Il caso

Parità di genere nel dizionario Treccani, la linguista Vera Gheno: «Le proteste sono il segnale del bisogno di innovazione»

di Silvia Andreozzi   14 settembre 2022

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La nostra resta la lingua più bella del mondo, con buona pace di Enrico Ruggeri e di quanti si sono indignati per il maschile e il femminile secondo un criterio alfabetico. «Nessuno ama sentirsi dire che il modo in cui hanno parlato fino a quel momento va aggiornato»

«Avevamo la lingua più bella e completa del mondo, figlia di padri greci e latini». Il tempo declinato al passato è la chiave per interpretare il senso del messaggio twittato dal cantante Enrico Ruggeri a commento della decisione della Treccani di far uscire il prossimo ottobre la prima enciclopedia in cui i nomi e gli aggettivi verranno declinati nella forma femminile oltre che maschile. Le parole dell’autore di “Quello che le donne non dicono”  riprendono un tweet del giornalista Luigi Mascheroni che parla di crollo della civiltà occidentale e di «battaglia persa».

 

 

Fa eco a tutti il commento di Massimo Arcangeli, linguista, critico letterario e sociologo, che parla di «operazione di marketing» da parte della Treccani. «Ridicola», «bizzarra», «scientificamente insensata», «ideologicamente inconsistente». Sono questi i termini della critica che lo studioso letterario e sociologo rivolge all’operazione dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana.

Niente che Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, coloro che hanno diretto la creazione del nuovo Dizionario dell’italiano, non avessero anticipato. Tanto che in un passo della prefazione, riportato sotto forma di card sul profilo Instagram della Treccani, avevano risposto preventivamente alle critiche provenienti sia da «coloro che giudicheranno lo sdoppiamento un appesantimento inutile» sia da chi riterrà «questo sdoppiamento un’opzione timida e non risolutiva», con queste parole: «Accoglieremo queste critiche con serenità. Ci sosterrà la speranza che fra qualche anno, una donna che abbia deciso di professare l’architettura, l’avvocatura o la medicina, o che veda nel suo futuro la direzione di un’orchestra, o infine che intenda arruolarsi nell’esercito, dopo aver sfogliato le pagine di questo dizionario, scelga di chiamare sé stessa architetta, avvocata, medica, direttrice, soldata anche perché “lo dice il Dizionario Treccani”».

Ed è in queste parole che si identifica il vero significato dell’operazione di Treccani. Non c’entra il marketing, non c’è volontà di impoverire una lingua. Semmai di arricchirla. Di istituzionalizzare l’uso di un femminile che è sempre stato linguisticamente corretto e già presente sui Dizionari. La vera novità, come precisa la linguista Vera Gheno, contattata da L’Espresso, è che adesso «il maschile e il femminile sono messi sullo stesso livello, con un criterio alfabetico e non più di genere. Per cui amica compare prima di amico e direttore prima di direttrice».

Se suona male alle nostre orecchie usare la parola “ingegnera” o “architetta”, quindi, non è perché i termini siano scorretti o da poco accettati nella lingua italiana, ma perché per molto tempo sono state poche le donne a ricoprire quei ruoli. Dirigere un’orchestra era un’occupazione maschile, così come, per esempio, erano in maggioranza uomini a essere eletti in qualità di assessori. Ed ecco perché non ci piace, perché resistiamo all’idea di dire «assessora» o «direttrice d’orchestra».

È, in gran parte, questione di abitudine. «Quando tocchi il linguaggio delle persone tocchi un pezzo della loro identità e nessuno ama sentirsi dire che il modo in cui hanno parlato fino a quel momento va aggiornato. Nessuno vuole sentirsi dire che è antico», ma questo è un altro dei motivi per cui la novità introdotta da Treccani secondo Vera Gheno può essere davvero importante.

«Nel momento in cui una persona consulta il vocabolario a questo punto volente o nolente si trova davanti sia il maschile che il femminile e in qualche modo la vista e il cervello si abituano a questa compresenza di generi». Così si combatte, attraverso la lingua, un problema socioculturale. La prevalenza maschile nelle parole con cui ci esprimiamo e descriviamo il mondo, infatti, chiama in causa la questione socioculturale di cui è conseguenza, il fatto che la nostra società è prevalentemente «androcentrica, patriarcale e tradizionalista».

Così anche le resistenze che si sono sollevate all’annuncio della Treccani servono la sua causa culturale, perché diventano il segnale evidente del perché di quella piccola, grande, innovazione c’era bisogno. Tenendo sempre conto che «il mutamento è il segnale della vitalità di un linguaggio, non della sua morte incipiente». Possiamo, quindi, continuare a dire che la nostra lingua è tra le più belle e complete al mondo.