Il caso del ragazzo italiano ufficialmente “suicida” in un carcere francese, rivelato dall’Espresso, nell’interrogazione della deputata del Pd. Sulla sua morte il sospetto delle violenze delle guardie dell’istituto di pena

Arriva anche in Parlamento il caso, denunciato da L’Espresso, di Daniel Radosavljevic, il cittadino italiano di 20 anni, misteriosamente trovato impiccato nel carcere di Grasse in Costa Azzurra.

 

È l’onorevole Laura Boldrini del Partito Democratico ad aver presentato un'interrogazione al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani e al Ministro della Giustizia Carlo Nordio.

 

Nel riassumere la storia, denunciata in esclusiva da L’Espresso, la deputata chiede ai ministri: «Quali notizie abbia il Governo in merito alla morte di Daniel Radosavljevic e come intenda attivarsi per ottenere dalle autorità francesi il massimo di collaborazione nell’accertamento della verità».

 

Daniel è stato trovato impiccato nel penitenziario francese il 18 gennaio. Pochi giorni prima, il 15 gennaio, si era messo in contatto con la famiglia: era sereno, raccontano i parenti che con lui avevano discusso dell’imminente rientro in Italia e del futuro che sarebbe stato certamente migliore per Daniel che sognava di diventare educatore minorile. Il 18 gennaio il cellulare della madre ha squillato di nuovo. Dall’altro lato del telefono la direzione del carcere. «Il detenuto Daniel Radosavljevic si è suicidato per impiccagione durante il regime dell’isolamento, applicato più volte dal 16 gennaio, seppur in diverse sezioni». Ma fonti e circostanze, analizzate da L’Espresso, mettono in dubbio l’ipotesi di suicidio.

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«Chiedo al governo italiano di agire per fare piena luce sulle cause della morte di Daniel in un carcere francese – commenta Boldrini all’Espresso - Se i sospetti dei familiari, che non hanno mai creduto all’ipotesi suicidio, dovessero trovare conferma, saremmo di fronte a un grave caso di violenza in carcere».

 

Daniel è morto mentre era nelle strutture di uno Stato straniero. Picchiato dalle guardie, hanno raccontato i detenuti ai parenti durante una serie di telefonate clandestine tra loro e la famiglia del ragazzo. «Non ha appeso un lenzuolo alla finestra. A tre metri d’altezza? Impossibile», ripetono nel video de L'Espresso che da giorni rimbalza in rete.

 

E poi le ferite che la signora Branka Milenkovic, il 24 gennaio ha intravisto sul corpo di Daniel, nell’obitorio del carcere di Grasse: una sul retro del cranio, un’altra d’arma da taglio immediatamente sotto il costato, il mignolo rotto, delle scarificazioni tipiche da corda di diametro molto sottile impresse a ridosso della parte centrale del collo e nessun segno sulla porzione superiore del collo e nella zona mandibolare, come ci si aspetterebbe dall’azione abrasiva della corda a causa del peso del corpo impiccato e della sua gravità.

 

A creare il gran polverone che depista le indagini, nasconde intrighi e fa calare la nebbia sulla morte di Daniel concorrono molti elementi: le lettere scritte di suo pugno, le telefonate, il corpo martoriato ma anche il silenzio della Francia che aggrava il dolore della famiglia che chiede giustizia. Non sono soli.