Fu l’epicentro del Covid e pagò un prezzo altissimo nella battaglia contro il virus. “Non cancelliamo la memoria ma proviamo a rialzarci”. Il riconoscimento di capitale della cultura è un primo passo. Verso la conclusione l’inchiesta sulle responsabilità per i morti

Da capitale del Covid a capitale della Cultura. A distanza di tre anni dallo scoppio della pandemia che ha cambiato il mondo e devastato il Belpaese, la provincia del Nord Italia che nel 2020 ne è stata l’epicentro occidentale adesso cerca di voltare pagina. Bergamo, infatti, sta puntando sul 2023 per rinascere con tutta l’energia possibile, dopo aver pagato nel momento più buio un prezzo umano altissimo.

 

La prestigiosa nomina a Capitale Italiana della Cultura 2023 (che condivide con la vicina Brescia) e il quasi mezzo miliardo di fondi del Pnrr rappresentano le principali opportunità. Siamo tornati in città per raccogliere le riflessioni di una comunità in cerca della propria alba.

 

Monica Plazzoli, dipendente di una casa di cura e madre di tre figli, racconta a L’Espresso di essere stata segnata inevitabilmente nel profondo da questo dramma e che l’unico modo per risorgere sia «portare nei cuori il ricordo di tutte le persone che sono morte da sole». Persone come suo marito, Armando Invernizzi, ucciso dal Covid dopo un mese di agonia nella prima ondata. Il presidente dell’Ordine dei Medici di Bergamo, Guido Marinoni, ricorda a L’Espresso «le sensazioni di abbandono e le scene di eroismo» dei colleghi, sottolineando come il personale sanitario sia «stato lasciato senza supporto e privo di ogni mezzo di protezione individuale: i nostri medici sono morti per non essere stati protetti dalle istituzioni».

 

Marinone spera che la situazione continui a reggere e vorrebbe che ci fosse una maggiore coesione sociale, «perché oltre alla ripresa economica, abbiamo urgente bisogno di una ripresa morale».

 

Per Francesco Alleva, portavoce del sindaco Giorgio Gori, la scena più triste di quella maledetta primavera è stata la chiesa del cimitero comunale riempita di 120 bare, ciascuna con nome e cognome scritto a pennarello. «Ogni defunto è stato anche nostro, era difficile parlare con le loro famiglie. Ma abbiamo sempre saputo che la forza dei bergamaschi si esprime al massimo del suo potenziale quando c’è da rimboccarsi le maniche». Alleva aggiunge che la cultura è la cura delle ferite del covid, l’elemento decisivo per la costruzione di legami sociali più saldi.

 

«Quest’anno - con gli indicatori economici favorevoli - l’obiettivo non è solo favorire il turismo, ma anche incrementare la fruizione culturale dei nostri concittadini. Abbiamo uno straordinario patrimonio e vogliamo dimostrare a noi e al nostro Paese quale sia il nostro potenziale, soprattutto se lavoriamo insieme, se costruiamo alleanze e non ci chiudiamo dentro le nostre Mura».

 

Nel 2020, l’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è stato tra i più colpiti al mondo. In prima linea, a gestire la comunicazione di una delle strutture più moderne ma anche più in crisi del pianeta, c’era Vanna Toninelli. Quando parla con L’Espresso, ripensando a quel periodo, si commuove, ha la voce spezzata e cerca di trattenere le lacrime. «Il nostro ospedale ha rappresentato grande dedizione e coraggio, abbiamo accolto un numero di malati impensabile e il nostro personale sanitario si spendeva senza sosta per tentare l’impossibile. Un mare di dolore ha fatto emergere affetto e solidarietà».

 

Per Toninelli, il momento più difficile era entrare nella camera mortuaria del Papa Giovanni, dove venivano custoditi gli effetti personali dei pazienti deceduti e che i parenti non avevano ancora potuto ritirare. «Una montagna infinita di sacchetti trasparenti racchiudevano le vite normali di donne e uomini: la rivista, il bastone, la maglietta, il cruciverba. Gli oggetti più personali di chi credeva di tornare a casa, ma purtroppo non ce l’ha fatta«. Toninelli descrive il rumore delle sirene come un «urlo continuo» nelle orecchie che sentiva continuamente, anche quando non c’era nessuna ambulanza. «Non dobbiamo dimenticare quello che è successo, lo dobbiamo ai pazienti che non ce l’hanno fatta e ai medici che hanno sacrificato la vita».

 

Da ormai tre anni, la Procura di Bergamo sta cercando di fare luce sulle responsabilità nella gestione dell’emergenza sanitaria. La maxi-inchiesta per epidemia colposa si è concentrata anche sulla mancata zona rossa e sul piano pandemico non aggiornato. Il procedimento penale aperto dal procuratore capo Antonio Chiappani non ha risparmiato nessun livello: locale, regionale e nazionale. Fonti giudiziarie descrivono all’Espresso il lavoro, «serio e preciso» in corso dal 2020 come «il più lacerante e complicato di sempre». Per poi aggiungere: «Ascoltare tutte le testimonianze dei familiari delle vittime… Beh, è stato umanamente molto difficile. Ma il nostro obiettivo primario è sempre stato quello di restituire un briciolo di dignità a chi ha perso in modo così tragico un marito, una madre, un figlio».

 

Le corpose indagini preliminari verranno ufficialmente concluse in questi giorni. «Bisogna ripensare tutta la sanità pubblica in Lombardia, investendo di più, per non lasciare soli i medici e gli infermieri che sono passati da eroi a dimenticati nelle grandi scelte della politica». È l’auspicio di Vanna Toninelli che, nel frattempo, dopo 12 anni a servizio dell’azienda sanitaria ha deciso di cambiare lavoro. «Prima di questa Caporetto vantavamo uno dei migliori servizi sanitari al mondo. Siamo in attesa che la politica torni a valorizzarlo».