Cultura
16 luglio, 2025Articoli correlati
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Speranza
Quando il mio bisnonno era giovane, ha sperato che cambiando il suo cognome da Gmora in Braun se la sarebbe cavata meglio nella vita.
Quando la mia bisnonna era vedova, non ha lasciato entrare in casa il fratello del suo defunto marito, che era giunto inaspettato dalla regione di Kischinjow. La mia bisnonna era una persona cortese. Per me la sua scortesia si spiega solo con la sua speranza: che sotto Hitler i suoi figli avrebbero avuto vita più facile senza parenti ebrei.
Quando mia nonna era una giovane donna, ha sperato di tornare dalla prigionia per ricongiungersi con i suoi tre figli.
Quando mia nonna finì in prigionia, la mia bisnonna ha sperato che sua figlia tornasse.
Quando mia madre era una bambina, rannicchiata in grembo alla mia bisnonna, ha sperato che le bombe cadessero su altre case.
Quando la famiglia dovette lasciare la Prussia orientale, la mia bisnonna ha sperato di riuscire a farcela con i tre nipotini.
Quando nella calca della partenza mia madre era ancora sulla banchina, mentre la mia bisnonna con lo zio e la zia era già sul treno, la mia bisnonna ha sperato che il russo riuscisse a sollevare la bambina sopra le teste di tutta la gente e a passargliela attraverso il finestrino prima che il treno partisse.
Quando mia nonna tornò dalla prigionia, ha sperato che i nomi dei suoi tre figli le riaffiorassero alla mente.
Quando mia madre era una bambina, ha sperato che nessuno si accorgesse che, sebbene le fosse proibito, aveva saltato il ruscello – e ci era caduta dentro. Ma la sera, quando fu l’ora di spogliarsi, la sua biancheria era verde di alghe.
Quando mia madre era una ragazzina, ha sperato che le domeniche passassero più velocemente.
Quando mia madre era incinta per la seconda volta, ha sperato che stavolta avrebbe avuto il bambino e che sarebbe stato sano.
Quando mia madre era una madre, ha sperato che non mi accadesse nulla.
Quando ero una bambina, ogni volta che mia madre era in viaggio, ho sperato che mio padre mi permettesse di indossare in un giorno qualsiasi della settimana la gonna blu a pieghe che in realtà era riservata all’alzabandiera. Mio padre non si intendeva tanto di queste cose.
Ogni volta che mia nonna compiva gli anni, sperava di riuscire a preparare il Bienenstich, la torta alla crema con le mandorle caramellate, in tempo per la festa di compleanno.
Quando ero una bambina, una volta mi sono nascosta nella cassapanca e ho sperato che si accorgessero della mia assenza.
Ogni volta che mia nonna partiva con noi, ha sempre sperato che la sua valigia si chiudesse.
Quando la mia bisnonna era già una donna molto anziana, ha sperato che sua figlia, con la quale viveva, non fosse così insofferente con lei.
Dopo che mia madre aveva divorziato due volte, mia nonna ha sperato che un qualche brav’uomo si prendesse finalmente questa donna difficile.
Dopo che mia madre aveva divorziato due volte, ha sperato di incontrare finalmente un uomo che non la tradisse.
Quando ero una giovane donna, ho sperato che mia madre non piangesse il giorno in cui me ne sarei andata di casa.
Quando il terzo marito di mia madre era in punto di morte, ho sperato che non morisse.
Quando era morto, ho sperato che mia madre non si togliesse la vita.
Quando ho avuto mio figlio, mia madre ha sperato che per me il parto fosse più facile del suo quando ha avuto me.
Quando sono diventata una madre, ho sperato che mio figlio stesse sempre bene.
Quando mio figlio è cresciuto, mia madre ha sperato di vivere abbastanza a lungo da esserci ancora per i suoi primi giorni di scuola.
Quando mia nonna, andandosene, mi salutò con un cenno della mano, sperai che fosse un normalissimo commiato, come in tutti gli anni precedenti.
A Natale ho sperato che nostro figlio non si accorgesse che Babbo Natale era mio padre.
Quando ho saputo che mia madre aveva avuto un ictus ed era entrata in coma, ho sperato che i medici si fossero sbagliati, e che si trattasse di un semplice svenimento.
Quando ero seduta al capezzale di mia madre morente, speravo che non fosse già oggi, ma due giorni prima.
Quando mia madre era morta, sono andata in Svizzera per lavorare. Mentre alle mie spalle tutta la gente faceva conversazione, io me ne stavo da sola su una terrazza con vista sulle montagne. Speravo che lassù sarei stata abbastanza vicina a mia madre da poterla vedere.
