La storia

«Fermate quel piroscafo». Il caso della nave fascista boicottata dai marittimi inglesi che poteva cambiare la storia

di Alfio Bernabei   5 settembre 2022

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Alla vigilia della marcia su Roma, nel 1922, uomini del Pnf si impossessarono del piroscafo Accame e fecero rotta su Cardiff. Il sindacato britannico gli impedì lo sbarco per protesta contro i raid degli squadristi. Ma poi il governo decise la marcia indietro

Due mesi prima della marcia su Roma, nel 1922, Mussolini si trovò davanti a un ostacolo imprevisto con il rischio di inciampare e trovarsi in imbarazzo davanti al mondo intero. Dovette temere una battuta d’arresto ai propri piani per avvicinarsi al governo e reagì con furia. L’ostacolo si manifestò a più di mille chilometri di distanza - la prima protesta contro il fascismo al di fuori dei confini italiani e di riverbero internazionale. Un vero shock.

 

Riuniti a Londra, i principali sindacati tra cui quelli di portuali, ferrovieri e trasportatori ordinarono il boicottaggio della prima nave a far rotta oltre Manica con un equipaggio formato interamente da fascisti. L’ordine era preciso: niente carico o scarico. Nessun benvenuto ai nuovi “pirati” decorati con “skull and bones” (teschio). L’Emanuele Accame, un piroscafo di circa 10 mila tonnellate, andava respinto e rispedito in Italia. Un enfatico «no» al fascismo riportato dai giornali più importanti, incluso il Times.

 

Nella sede del Partito fascista a Roma scattò l’allarme. Prima increduli, poi furenti, Mussolini e i vertici del suo partito reagirono con minacce e propositi vendicativi. Proprio quando tutto pareva andare a gonfie vele e la marcia su Roma veniva annunciata sulla stampa italiana come già «in atto», ecco un segnale che, se replicato nei maggiori porti del mondo come Le Havre e New York, avrebbe potuto far deragliare i piani di conquista del potere. Davanti alla prospettiva di possibili boicottaggi di navi italiane equipaggiate da fascisti membri della neonata corporazione marinara, difficilmente Re Vittorio Emanuele III avrebbe potuto chiamare al governo un leader che si dimostrava incapace di assicurare il flusso del commercio marittimo verso l’estero.

Mondadori Portfolio

A cento anni esatti da un caso che assunse proporzioni tali da richiedere l’intervento sia del governo italiano che di quello inglese, non è ancora certo a chi venne l’idea di far salpare un piroscafo con 44 fascisti a bordo diretto a Cardiff, nel Galles, all’epoca uno dei principali scali del mondo. Di sicuro c’è che intorno al 20 agosto a Napoli, squadre fasciste capitanate da Aurelio Padovani, membro del Comitato centrale del Pnf, sferrarono attacchi contro «organizzazioni rosse» che culminarono con l’occupazione della sede della Federazione dei lavoratori del mare (Film). Si trattava dell’ennesimo episodio che replicava scontri in atto in altre città portuali tra aderenti alla Film di cui era capo il capitano Giuseppe Giulietti, noto socialista, e quelli appartenenti alla corporazione marinara appena istituita dal fascio. Terminata l’occupazione della sede della Film, i fascisti si impossessarono dell’Emanuele Accame di proprietà dell’armatore Angelo Parodi. Il capitano Umberto Mortola e i suoi uomini annunciarono trionfalmente dal ponte: «Andiamo a Cardiff!», anche se privi della necessaria documentazione, tanto che dalla capitaneria venne sporta immediata denuncia.

