Intervista

Hans Kluge (Oms): «Il Covid-19 non è finito. Dobbiamo rafforzare i sistemi sanitari»

di Simone Baglivo   10 gennaio 2023

  • linkedintwitterfacebook

Investire in Sanità, garantire standard elevati di assistenza pubblica. Dalla lezione della pandemia, il bilancio del direttore europeo dell’Oms

«Nessuna istituzione è perfetta, neanche la nostra. Il coronavirus ha evidenziato i fallimenti dell’attuale sistema tra ritardi nelle segnalazioni, mancanza di responsabilità e debole cooperazione. Dobbiamo riformare il Regolamento sanitario internazionale per renderlo più collaborativo. Sapete quando è stato aggiornato l’ultima volta? Nel 2005…». Inizia all’insegna della franchezza il colloquio con Hans Kluge, direttore dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) per l’Europa.

La sua nomina è arrivata 39 giorni prima che scoppiasse una pandemia globale. Il medico belga, 54 anni, un passato nei Médecins sans frontières, dal 1° febbraio 2020 è responsabile della salute pubblica di un miliardo di cittadini sparsi in 53 Paesi (Russia inclusa) dall’Atlantico al Pacifico e coordina migliaia di dipendenti grazie a un budget biennale da 700 milioni di dollari. Kluge parla a L’Espresso dopo aver guidato una lunga missione umanitaria in Ucraina. È appena rientrato nel suo quartier generale di Copenhagen. Si trova a metà del suo mandato e precisa subito di «non voler andare da nessuna parte prima di aver mantenuto le mie promesse».

Il suo mantra, ripetuto più volte, è «non lasciare nessuno indietro». La sua visione? «Tutte le persone devono avere accesso ai servizi sanitari di cui hanno bisogno, quando ne hanno bisogno e dove ne hanno bisogno. Senza difficoltà finanziarie. I Paesi che progrediscono verso l’assistenza sanitaria universale migliorano anche l’accesso alla scuola e al lavoro, riducono la povertà, promuovono l’inclusione e la giustizia. Quando ci uniamo per una salute migliore per tutti, otteniamo quindi prosperità economica e coesione sociale».

Non a caso «United action for better health» è lo slogan della sua strategia. Il direttore regionale ammette che l’Europa «non era assolutamente preparata» a una pandemia, ma difende il suo operato: «Siamo stati realisti e proattivi fin dall’inizio. Abbiamo preso decisioni sulla base delle evidenze disponibili, cercando di evitare che si verificassero scenari peggiori». Ricorda che durante il picco dei contagi chiamava continuamente tutti i capi di Stato «per capire cosa li tenesse svegli la notte». Ha lavorato a stretto contatto con l’ex ministro della Salute Roberto Speranza («ho apprezzato molto la sua leadership»), dal momento che «l’Italia non era solo in prima linea ma anche sul primo fronte della pandemia e la sua esperienza ha aiutato successivamente gli altri Paesi».

Ad oggi, però, tra strutture degradate e visite impossibili, il diritto alla salute non è scontato in Italia. Oltre la metà dei medici ha più di 55 anni e ogni anno ci sono solo 18 laureati in medicina ogni 100.000 abitanti. «È una bomba a orologeria che deve essere disinnescata», afferma Kluge.

Un consiglio a Orazio Schillaci, neoministro della Salute del governo Meloni? «Si confronti con gli elettori per capire quali sono le sfide più urgenti, ascolti gli esperti per trovare soluzioni e mantenga la fiducia dei cittadini». Per il rappresentante dell’Oms, investire nel personale sanitario significa investire in un futuro più sano per tutti noi. Migliorare la sanità è il modo migliore per mostrare ai medici e agli infermieri il nostro apprezzamento.

«Gli operatori sanitari sono i nostri soldati, non dimentichiamo i loro sacrifici. Il Covid-19 ha lasciato un segno profondo: 9 su 10 vorrebbero lasciare gli ospedali». Si scaglia poi contro le teorie «false» degli «antiscientifici» no vax, ricordando lo studio congiunto Oms-Ecdc del 2021, secondo il quale i vaccini anticovid in Europa hanno salvato mezzo milione di vite («una verità inconfutabile»). Rivendica di aver chiesto a Mario Monti di guidare la Commissione paneuropea per la Salute e lo Sviluppo per ripensare le priorità politiche alla luce delle pandemie. «Non possiamo prevedere il futuro, ma possiamo rafforzare i nostri meccanismi di preparazione e coordinamento. L’individualismo va evitato perché si ritorce contro noi stessi».

Kluge spiega che «la pandemia di Covid non è finita», ma precisa che il suo ufficio si sta occupando anche di altro, come ad esempio delle malattie animali, dei virus respiratori stagionali e dell’epidemia di mpox (vaiolo delle scimmie, ndr). Svela che la sorveglianza speciale dell’Oms utilizza un sistema di allerta precoce per rilevare qualsiasi rischio tramite attente indagini epidemiologiche. La chiave di successo per la sicurezza sanitaria globale, secondo il responsabile europeo, viaggia su un doppio binario e richiede investimenti nel personale sanitario e nella salute mentale.

«Da una parte dobbiamo essere pronti in caso di emergenze come le pandemie, dall’altra dobbiamo rafforzare i nostri sistemi sanitari per fronteggiare crisi altrettanto letali come le malattie non trasmissibili (cancro e disturbi cardiaci). Questo approccio dovrebbe essere adottato anche dall’Italia». Inoltre, è fondamentale rimuovere gli ostacoli a uno stile di vita sano e ridurre ictus e infarti combattendo l’ipertensione e il consumo di tabacco e alcool («è allarmante che gli europei ne siano i principali consumatori nel mondo»).

Affrontare la carenza di operatori sanitari, aumentare l’uso di strumenti digitali nell’assistenza sanitaria, rendere i sistemi sanitari più sostenibili, condividere informazioni e ridurre le disuguaglianze sono solo alcune delle sfide future, racconta Kluge. Tra le sue priorità c’è anche l’emergenza climatica, considerando che il nostro continente è quello che si sta riscaldando più rapidamente. «Le temperature in Europa si sono innalzate tra il 1961 e il 2021 a un tasso medio di circa 0,5 °C ogni decennio. Negli ultimi 50 anni il clima estremo ha causato la morte di oltre 148.000 persone nella nostra regione. Nel 2022, l’Europa ha vissuto l’estate più calda mai registrata e i devastanti incendi hanno provocato le più alte emissioni di carbonio dal 2007». Ciò nonostante, ripone le sue speranze nel summit ministeriale che si svolgerà a luglio in Ungheria. «Auspico che i leader siano in grado di stimolare azioni concrete. È necessario collaborare per affrontare le minacce ambientali più urgenti per la salute e fornire una tabella di marcia per la transizione verso un’energia rinnovabile». Dopo 23 anni trascorsi al servizio delle Nazioni Unite, Kluge è consapevole di dover continuare a dedicare tutto se stesso al suo lavoro. Confessa che la sua ispirazione quotidiana sono le sue due figlie: «Voglio lasciar loro un mondo più sano».