La storia
Amina Milo è libera: l'italo-kazaka lascia il carcere degli orrori
La ragazza di 18 anni al centro di un caso diplomatico internazionale. Dopo mesi esce dalla prigione dove ha denunciato di aver subito violenze, tentativi di stupro e la richiesta di un riscatto per la liberazione. «Ancora non ci credo, sto bene ora. Grazie dell’aiuto, grazie a tutti»
Amina Milo ha la voce rotta e il telefono in mano: «Non ci credo, sto bene ora. Grazie dell’aiuto, grazie a tutti», dice. Ad Astana, in Kazakistan, è già buio. Amina è con la madre, Assemgul Sapenova, e con l’avvocato, Alibek Sekerov. La madre impugna il foglio con il proscioglimento da ogni accusa.
La storia di Amina Milo Kalelkyzy era diventata un caso diplomatico internazionale, dopo aver giaciuto per mesi nel silenzio. La 18 enne d’origine kazaka ma italiana per cittadinanza e storia personale, sin da piccola residente a Lequile, in provincia di Lecce, era stata arrestata il 18 giugno scorso nell’ambito di un controllo antidroga per le strade di Astana, dov’era rientrata con la madre, Assemgul Sapenova, per visitare la nonna. Secondo la versione dei genitori e dei legali, l’amico con cui camminava sarebbe stato in possesso di sostanze stupefacenti di cui Amina non sapeva nulla. Da lì il calvario, malgrado gli esami tossicologici fossero risultati per lei negativi, con il trasferimento in una casa segreta, un locale in uso agli agenti, in cui la ragazza avrebbe subito violenze d’ogni tipo per 16 giorni. Finanche un tentativo di stupro, e una richiesta di 60 mila euro per la liberazione. Dopo il rilascio a distanza di più di due settimane, il nuovo arresto per traffico internazionale di droga, che la costringeva sino a pochi istanti fa in carcere ad Astana.
In cella mangiava e beveva solo ciò che le portava la madre, da settimane, ogni mattina, in piedi alle prime luci del giorno e poi in coda, con gli altri genitori dei detenuti, per portare alla figlia generi alimentari e beni di prima necessità. Nel carcere kazako l’acqua era rossa e il cibo scadente. Ogni movimento era sotto gli occhi elettronici del circuito di videosorveglianza interno, esteso – per mezzo busto - sino al bagno. Lì dove è possibile fare la doccia una sola volta a settimana e per massimo cinque minuti. Così per centotredici giorni, poi la svolta con la liberazione e il proscioglimento da ogni accusa. In mezzo due tentativi di suicidio, la perdita di nove chili e una carcerazione preventiva prorogata, di volta in volta, d’un mese. Sino ad oggi.
Intanto la procura speciale di Astana indaga sulle presunte violenze subite dalla ragazza nella casa segreta. Uno degli agenti durante i confronti ha ammesso di avere guardato video di torture e uccisioni di animali e persone, ma non di averli mostrati alla ragazza. Poi ha respinto le accuse di violenze, che sarebbero corroborate, invece, dalla versione di Amina. Davanti alla procura la 18 enne ha detto di conoscere un particolare del corpo dell’agente: una cicatrice sotto l’addome, all’altezza del bacino. Un dettaglio che non avrebbe potuto conoscere se l’agente non si fosse spogliato. A evitare le violenze sarebbe stata la reazione rabbiosa di Amina: coltello in pugno ha minacciato di tagliarsi le vene. Storie su cui ora andrà fatta chiarezza. Intanto la ragazza sorride, incredula, e ringrazia l’Italia per il supporto di queste settimane.