Analisi

Un giovane italiano ogni quattro non studia e non lavora: quella dei Neet è un’emergenza sociale

di Enzo Argante   22 agosto 2022

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Un numero sempre più ampio di giovani sperimenta l’assenza di prospettive. Fuori dal circuito, dovrebbero essere la priorità di ogni governo e invece sono ignorati

Giovani che non studiano e non lavorano, senza un progetto, senza una strada da seguire, un obiettivo da puntare. Oltre 3 milioni tra i 15 e i 34 anni fuori dall’asse produttivo economico e sociale proprio nell’arco di tempo in cui si costruisce il proprio futuro. L’inglese li definisce Neet (not in employment, education or training) e sono la spina dorsale del Paese che verrà, la classe dirigente e forza propulsiva del Paese. Che è in stallo. Gli ultimi dati Istat (2021) confermano che il fenomeno riguarda il 24 per cento dei giovani. Uno su quattro.

Un numero in crescita rispetto al 2020: poco meno di 100 mila ragazzi sono usciti da percorsi lavorativi o di studio solo nell’ultimo anno. Il dato peggiore in Europa.

È un errore di sistema, una pesante ipoteca sul futuro dell’Italia. I neet sono la punta di un iceberg che galleggia nel tempestoso mare dell’istruzione, del lavoro e del mercato. Con grandi incognite, istituzioni indecise, poche idee e confuse. Non dovrebbe esserci proclama elettorale o programma di governo che non metta al primo punto all’ordine del giorno la necessità di un intervento organico. E invece nessuno ne parla, se non sporadici, generici, gratuiti e strumentali riferimenti all’occupazione giovanile che è solo a valle del problema.

«Il fenomeno fa emergere l’assenza di un progetto di vita e di opportunità che si aggrava nella mancanza di attrito fra le generazioni che non si incontrano più. Il 24 per cento di neet vuol dire che un quarto dei nostri giovani non ha una prospettiva concreta. C’è una enorme responsabilità della società che li ha un po’ abbandonati: la scuola ma anche la famiglia, la politica, le istituzioni. Complice la pandemia le diseguaglianze si accentuano sempre più: i vincitori vincono tutto, i perdenti perdono tutto. La scuola è punto chiave, il soggetto in grado di imprimere una accelerazione e una svolta: bisogna aiutare la scuola ad aiutare i ragazzi ma si devono creare le condizioni politiche ed economiche per raggiungere questo obiettivo: e invece in Italia abbiamo chiesto sempre di più alla scuola fornendo sempre di meno risorse su cui contare», commenta il filosofo più citato al mondo, Luciano Floridi, da Oxford University.

Non a caso a registrare gli indici neet più bassi sono proprio quei Paesi che investono molto sulle strutture educative, che hanno piena consapevolezza del fatto che i giovani di oggi, gli elettori di oggi, sono il futuro prossimo di un Paese e che spendere di più in questo momento vuol dire spendere di meno domani.

«Occorre affrontare il tema dei giovani con realismo, per cercare risposte concrete, senza esimerci dall’interrogarci su quello che sta succedendo: perché la mancanza di dialogo tra le generazioni e il disagio giovanile sempre in aumento? Perché il reale è diventato brutto, pericoloso o inutile, fino a preferire la fuga dalla realtà? Dobbiamo chiedercelo, nel momento in cui vogliamo pianificare il futuro. C’è bisogno, infatti, di speranza e di visione, altrimenti si resta chiusi solo nel presente. Il Covid-19 ha accentuato tante fragilità, in particolare nel mondo giovanile, come un liquido di contrasto. Dalla nostra indagine sul rapporto tra giovani e Covid-19 e tra giovani e lockdown (realizzata tra gli studenti delle scuole dell’arcidiocesi di Bologna, ndr) emerge che il 76 per cento degli studenti vede gli insegnanti “distaccati e ostili” e che “non si preoccupano” di loro. Sono situazioni che ci devono interrogare e che ci chiedono di cambiare e di riuscire a trovare risposte credibili e vere: siamo chiamati ad offrire reali occasioni di crescita umana e proporre situazioni e contesti dove siano la loro positività e forza ad essere protagonisti», dice il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana.

Le istituzioni, e quindi la scuola, le università, mancano di progettualità (visione) e di strutture per agevolare l’orientamento allo studio e al lavoro. Non ci sono canali di gestione delle informazioni che aiutino a prendere le decisioni migliori.

