Intervista
«Apprezzo molto di più la vita da quando mi è stato riconosciuto il diritto a morire»
Stefano Gheller ha ottenuto l’autorizzazione dalla sua Unità socio-sanitaria a procedere con il suicidio assistito. A cui ricorrerà quando non riuscirà più a mangiare. «Ho conquistato la possibilità di arrivare alla mia fine dignitosamente»
La carrozzina motorizzata di Stefano Gheller scorre lenta nella penombra della sua casa a Cassola, in provincia di Vicenza. Le luci a intermittenza dell’albero illuminano quello che per lui potrebbe essere l’ultimo Natale. Sullo sfondo, campeggia il megaposter del 14esimo album di Madonna, Confessions on a dance floor: «Ho sempre amato la sua libertà di dire e fare ciò che voleva. Sono stato al suo concerto poche settimane fa, sono rientrato a casa alle 5 di mattina», dice, la voce cadenzata dal rumore del respiratore sempre acceso, flebile e meccanico come un respiro infinito: «Senza questo affare, morirei entro dieci minuti», ammette. La distrofia muscolare facio-scapolo-omerale che accompagna Stefano dall’età di 15 anni, è cresciuta insieme a lui come un’ombra, impedendogli di fare le cose più semplici. Oggi che di anni ne ha 51, coglie sul suo corpo ogni minimo peggioramento: «Lo vedo nei movimenti delle mani. A volte mi va il cibo di traverso perché i muscoli della gola non rispondono più come prima. Ma ho, comunque, trovato un equilibrio».
Per Stefano, l’equilibrio è la ricerca continua di una zattera di salvataggio: poter mangiare ciò che gli piace, andare a un concerto, circondarsi di amici anche quando le crisi spastiche gli impediscono di parlare.
Malgrado tutto, Stefano sta combattendo una battaglia più importante in Consiglio regionale, dove è in corso l’iter per l’approvazione della proposta di legge di iniziativa popolare sul suicidio medicalmente assistito, promossa dal comitato “Liberi subito” dell’associazione Luca Coscioni: «Dopo aver depositato le sottoscrizioni, la proposta è stata ritenuta ammissibile. A questo punto siamo in attesa della discussione in Consiglio, ma siamo tranquilli», spiega Diego Silvestri, presentatore ufficiale e promotore della proposta. Per questa legge sono state raccolte 9 mila sottoscrizioni, ben oltre le 7 mila previste: «È una legge fortemente voluta dai cittadini, tranne che da una parte cattolica, anche se in associazione diversi cattolici praticanti la sostengono. La verità è che la maggioranza non sta osteggiando questa legge». Lo confermano gli ultimi dati relativi al Nord-Est, visionati dall’associazione Luca Coscioni: oltre l’80% dei veneti pensa che sia giusto che il medico aiuti a morire una persona, se inguaribile e sofferente.
Nel Triveneto la strada è stata aperta da Anna, 55enne malata di sclerosi multipla progressiva, che il 28 novembre scorso ha ottenuto dall’Asl il farmaco letale e il medico per accedere al suicidio assistito. È la prima donna ad aver completato la procedura prevista dalla sentenza Cappato del 2019 con cui la Corte costituzionale, in assenza di una legge nazionale, ha dichiarato legittimo il suicidio medicalmente assistito nei casi in cui la persona è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, è affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, ed è pienamente capace di volontà.
Anche Stefano ha combattuto per il riconoscimento di questo diritto, a oggi è l’unico veneto ancora in vita ad avere ottenuto l’autorizzazione dalla sua Unità socio-sanitaria a procedere con il suicidio assistito. Per lui non si tratta della conquista di un diritto a morire, ma a vivere dignitosamente fino alla fine: «Se non amassi la vita, non sarei arrivato fino a qui. La vita è bella quando riesci a viverla con dignità», confessa, le parole pregne del ricordo della madre, che ha vissuto la sua stessa malattia a letto per oltre 20 anni. Oggi, nei suoi occhi grigio-azzurri si riflette il ricordo faticoso di non averla potuta baciare o abbracciare, il dolore nel vedere, impassibile, la vita tenuta accesa dalla spia di una macchina, come un lumicino.
