anni a livello nazionale e sempre più in alto (…) Non meno eloquente la circostanza che nessun addebito di appalti truccati od altre irregolarità similari ci è mai stato rivolto neppure in astratta ipotesi di accusa. - Né tocca a me difendere l'onorabilità personale e professionale dei molti imprenditori di livello citati subito poi dalla giornalista quali asseriti rappresentanti di ditte vicine ai Moccia: si tratta effettivamente di familiari e comunque di imprenditori di prim'ordine che - al netto della colpa di non aver anch’essi rinnegato gli annosi rapporti di parentela ed affetto con la mia famiglia - hanno già ampiamente dimostrato in tutte le competenti sedi la pulizia, solidità e serietà delle proprie aziende, peraltro - al di la delle chiacchiere - presenti sul mercato da decenni e con un avviamento ed una storia imprenditoriale invidiabile».
Circostanza a dir poco singolare quella di chi, sottoposto ad un processo per camorra, senta l’esigenza di difendere, al posto loro, «l’onorabilità personale e professionale degli imprenditori considerati vicini alla famiglia Moccia».
Quello inferto adesso dalla Procura di Napoli al clan Moccia è un colpo durissimo, in attesa ovviamente di vederne gli sviluppi giudiziari e processuali. Viene arrestato il capo, Luigi, viene smantellata una rete di 57 persone, accusate di essere affiliati e favoreggiatori. Il clan a base familiare è diretto dal nucleo ristretto dei fratelli Angelo, Luigi, Antonio, Teresa e suo marito Filippo Iazzetta, che si alternano alla guida ogni qualvolta uno di loro sia impedito a farlo, perché latitante o in carcere. In questo momento solo Teresa, assolta, è libera.
AGGIORNAMENTO 21 APRILE: La replica di RFI: “Noi parte lesa”