«I giovani che hanno deciso di non studiare né lavorare devono essere in primo luogo ascoltati con attenzione e disponibilità perché si possano proporre iniziative efficaci che partano dalla conoscenza delle motivazioni e del loro stato d’animo», è il parere di Cristina Messa, ministro dell’Università e della Ricerca: «Il grande lavoro, poi, credo debba essere fatto sull’orientamento. Orientare non vuol dire solo elencare le possibilità di studio esistenti o le figure professionali richieste dal mondo del lavoro. Orientare vuol dire consentire ai ragazzi di conoscere il valore della formazione superiore in una società della conoscenza, di fare esperienza di didattica attiva, partecipativa e laboratoriale in linea con il loro modo di apprendere, significa essere accompagnati nell’autovalutazione e nella verifica della coincidenza tra le conoscenze e competenze che si possiedono e quelle richieste per il percorso di studio o per il lavoro di interesse».

Strutture formative più attive nei processi di orientamento, certo, ma soprattutto nei collegamenti con le imprese senza le quali il cerchio della progettazione sociale non si può chiudere. Ed è qui che si capisce la differenza fra occupazione e occupabilità. 

«Il saldo negativo tra giovani italiani che scelgono di costruire il loro percorso professionale all’estero e giovani stranieri che scelgono l’Italia per lavorare, è sempre più ampio», commenta Alberto Pirelli, presidente della Fondazione Sodalitas, l’iniziativa di Assolombarda che aggrega le imprese impegnate nei processi di responsabilità sociale: «Nondimeno 400mila posti di lavoro rimangono scoperti per mancanza delle competenze necessarie, anche se in Italia c’è una delle dinamiche più positive nella creazione e crescita delle startup. Il tema dunque è che il mondo del lavoro, che attraversa un momento altamente evolutivo, e il mondo dell’istruzione sono ancora troppo distanti. Realizzare una piena integrazione è fondamentale: noi per esempio, siamo presenti nelle scuole di 16 Regioni italiane con un programma di formazione e accompagnamento che coinvolge migliaia di studenti, sviluppiamo ogni anno in Italia un progetto europeo che sensibilizza i giovani sul valore degli studi Stem anche per superare il pregiudizio di genere purtroppo ancora radicato, alleniamo nei giovani le competenze e l’attitudine all’imprenditorialità, coinvolgiamo imprese e scuole in laboratori per la co-progettazione di partnership innovative».

Come agire, dunque, in quale ambito e soprattutto: chi sono gli attori principali a cui chiedere conto e ragione di una situazione che si sta radicalizzando? Come: innovazione nella progettazione sociale. Ambito: allineamento dei piani scuola-università-imprese, quindi aggregare e gestire dati per favorire incontro domanda-offerta di lavoro. Chi: è un problema politico e istituzionale da affrontare in stretta collaborazione con le imprese.

Illuminante l’esempio della Federico II di Napoli. «Siamo in un Paese dove la Scuola segue modelli educativi obsoleti e totalmente disconnessi dalle esigenze formative attuali sia in termini culturali e di competenze acquisite sia di capacità relazionali», dice Giorgio Ventre, fra l’altro Direttore scientifico della Apple developer academy, una iniziativa di formazione nell’area della Digital transformation unica in Europa: «L’Università è in una situazione migliore ma comunque non è in grado di offrire formazione al di là dei corsi di laurea e le manca una modalità più flessibile e più vicina al mondo del lavoro e delle professioni. L’esperienza che abbiamo fatto a Napoli con le Academy è stata proprio quella di affiancare alla solida formazione accademica una preparazione modulare in collaborazione con le aziende, dove gli studenti sono protagonisti ed apprendono in primo luogo con l’esperienza pratica. In questo modo crediamo di essere riusciti ad offrire ai ragazzi il meglio dei due approcci: sei edizioni, 2.200 ragazzi formati, 30 per cento provenienti dall’estero, 30 per cento donne».

Un segnale importante da Napoli. Combinato con Il Pnrr figlio del Covid-19 e finanziato alla grande a livello europeo, potrebbe incidere su questa tragica tendenza? Processo lento e farraginoso, e adesso anche controverso, il Piano rimane una strada maestra percorribile. Elezioni ed eletti permettendo.

E attenzione. La mancanza di orientamento si traduce in fuga dalla realtà (o se va bene all’estero), ma anche in deviazioni e fragilità: secondo un recente studio pubblicato sul British journal of psychiatry, il disagio degli adolescenti con diagnosi da disturbi psichiatrici, soprattutto psicosi e autismo, sarebbe collegato in numerosi casi proprio a situazioni di lunga assenza da percorsi scolastici, lavorativi o di formazione.

Anche per questo contrastare il fenomeno dei neet deve essere la priorità assoluta per qualsiasi Governo.