L’anniversario
Il poeta gay Alfredo Ormando 25 anni fa si dava fuoco in Vaticano: «Questa Chiesa demonizza l’omosessualità»
Il gesto estremo fu una denuncia contro l’omofobia delle gerarchie ecclesiastiche e lo portò alla morte per ustioni alcuni giorni dopo. Da quella data ogni 13 gennaio la comunità Lgbt celebra la giornata mondiale del dialogo fra religioni e omosessualità
Alfredo Ormando, poeta gay e credente, 25 anni fa trasformò il suo corpo in torcia umana sotto il colonnato di San Pietro per poter ottenere ascolto. Un’accusa precisa rivolta oltre Tevere attraverso il rogo del suo corpo. Eppure, anche così, in un primo tempo rischiò di non essere ascoltato. Era il 13 gennaio 1998, soltanto otto anni prima l'Organizzazione Mondiale della Sanità aveva tolto l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali.
Oggi le lettere e le cronache di quei giorni restituiscono con precisione un gesto che ha segnato la coscienza del nostro Paese. Ormando era nato a San Cataldo, un paesino in provincia di Caltanissetta e cresciuto in un ambiente da lui stesso definito “bigotto” e “provinciale”.
L’omofobia era una compagna costante per la sua vita. Poeta e scrittore, due anni di seminario alle spalle. A 39 anni dalla Sicilia arriva a Roma in treno. Alle sette e mezza di mattina entra in piazza S. Pietro, portando con sé una tanica di benzina.
Arrivato al colonnato, si toglie il soprabito, si cosparge di liquido e si dà fuoco. Avvolto dalle fiamme, corre verso il centro della piazza. Un agente di polizia lo soccorre, cerca di spegnere le fiamme con la propria giacca e ricorda che, prima di perdere conoscenza, Alfredo Ormando ripete: «Non sono neanche stato capace di morire». Al centro della piazza più famosa del mondo resta una striscia nera, sangue impastato a carbone e benzina.
Trasportato all’ospedale Sant’Eugenio ha ustioni sul 90 per cento del corpo: morirà dopo dieci giorni di agonia senza mai riprendere coscienza. Il gesto era una chiara denuncia contro l’omofobia delle gerarchie vaticane. Ormando si fece “parola” attraverso il rogo del suo corpo. Ma subito dopo il gesto il portavoce del Vaticano, Ciro Benedettini, negò che esistesse una qualunque connessione tra l’omosessualità dell’uomo e il luogo scelto: «Nella lettera trovata addosso a Ormando, non si afferma in nessun modo che il suo gesto sia determinato dalla sua presunta omosessualità o da protesta contro la Chiesa».
In realtà, Alfredo Ormando aveva con sé due lettere in cui spiegava le sue ragioni; le aveva lasciate nel soprabito che si era tolto. Confiscate. Ma ne aveva mandato copia anche all’Ansa di Palermo, prima di prendere il treno per Roma.
«Chiedo scusa per essere venuto al mondo, per aver appestato l’aria che voi respirate con il mio venefico respiro, per aver osato di pensare e di agire da uomo, per non aver accettato una diversità che non sentivo, per aver considerato l’omosessualità una sessualità naturale, per essermi sentito uguale agli eterosessuali e secondo a nessuno, per aver ambito a diventare uno scrittore, per aver sognato, per aver riso».
Un’altra era indirizzata al fratello: «Non hai idea di come ci si sente quando si è trattati in questo modo; non si riesce mai ad abituarsi ad accettarlo, perché è la nostra dignità che viene brutalmente vilipesa». Un'altra lettera, prova incontrovertibile del suo gesto, emergerà più tardi, riporta la data del 25 dicembre 1997, dedicata a un amico di Reggio Emilia: «Penseranno che sia un pazzo perché ho deciso Piazza San Pietro per darmi fuoco, mentre potevo farlo anche a Palermo. Spero che capiranno il messaggio che voglio dare: è una forma di protesta contro la Chiesa, che demonizza l’omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l’omosessualità è sua figlia».
Sul gesto la congiura del silenzio trova il suggello nell'ordine impartito dalla Santa Sede: ignorare Alfredo Ormando evitando di dare, il 23 gennaio, la notizia della sua morte. Qualche anno dopo era stata la teologa Gabriella Lettini a far notare che L’Osservatore Romano, nel giorno in cui avrebbe dovuto riportare la notizia della morte di Alfredo, raccontava nei dettagli la prima udienza, mai concessa da un papa, a un enorme pitone con cui si era presentata una delegazione di artisti circensi.
Una storia, quella di Alfredo Ormando, eretica, messa al bando, esclusa. Erba cattiva nel giardino buono, perciò da estirpare. Troppo tardi. La storia di Alfredo continua a interrogare la coscienza di ciascuno. Ogni 13 gennaio, la comunità Lgbt celebra la Giornata mondiale del dialogo fra religioni e omosessualità. “Dialoghiamo”: è l’invito rivolto dalla comunità arcobaleno credente alla Chiesa. Ancora oggi a distanza di 25 anni, una richiesta attuale.
Spesso i credenti lgbt si sentono divisi tra il loro credo e la loro identità. Il rifiuto è una strada che porta, nonostante la fede, all’allontanamento dalla Chiesa che tra luci e ombre, tra un Papa che dice di accogliere ma parla di teoria gender e la CEI che denuncia la pericolosità di una legge contro l'omotransfobia, ancora oggi non è riuscita a fare ad accogliere pienamente i propri fedeli.