 

La notizia della partenza venne riportata dai giornali il mercoledì 23 agosto. Ecco dunque l’Accame in rotta verso l’Inghilterra con a bordo rappresentati del nuovo sindacato fascista, a tutti gli effetti marinai diventati ambasciatori anche di un partito politico sostenuto da bande armate. E adesso? Che accoglienza c’era da aspettarsi a Cardiff? Fino a quel momento nei porti esteri erano giunti equipaggi italiani appartenenti in buona parte a membri della Film di Giulietti, noto all’estero e con tutte le credenziali di un socialista agguerrito. Celebre la sua affermazione rivolta ai compagni meno militanti: «Voi fate del socialismo a chiacchiere e perciò fantastico ed inconcludente, mentre io faccio del socialismo con dei fatti, cioè lo realizzo. Non disturbatemi, altrimenti mi costringerete di mettervi la prua addosso».

 

Prima di quell’agosto del ’22, Giulietti aveva avuto rapporti discretamente buoni sia con Gabriele D’Annunzio che con Mussolini quando nei due vedeva ancora tracce di socialismo. Adesso il Mussolini fascista giocava a tirare Giulietti dalla sua parte per puro disegno strategico. Per l’avventura della marcia su Roma non poteva permettersi di inimicarsi troppo il più potente sindacalista nel campo della marina, ma, tra una promessa di collaborazione e l’altra, serpeggiava nel futuro dittatore l’istinto di sbarazzarsi di lui alla prima occasione. Giulietti era uomo troppo furbo e fu tra i primi a sospettare che dietro l’occupazione dell’Accame ci fosse un piano premeditato per screditarlo.

 

A Mussolini, che dipendeva per le finanze al partito anche dai soldi degli armatori da tempo in guerra acerrima contro Giulietti, interessava poter dimostrare che un equipaggio composto interamente da fascisti veniva accolto senza nessun ostacolo in uno dei principali porti del mondo. Oltre a costituire ottima propaganda per il partito sul piano internazionale, contava la prova che i sindacati esteri erano ben disposti ad avere con equipaggi fascisti gli stessi rapporti un tempo avuti dagli uomini di Giulietti.

 

Forse tutto sarebbe andato a buon porto se non fosse stato per un articolo apparso la mattina del 23 agosto sul Daily Herald, il quotidiano nazionale inglese dalla parte dei sindacati e del partito laburista. “Fascisti in rotta verso Cardiff” recitava un titolo. “Viaggio di pirati”, un altro. Quello stesso pomeriggio i titoli furono ripresi dai giornali gallesi come l’Evening Express. Sullo sfondo dei resoconti della violenza delle squadre fasciste in Italia, specie contro le sedi sindacali e i centri socialisti, il dilemma su come accogliere il primo equipaggio formato da “blackshirts”.

 

A suggerire una decisione fu il sindacalista Robert Williams, in rappresentanza della Federazione nazionale dei lavoratori nei trasporti. Partecipando alla conferenza nazionale dei portuali e dei fluviali, il venerdi 25 agosto a Londra, ricordò ai delegati la situazione in Italia e suggerì il boicottaggio dell’Accame a sostegno dei sindacati socialisti italiani sotto attacco. In poche ore venne stilato un comunicato congiunto di vari sindacati in cui l’Accame veniva descritta come una «nave pirata»: nessuna assistenza doveva esserle prestata nei porti britannici.

 

A Cardiff, i rappresentanti di tre sindacati, stivatori, ferrovieri e lavoratori nei trasporti, diramarono ordini ai loro iscritti di «non toccare la nave». La notizia fu riportata il giorno dopo dai giornali italiani con la circostanza, errata, che il boicottaggio fosse in atto e che il capitano stesse cercando di far marcia indietro per evitare guai. In realtà la nave era ancora al largo di Gibilterra.

Nella sede del partito nazionale fascista a Roma toccò al suo segretario, Michele Bianchi, farsi carico di scatenare la controffensiva alludendo alla prospettiva di «inesorabili rappresaglie» nei porti italiani contro le navi inglesi. Non solo diramò comunicati alla stampa ma, sfidando quasi l’impossibile, chiese un incontro urgente con l’ambasciatore inglese a Roma. 