Per un malato in fase terminale, l’aspirazione a un desiderio si riduce ad aspirare il muco da una tracheotomia, la convivenza con macchine ingombranti, il lento scorrere del tempo fra un minuto di sofferenza e un altro di relativo sollievo, neppure alleviato dalle terapie antalgiche: «Stefano ha visto sua madre andare avanti in questo modo, lui stesso la aspirava, quando la sua malattia glielo consentiva. Lui dice che, se non riuscirà più a mangiare o gli servirà la tracheotomia, procederà col suicidio assistito. È un esempio bellissimo di persona che vive bene, proprio perché sa che ha una via d’uscita e che non soffrirà», spiega Silvestri. In quanto medico, sa bene quanto sia importante, per un malato, il cosiddetto consenso informato che, disposto dalla legge 219 del 2017, aiuta a evitare trattamenti sanitari senza il consenso libero e informato del paziente. Eppure, spiega: «Ancora oggi non sempre si sa cosa sia. Una volta si risolveva tutto con il paternalismo medico. Ma la domanda da farsi è: questa cosa serve al paziente? Come associazione Luca Coscioni, ci battiamo per avere cittadini e malati informati e responsabili».
Davanti alla prospettiva di morire, Stefano è sereno: «Apprezzo molto di più la vita da quando mi è stato riconosciuto il diritto a morire. Ora la mia battaglia è per tutti quei malati ancora senza diritto, come mia sorella: ha la mia stessa malattia, ma in forma più lieve. Se un giorno peggiorerà, non vorrei mai che soffrisse come me». Su questa linea di ascolto si è posta anche la chiesa di Vicenza, come spiega il vescovo monsignor Giuliano Brugnotto: «Ascoltando Stefano, ho avvertito un grande desiderio di vivere e nello stesso tempo la difficoltà di affrontare il dolore un giorno che dovesse peggiorare la sua malattia. Direi a tutti i cattolici di continuare a esprimere vicinanza, facendo visita, e soprattutto valorizzando Stefano per la forza che manifesta a tutti di affrontare ogni giorno la vita. Quando uno si sente “significativo” e non “scartato” nella società, può affrontare molte sfide».
Lo scorso 18 ottobre, i vescovi del Triveneto avevano diffuso una nota sul suicidio medicalmente assistito, che criticava la scelta dei Consigli regionali a prendere decisioni di portata nazionale.
Perché la partita che la proposta di legge gioca in Veneto, con il supporto del governatore Luca Zaia, ha una portata nazionale: «Vorrei che i politici capiscano che serve una legge in Italia, ma ancora oggi manca al governo il coraggio di farla», spiega Stefano. Vengono alla mente gli scatoloni con oltre un milione di sottoscrizioni per il referendum sull’eutanasia legale, bloccati davanti al Palazzo della Consulta quando, nel 2022, ha ritenuto inammissibile il quesito referendario: «Una Regione non può legiferare su una nazione, ma può applicare la sentenza 242/2019», spiega Silvestri. Gli fa eco Stefano: «Alla fine, uno può avere tutto l’aiuto che vuole, ma se è stanco della sua situazione non esiste aiuto. Se uno dice basta, dev’essere capito, compreso. La mia tristezza è non essere compreso nelle mie scelte». Una solitudine da scongiurare, anche secondo monsignor Brugnotto: «Prendere parte alla sofferenza di chi vive privato della capacità di movimento, o con un respiratore, è di grande importanza. A volte alcune affermazioni generali possono ferire le persone che si trovano in condizioni precarie».
Per Stefano il timore più grande era un futuro in cui festeggiare sarebbe stato sinonimo di soffrire. Ora, invece, davanti alla prospettiva che questo potrebbe essere il suo ultimo, bellissimo Natale, davanti alle luci dell’albero, Stefano sente il suo cuore cantare veramente, come canta Madonna in Rain, la sua canzone preferita: la pioggia è ciò che questa tempesta porta, per la prima volta sento il mio cuore cantare.