Il caso
Migranti, sbarchi record a Roccella Jonica
Per la prima volta Medici senza frontiere ha deciso di spostare sul posto una equipe per l’emergenza. «Si è aperta una nuova rotta dalla Turchia con numeri mai visti prima»
Al porto di Roccella Jonica è tornata la quiete, ma ci si aspetta che i prossimi giorni saranno di fuoco. Sia per le temperature sia per gli sbarchi. Nel piccolo comune calabrese sulla costa dei Gelsomini negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli arrivi di migranti. Sei sbarchi in sette giorni, un record che non si era mai visto. «Siamo sempre pronti, perché ultimamente il preavviso non sempre supera le due ore. Qui a Roccella arrivano in numeri quintuplicati rispetto al 2019», racconta Concetta Giuffré, coordinatrice della Croce Rossa locale.
Nel 2020 erano arrivati sulla costa calabra 1250 migranti e già nel 2021 il numero era cresciuto con 5050 arrivi. «Il dato tiene conto sia dei migranti recuperarti dalla Capitaneria di porto sia degli spiaggiamenti», ci spiega Concetta Giuffré. «Gli spiaggiamenti sono gli arrivi autonomi direttamente sulla costa, non per forza a Roccella». Ce ne sono stati due nell’ultimo periodo. Uno a Siderno con due morti, forse i presunti scafisti, e uno a Caulonia, con un morto. Il ragazzo non ha retto alla traversata. I dati del 2022, però, raccontano di un cambiamento in atto. A metà anno, infatti, ci sono stati già 33 sbarchi con 5000 presenze e i numeri cresceranno ancora per la fine dell’anno.
«Si è aperta una nuova rotta dalla Turchia», spiega Giovanni Perna, capo progetto di MSF a Roccella. La situazione sulla costa ionica è inedita. E infatti, per la prima volta Medici senza frontiere ha deciso di spostare sul posto una equipe formata da medici, infermieri, psicologi e mediatori interculturali. «La maggior parte dei migranti arrivati sono siriani e afgani. Ma ci sono anche iracheni e libanesi. Nell’ultimo sbarco sono arrivati tutti bengalesi e poi c’è anche qualche egiziano». Giovanni Perna racconta del lavoro di Msf nell’ambulatorio al porto delle Grazie di Roccella, proprio a pochi metri dal presidio fisso della Croce Rossa. «Sono arrivati quasi tutti dalla Turchia - dice ancora Giovanni – ma si vocifera che siano arrivate delle barche anche dal Libano». È un nuovo business.
La navigazione dalle coste turche alla Calabria è lunga, molto di più rispetto a quella che collega la Libia alla Sicilia. Sono sette giorni di navigazione. Ma non è l’unica differenza rispetto alla rotta libica. «Non è Lampedusa, qui è tutto diverso», ammette Concetta Giuffrè. Lo si vede anche dando uno sguardo al porto. Camminando tra le banchine, è ancora possibile vedere le ultime due imbarcazioni con cui sono arrivati i migranti. Si tratta di due barche a vela da crociera da 14 metri che avevano a bordo rispettivamente 75 persone, tra cui due bimbi di due mesi e una donna incinta. «Qui arrivano tutte barche importanti. Essenzialmente sono a vela ma ci sono anche altri tipi di imbarcazioni turistiche», ci racconta Concetta mentre ci mostra i resti degli altri battelli che stanno per essere demoliti. La domanda che tutti si fanno a Roccella è: com’è possibile che i migranti arrivino con barche così. Chi gliele da? «Abbiamo notato che ci sono due classi di viaggiatori», spiega ancora Concetta Giuffrè. «Ci sono quelli che, magari, arrivano dalla Libia o dal Libano a bordo di imbarcazioni malconce. E ci sono gli altri che invece arrivano su queste barche a vela. E spesso hanno con sé anche delle riserve di acqua e cibo».
Riserve che non bastano mai, anche perché, probabilmente, i migranti stessi non sanno quanto durerà la traversata. «Abbiamo sempre uomini e donne con problemi intestinali, perché hanno bevuto acqua di mare, abbiamo curato donne con blocchi renali, è un macello», racconta Valentina, una delle volontarie della Croce Rossa al porto di Roccella. Altri sono talmente disidratati che rischiano di fare a botte tra loro per un succo di frutta distribuito dai soccorritori.
