«L’inerzia è una scelta politica», dice lo scienziato fondatore del blog Climalteranti. «Non c’è la volontà di mettere la transizione energetica al centro dell’agenda politica del Paese»

Con il suo blog Climalteranti, seguitissimo in rete, Stefano Caserini da anni denuncia le bufale dei sedicenti esperti che negano l’evidenza dei fatti, cioè il ruolo decisivo delle attività dell’uomo nel riscaldamento globale. Caserini, che è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, ha scelto di impegnarsi in prima persona nell’amministrazione della sua città e da un paio di settimane è assessore all’Ambiente, mobilità, azione sul clima e innovazione nella giunta di Lodi guidata dal neoeletto sindaco Pd, il giovane (25 anni) Andrea Furegato.

 

Mentre si prepara ad affrontare nella pratica quotidiana i problemi della transizione energetica, lo scienziato Caserini, 56 anni, ingegnere di formazione, si dichiara soddisfatto perché «i negazionisti del clima sono «ormai ridotti a una sparuta pattuglia senza nessuna credibilità, anche se periodicamente qualche giornale o programma tv prova a rilanciare le loro tesi strampalate».

 

Secondo Caserini, «nell’opinione pubblica c’è ormai una consapevolezza diffusa che l’uomo è direttamente responsabile degli sconvolgimenti climatici che sono sotto gli occhi di tutti».

Analisi
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7/7/2022

Questa consapevolezza non si è però fin qui tradotta in azione politica, non le pare?
«Ricordo che qualche mese fa il presidente del Consiglio Mario Draghi disse che “i soldi per il clima non sono un problema” (era il primo novembre 2021, ndr). Da allora però non vedo nessuna accelerazione nella lotta al cambiamento climatico. Quindi, se davvero i soldi ci sono, l’inerzia è chiaramente una scelta politica».

 

Come la spiega?
«C’è un dato di partenza che va tenuto presente: arginare il cambiamento climatico significa cambiare l’intero sistema socio-economico, dall’energia alla produzione del cibo. Non c’è una bacchetta magica, si tratta di fare a meno di un sistema che ha più di un secolo di vita e di farne a meno nel giro di trent’anni, se davvero vogliamo rallentare la crescita della temperatura del globo. Un esempio concreto: è vero che dobbiamo rinunciare quanto prima a costruire auto alimentate a combustibili fossili. E per riuscirci dobbiamo prepararci ad affrontare le conseguenze di questa rivoluzione, che porterà nel complesso molti più benefici, ma che peserà soprattutto sui cittadini meno abbienti e su alcuni settori industriali».

 

E invece…
«Invece sento il ministro Cingolani che fa professione di catastrofismo, paragona la transizione energetica a un “bagno di sangue”. Ho il sospetto che questi scenari apocalittici servano a coprire l’incapacità di affrontare il problema mettendolo al centro dell’agenda politica del Paese. Ovviamente una svolta di questo tipo andrebbe a colpire interessi consolidati, fatturati miliardari, poteri che hanno molto da perdere se cambiassimo davvero direzione».

 

Però adesso la guerra, e il taglio delle forniture di gas, costringe la politica a trovare nuove fonti di approvvigionamento. Che effetti avrà questa crisi sulla transizione energetica?
«L’attenzione della politica ora è tutta rivolta alla ricerca di fornitori alternativi alla Russia, ma servirebbe altro».

 

Che cosa?
«Per esempio, andrebbe avviata subito una grande campagna di comunicazione in tema di risparmio energetico, qualcosa che faccia sentire, a livello di opinione pubblica, l’urgenza del problema. Due anni fa, quando è iniziata la pandemia ci è stata spiegata la necessità di cambiare i nostri comportamenti per arginare la diffusione del virus. Prima Conte e Mattarella e poi Draghi sono andati in tv per spiegarci che la situazione era critica e bisognava agire di conseguenza. Tutti ci siamo mobilitati, allora. E anche adesso la crisi energetica impone una strategia di emergenza. Non basta pensare che da qui all’inverno gli stoccaggi di gas saranno pieni e quindi possiamo stare tranquilli. Mi chiedo: perché non promuovere da subito, per esempio, una grande campagna per il risparmio energetico, per tagliare gli sprechi?».

 

Intanto, però, vengono riaperte le centrali a carbone. E si torna a discutere di un ritorno all’energia nucleare…
«Non credo che qualche mese di riattivazione delle centrali a carbone per far fronte a un’emergenza oggettiva cambi la sostanza del problema. Dobbiamo attrezzarci con programmi di lungo periodo che cambino davvero il sistema. Prendiamo per esempio la riqualificazione del patrimonio edilizio, che è una questione decisiva per favorire il risparmio energetico. Il superbonus non va abolito, ma rivisto per farlo diventare una misura strutturale, che dia certezze sugli incentivi per interventi che vanno assolutamente fatti sulla quasi totalità degli edifici, pubblici e privati, con l’obiettivo di ridurre i consumi. In questi ultimi mesi il dibattito pubblico si è concentrato sui problemi legati a questa agevolazione. Invece andrebbe dato un segnale chiaro ai cittadini, per far capire che la riqualificazione edilizia è una tappa fondamentale della transizione energetica».

 

La vicenda del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che dal 2018 giace in qualche cassetto del governo non sembra un buon precedente in fatto di programmazione di lungo periodo.
«In Italia purtroppo prevale come sempre la logica dell’emergenza. In questi giorni si parla della fusione dei ghiacciai, presto si tornerà a lanciare allarmi sugli incendi. C’è un rischio enorme di eventi catastrofici, legati alle temperature altissime delle ultime settimane. Gli incendi di queste estati non sono più gli incendi del passato. Bisogna prepararsi e invece, purtroppo, quello che vedo è un’inerzia colpevole, non ci stiamo muovendo in modo adeguato al pericolo che è altissimo. Lo faremo, forse, dopo il prossimo disastro».