Il servizio Adobe Stock per trovare illustrazioni e immagini per usi commerciali restituisce risultati relativi alla comunità lgbt quando interrogato con parole offensive. «Un segnale preoccupante» denuncia Michele Albiani, consigliere comunale Pd che ha segnalato il caso

«Se cerchi “finocchio” ti mostra foto di omosessuali»: polemiche sul motore di ricerca di Adobe

Per la libreria di immagini Adobe Stock “finocchio” è sinonimo di omosessuale. Da sempre un insulto sferrato in faccia alle persone gay o chi si discosta dalle norme di genere, l’offesa affonda così tanto le radici nella cultura italiana che basta digitarla sul sito (usato da progettisti e aziende per accedere a milioni di foto ndr), per osservare tra i primi risultati per ordine: due foto degli ortaggi, una coppia dello stesso sesso, un ragazzo truccato, dei semi di finocchio. Non tutti sanno che l’insulto deriva dai semi di finocchio che venivano messi insieme alla paglia per arrostire gli omosessuali: l’odore del finocchio bruciato serviva a far capire agli abitanti la natura della condanna.

 

La segnalazione al L’Espresso arriva da Michele Albiani, consigliere comunale Pd a Milano e attivista Lgbt: «L’ha scoperto per caso mia madre, Art Director per una casa editrice, mentre cercava delle immagini, appunto, di finocchi. La sua prima reazione è stata quella di fare uno screenshot e inoltrarmelo con un lapidario “siamo dei trogloditi”. Sul momento l’ho presa sul ridere, ma facendo io stesso una prova, sono usciti migliaia di risultati tra foto e video con persone Lgbt, singole, coppie e famiglie».

Associati alla comunità Lgbt, il servizio Adobe Stock presenta una serie di epiteti che da sempre alimentano il rifiuto e lo scherno. Basta digitare “Culattoni”: primo risultato una coppia di ragazzi, due donne che si tengono per mano, la bandiera del movimento trans “Trans Rights are Human Rights” (“i diritti trans sono diritti umano”). Stesso risultato per la parola “froci”. Digitando la parola “checca” appare un ragazzo circondato da un arcobaleno su una sedia a rotelle. Insieme a questi una carrellata di immagini viene visualizzata se si cercano altri termini spregiativi: “Zoccola”, “Troia”, “Negro”, “Mignotta”.

«Un po’ un mezzo shock - continua Albiani - Ho fatto delle prove su altre piattaforme (Shutterstock, Getty etc), ma non era presente la stessa “incomprensione”, chiamiamola così. Ho tempestivamente contattato il servizio clienti Adobe su Twitter, spiegando la questione e mandando screenshot, ma dopo una prima risposta sono spariti. Va sicuramente capito se si tratta di un errore del codice o umano. In ogni caso preoccupante, tenendo conto che ormai dipendiamo così tanto dalle tecnologie. Non ci pensiamo mai abbastanza, invece è il futuro».

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