Intanto però la domanda resta. Quanto pagano i migranti per questi viaggi “di lusso” e da dove arrivano le barche? Secondo la polizia, sono tutte rubate nei porti della Turchia. Pare ne siano arrivate tante battenti bandiere di decine di Paesi diversi. In base a quanto i migranti sono disposti a pagare, i trafficanti decidono su che tipo di imbarcazioni farli salire. E poi ci sono i migranti che sono arrivati a Roccella su gommoni o scialuppe di salvataggio in legno, ma che hanno riferito di avere fatto metà del viaggio su una nave madre. «Dai loro racconti, abbiamo capito che dalla Turchia partono su queste grandi navi e poi i migranti vengono rilasciati su imbarcazioni più piccole a gruppetti di 50, 60, 70», dice ancora la coordinatrice della Cri. Valentina aggiunge che, guarda caso, i bengalesi arrivati lo scorso 4 luglio si sono riconosciuti e abbracciati con i migranti arrivati il 6. Proprio perché, probabilmente, erano a bordo della stessa grande nave. Che li ha portati fino a un quarto del percorso e poi li ha fatti proseguire da soli. È una situazione totalmente nuova.
«Questa rotta sta sostituendo quella balcanica, perché è diventato impossibile arrivare via terra attraverso la Grecia», spiega Giovanni Perna di MSF. Nei primi quattro mesi del 2022, la Grecia ha bloccato oltre quarantamila migranti al confine con la Turchia. Ma le associazioni dei diritti umani e le Ong hanno denunciato respingimenti illegali, con trattamenti inumani e spesso violenti. Lo stesso accade tra Turchia e Bulgaria. «La rotta verso la Calabria è accesa e molto attiva», conferma Giovanni che con il team di Msf resterà al porto di Roccella tutta l’estate. È chiaro che il viaggio è più lungo e più difficile e non è detto che non possano affondare, anche se sono barche a vela» spiega Giovanni. «Se in uno scafo da 10 persone ce ne sono quasi 100, la possibilità che vada a picco c’è». Solo che quel tratto di mare tra le coste turche e lo Ionio, essendo stato finora poco battuto, non è monitorato dalle Ong. Se ci dovessero essere dei naufragi, potrebbe non accorgersene nessuno. «Qui non è come Lampedusa», ribadisce ancora una volta Concetta Giuffrè, intanto che ci fa vedere il centro di prima accoglienza. «Non abbiamo le stesse strutture, la stessa macchina organizzativa. Anche se ce la si mette tutta e, con il supporto della Prefettura e del Comune, stiamo migliorando».
Ma ci sono meccanismi che vanno compresi. Fino all’anno scorso, per esempio, la maggioranza dei migranti, a prescindere dalla provenienza, chiedeva l’asilo. Oggi non è più così e per questo nessuna ha ancora una spiegazione. «C’è il rifiuto dell’asilo, anche se ne avrebbero diritto, ma non sappiamo perché c’è questa inversione di tendenza», dice Concetta. Lo stesso riferisce anche Giovanni Perna. «Probabilmente ricevono istruzione di non chiederlo», spiega il capoprogetto di Msf a Roccella. «Nessuno vuole rimanere in Italia. Preferiscono proseguire il viaggio verso la Germania o la Norvegia. Per raggiungere famigliari e amici».
Fino alla settimana scorsa nel centro di primissima accoglienza al Porto delle Grazie di Roccella c’era il sovraffollamento, con oltre 200 tra uomini, donne bambini. Dopo la visita dei Msf e il tampone Covid, la maggior parte ha ricevuto il foglio di via mentre quei pochi che hanno fatto la richiesta d’asilo sono stati trasferiti in un altro centro di accoglienza. Ma presto il porto potrebbe riempirsi nuovamente. «Se arrivano in piccoli gruppi, tipo cinquanta, settanta, per noi è facile» spiega Conetta. «Siamo abituati a numeri più grossi, ma è la frequenza che è cambiata, oltre che il porto di partenza».
Da dove partano esattamente queste navi nessuno lo ha ancora capito e i migranti non lo sanno. Oppure non lo vogliono dire. Allo stesso tempo, nessuno ha ancora scoperto chi c’è dietro questa nuova organizzazione, che mette a disposizione barche rubate e si può permettere di abbandonarle in un porto della Calabria. Qualche giorno fa, alcuni analisti dell’Onu sono arrivati a Roccella Ionica proprio per capire cosa sta succedendo e, dunque, per studiare il fenomeno. Al porto delle Grazie, intanto, nelle due barche a vela arrivate ci sono ancora le tracce della lunga navigazione. Ciabatte, bottiglie d’acqua, stracci. I ragazzi erano malridotti, aveva ustioni da sole, problemi di respirazione. La squadra di Msf li ha medicati e gli ha offerto supporto psicologico. Perché la maggior parte è scappati tutti da guerra e violenze e ha pensato di affidare il proprio destino alle onde.