 

Sfrontata, ma evidentemente ritenuta necessaria dal Foreign office, la richiesta venne accolta. Al posto dell’ambasciatore Ronald Graham, «fuori Roma», fu accolto dall’incaricato d’affari, William Kennard. Bianchi si presentò in ambasciata lunedì 28 agosto minacciando gravissime ritorsioni e inevitabili conseguenze sulle relazioni commerciali marittime tra i due Paesi.

 

Nel frattempo, Mussolini si preparava a pubblicare su Il Popolo d’Italia la minaccia più esplicita come se già fosse capo di governo: «Sappiano i leaders delle Trade unions inglesi e sappiano i capi responsabili del governo e dell’opinione pubblica inglese che ogni affronto fatto a quel vapore pregiudicherebbe al massimo grado le relazioni fra popolo inglese e popolo italiano».

 

Dalle carte conservate negli archivi inglesi, si desume che il Foreign office, ovviamente in contatto con Downing Street, prese le minacce molto sul serio. Non è dato sapere se furono attivate pressioni sui sindacati, ma sta di fatto che proprio alla vigilia dell’arrivo dell’Accame, martedi 29, dal quartier generale della National railway union, l’unione dei ferrovieri, la stessa che, secondo il Times, coordinava il boicottaggio, venne diffusa la notizia che c’era stato «un malinteso». E si invitavano i rappresentanti sindacali di Cardiff a salire sulla nave per intervistare il capitano e verificare come stessero le cose. Dapprima a Cardiff il boicottaggio venne attuato e mantenuto, tanto che l’Accame poté avvicinarsi al molo solo quando alcuni marinai italiani di un’altra nave, la Silvio Pellico, si presentarono in aiuto. Ma il giorno dopo, i sindacalisti si recarono a bordo per la verifica come richiesto da Londra. Mentre il console italiano a Cardiff auspicava una rapida soluzione.

 

Il capitano Mortola che parlava un ottimo inglese ci tenne a far valere che era stato addirittura insignito di una medaglia al valore dal capitano Alexander Grant della Royal Navy. Scherzò con i giornalisti: «Abbiamo forse l’aspetto di pirati?».

 

D’accordo con i loro quartier generali a Londra, i sindacalisti pervennero ad un compromesso per allentare la tensione. Il boicottaggio poteva essere sospeso, ma solo a patto che capitano ed equipaggio fossero disposti a giurare su un documento che conteneva alcune clausole in forma di obblighi: astenersi da ogni rappresaglia contro i lavoratori d’Italia e a non sminuire il prestigio dei sindacati italiani; rinunciare ad ogni atto di violenza contro gli organizzatori dei sindacati nelle loro attività; non prendere parte a qualsiasi tentativo di distruzione e di violenza contro locali adibiti a pubblicazioni sindacali e contro giornali proletari.

 

Su questi obblighi riportati sia sui giornali inglesi che italiani si tenne una vera e propria cerimonia con tanto di giuramento a bordo sul documento scritto. E la risoluzione dell’impasse venne salutata con giubilo dal partito fascista.

 

Alcuni giorni dopo, durante il primo congresso marinaro delle organizzazioni fasciste a Genova del 3 e 4 settembre, presenti Bianchi e Parodi, si parlò in tono trionfante di splendido futuro per la corporazione marinara con pesanti allusioni alla fine di Giulietti. Già nei giorni precedenti sia Bianchi che Mussolini avevano incolpato direttamente i «socialisti nostrani» di avere istigato i sindacati inglesi ad istituire il boicottaggio e promesso di dare «severe lezioni» ai responsabili della «macchinazione». A chi erano rivolte queste minacce? A Giulietti? A Giacomo Matteotti che era già noto per i contatti che aveva con i socialisti inglesi e il Labour party? Sta di fatto che, il 7 settembre Giulietti venne braccato da un gruppo di fascisti e scampò per poco a un tentativo di assassinarlo.

 

Adesso Mussolini poteva vedere la strada più libera davanti a sé. La prima protesta nata all’estero contro il fascismo era finita con un solenne giuramento su promesse prese per buone dai sindacati inglesi, nessuna delle quali sarebbe mai stata mantenuta.