Nella nostra famiglia la speranza è sempre stata una specie di colla che ci teneva insieme.
Nella nostra famiglia alcune speranze si sono realizzate, altre no.
Tempo
Qualche giorno fa ho visto dei giardinieri, in procinto di rastrellare le foglie secche in un parco, appendere tra i cespugli i sacchetti di plastica con i panini della colazione.
Già tante volte mi è capitato di desiderare che durante la trasmissione di un concerto in tivù non si veda sempre l’oboista, quando l’oboe ha il suo attacco, bensì ad esempio il 4° cornista in attesa che tocchi di nuovo a lui.
Nella traduzione in prosa dell’Iliade c’è un bel passo, in cui Achille dice: Buoi e pecore grasse si possono razziare, tripodi e cavalli dalla bionda criniera si possono comprare, ma il soffio vitale dell’uomo, una volta che ha lasciato il recinto dei denti, non si può catturare o trattenere affinché ritorni.
Una volta, mentre cercavo nell’archivio dell’Accademia documenti riguardanti la mia famiglia, nell’elenco ricevuto fui sorpresa di trovare anche il mio nome e vidi che una lettera, che avevo scritto anni prima a un mio professore, era già stata archiviata. Ma il mio io di quel momento poté leggere ciò che il mio io in giovane età aveva scritto solo quando poté dimostrare di essere sempre lo stesso io. Ciò fu possibile con l’aiuto della carta d’identità. Poi lessi la lettera, e non mi ricordai più di me.
Che il tempo non ha solo il potere di separarci dagli altri, ma persino da noi stessi, è una cosa difficile da comprendere. Sappiamo che il tempo ci separa anche da circostanze che ci avrebbero resi completamente diversi. Lo sappiamo ma non lo capiamo. In Germania per questo c’è persino un’espressione particolare: la grazia della nascita tardiva. Ma ciononostante non lo capiamo davvero. Il tempo ci separa anche da ciò che verrà. In basso, dove le radici dei cespugli sono nascoste nel terreno, gli uomini rastrellano le foglie secche, e in alto, in un sacchetto di plastica, penzola la loro pausa colazione, il loro futuro. Chissà come saranno le cose tra un anno, ho chiesto una volta a mia madre. E mia madre ha detto: Possiamo solo essere felici di non saperlo.
Sappiamo solo una cosa: che dietro ciò che possiamo sentire, vedere e toccare, è nascosta un’altra realtà che non si può vedere né sentire né toccare, una realtà fatta di tempo. Sappiamo che ci attendono delle trasformazioni, sappiamo che delle trasformazioni sono già avvenute, e sappiamo, da quando la scienza lo ha studiato, che il presente ci appartiene esattamente per tre secondi, prima di precipitare nelle fauci del passato. Ogni tre secondi diventiamo dunque estranei a noi stessi.
Se devo dire chi sono, allora cosa devo dire?
Devo dire che sono una la cui infanzia ormai si può vedere solo in un museo o su foto in bianco e nero? File di case fatiscenti, la torre della televisione, pionieri felici, una festa della brigata con balli e così via.
Oppure: Sono una che da parte di padre aveva nonni che fuggirono dalla Germania all’inizio della guerra, e da parte di madre una famiglia che fuggì in Germania alla fine della guerra.
Devo dire: Nel bosco dove giocavo d’estate, l’erba cresceva sopra le trincee.
Oppure è tutt’altro ciò che conta? Ad esempio:
Una volta ho aperto un armadio in cui si sentivano dei rumori, e nell’armadio c’era un topo e nel vedermi si spaventò.
Oppure:
Ancora oggi ricordo che aspetto aveva la mano di una mia amica che morì di cancro.
Oppure:
Mi sembra assurdo comprarsi scarpe da 400 euro.
Non è per niente facile trovare frasi che spieghino chi siamo. Ma forse non è nemmeno così importante. Più importante è forse che, oltre i confini della propria pelle, oltre i confini della lingua e delle diverse arti, ci sia il tentativo condiviso di rendere l’oblio da cui veniamo, l’estraneità che ci contiene, e gli scenari paralleli in cui sta prendendo forma il nostro presente – di rendere tutto questo udibile, visibile o magari appunto anche leggibile. L’intesa su come sentiamo, vediamo e leggiamo, e il nostro interesse per la percezione degli altri sono, spero, un’anticipazione di un mondo in cui la diversità è un tema, non il motivo per ammazzare qualcuno.
© JENNY ERPENBECK
Traduzioni di Giovanna Ianeselli
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