L’autonomia differenziata, non solo aumenterà i divari fra la qualità del servizio offerto fra Nord e Sud, ma farà crescere anche la mobilità sanitaria, cioè i viaggi dei meridionali per curarsi rischiando di mandare in tilt le strutture del settentrione

In Toscana c'è una sola azienda sanitaria territoriale. In Veneto ce ne sono nove. In Lombardia le aziende sanitarie si chiamano Asst, altrove si chiamano Ats, al sud si chiamano aziende provinciali. In Friuli Venezia Giulia ci sono le aziende uniche, al cui interno vengono coordinati ospedali, università e strutture territoriali. Poi il Veneto ha avviato la formazione complementare degli Oss, gli assistenti socio assistenziali, mentre in Campania è stato istituito lo psicologo di base, mentre in Lombardia non c'è. E si potrebbe andare avanti all'infinito, nel tentativo di dimostrare che, limitatamente alla Sanità, l'autonomia differenziata esiste già, eccome. E gli effetti del federalismo sanitario, che esiste dal 1992 e prevede che siano le Regioni a gestire la sanità, sono sotto gli occhi di tutti: basta leggere gli ultimi dati dell'Agenas, l'agenzia che fa capo al ministero della Salute e monitora l'attività delle singole regioni, a proposito dei Lea, cioè i Livelli essenziali di assistenza.

Dunque, i Lea sono le prestazioni e i servizi minimi – in termini di prevenzione, assistenza distrettuale e ospedaliera -, che il Servizio sanitario nazionale è obbligato a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o con una quota di ticket. Sono le Regioni che devono organizzarsi in modo tale da garantire un servizio adeguato a tutti, in modo tale che, da Palermo a Milano, il Ssn sia universale e le cure uguali per tutti. Questo, almeno, sarebbe l'obiettivo, perché nei fatti Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Piemonte e Lombardia riescono a soddisfare almeno l'87 per cento dei livelli minimi di assistenza, le regioni del centro Italia, più Liguria e Trento li raggiungono ma non pienamente, e invece sono profondamente arretrate le regioni del Sud.

Detto altrimenti, la Sanità italiana è diseguale. E la novità è che, con l'introduzione del Decreto legge Calderoli sull'autonomia differenziata, la situazione peggiorerà ulteriormente perché le Regioni potranno chiedere ancora più autonomia in ambito sanitario, specialmente rispetto al compenso previsto per il personale infermieristico e medico. Ma andiamo con ordine.

Con l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del Ddl Calderoli sull'autonomia differenziata è iniziato il percorso che dovrebbe portare le Regioni a chiedere e ottenere maggiore indipendenza legislativa nella gestione di 23 materie che, oggi, sono di competenza dello Stato. Dentro c'è di tutto, dalla scuola all'energia, professioni e alimentazione, porti e casse di risparmio, sostegno all'innovazione e finanza pubblica, fino alla tutela della salute.

Dai sindacati alle sigle di categoria dei medici, tutti hanno espresso un parere negativo rispetto all'estensione dell'autonomia a un tema delicato come quello sanitario. Addirittura lo stesso ministero della Salute ha dichiarato che sarebbe meglio mantenere in capi al ministero stesso un ruolo di indirizzo.

Mentre la Fondazione Gimbe, un ente indipendente che si occupa di analisi sulla sostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale, ha realizzato un intero dossier sulla questione, arrivando a descrivere uno scenario da incubo (per la qualità di vita dei cittadini delle regioni più svantaggiate) qualora l'autonomia differenziata fosse confermata anche per la sanità: «Il mancato raggiungimenti dei Lea in molte regioni, nonostante decenni di tentativi di riequilibrio, conferma quanto la disuguaglianza sanitaria sia un fenomeno già attuale», commenta Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, che continua: «Di conseguenza, l’attuazione delle maggiori autonomie richieste dalle Regioni con le migliori performance sanitarie è amplificherà le diseguaglianze di un Ssn, oggi universalistico ed equo solo sulla carta. I princìpi fondanti del Ssn si sono già dissolti senza alcun ricorso all’autonomia differenziata e il regionalismo differenziato finirà per legittimare normativamente e in maniera irreversibile il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute».

Per Cartabellotta l'unica soluzione possibile è eliminare la materia sanitaria dall'elenco di competenze al centro del processo di autonomia.

Il cuore del problema è capire infatti come sarà possibile finanziare le regioni economicamente meno floride se il Nord tratterrà per sé il denaro raccolto dalle proprie tasse. Per capirci, come colmeranno il gap oggi esistente Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia senza gli stanziamenti provenienti dalle regioni più ricche? E poi, già oggi la spesa sanitaria pubblica si attesta attorno ai 2.147 euro pro-capite, ma la distribuzione fra Regioni è già piuttosto diversificata: si va dai 2.186 euro per i veneti ai duemila euro per i campani e siciliani. E con l'autonomia questa diversificazione andrà ulteriormente aumentando.

Il punto più dolente del ddl Calderoli riguarda la possibilità, per ciascuna regione, di remunerare il personale in autonomia. Oggi tutte le Regioni hanno difficoltà a reclutare medici e infermieri, e se Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna aumenteranno il salario dei propri camici bianchi da 60 a 100 euro l'ora, è chiaro che ci sarà una vera e propria migrazione di massa dei sanitari dalle aree più depresse a quelle più ricche, cosa che per altro già avviene, ma è calmierata dal fatto che i salari dei medici sono più o meno gli stessi in tutta Italia.

A ruota, si intensificherà il fenomeno della mobilità sanitaria, con un pellegrinaggio ancora più massiccio dei cittadini del sud in cerca di cure adeguate al nord. Finanziariamente sarà un disastro, perché le regioni più carenti dal punto di vista dei servizi, pagano alle regioni in cui i pazienti scelgono di curarsi una compensazione finanziaria: secondo i calcoli della Corte dei Conti, 13 regioni, quasi tutte al Sud, hanno accumulato un debito di 14 miliardi nei confronti delle regioni del Nord (dove i meridionali scelgono di curarsi).

Ma sarà altrettanto disastroso dal punto di vista della sostenibilità materiale delle strutture sanitarie del Nord Italia, che a stento riescono a rispondere alle richieste di assistenza dei propri cittadini e, con l'autonomia differenziata, rischiano di doversi fare carico dell'assistenza sanitaria dei pazienti di tutta Italia. Proprio così, l'autonomia differenziata potrebbe incatenare ancora di più le regioni del Sud alla dipendenza sanitaria degli ospedali del Nord.